Cenere appartiene al periodo più felice dell'arte di Grazia Deledda, quando la sua ispirazione più consapevole trae forza e si motiva nell'evocazione della terra natale. La vicenda è imperniata su un conflitto di passioni elementari che soggiacciono a una sorte implacabile: la disarmata umanità di Olì che va trepida incontro all'amore e troppo presto conosce il disinganno; l'inconscia crudeltà dell'amante Anania che insegue favolosi tesori e infine l'abbandona con un figlio; l'accorata pietà di questi, mista a timoroso rispetto umano nei confronti di una madre che costituisce il più grave ostacolo alla sua felicità. Per salvare l'onore del figlio, Olì, incapace di riscatto, si uccide. Il giovane sconvolto apre l'amuleto che la madre gli aveva messo al collo da fanciullo, e vi trova soltanto cenere, presagio di un destino ineluttabile. La tipica atmosfera deleddiana dove le cose vibrano di inquietudini soprannaturali, la profonda analisi psicologica, fanno di Cenere una delle opere più incisive di Grazia Deledda.
Grazia Maria Cosima Damiana Deledda was an Italian writer who received the Nobel Prize for Literature in 1926 "for her idealistically inspired writings which with plastic clarity picture the life on her native island [i.e. Sardinia] and with depth and sympathy deal with human problems in general". She was the first Italian woman to receive the prize, and only the second woman in general after Selma Lagerlöf was awarded hers in 1909.
Questo è il terzo romanzo della Deledda che leggo. Ancora una volta rimango stupito da questa scrittrice. Il libro in questione è stato pubblicato nel 1903 ma il suo approccio alla delineazione delle vicende dei personaggi è senza tempo e per questo magistrale come può essere la lettura o rilettura di un’opera di Shakespeare o un testo di Dostoevskij. Di quest’ultimo, in particolare nella seconda parte del libro, ha l’incedere implacabile verso una possibile soluzione del dramma nel senso che potrebbe concludersi in mille modi diversi seguendo una o più scelte dei personaggi, secondo il libero arbitrio. Questa estrema libertà di fraseggio, questa ricchezza infinita di risorse disponibili – si veda peraltro la descrizione dettagliata ma non fine a se stessa della natura (i paesaggi, i monti, le piante, il cielo e il mare di Sardegna), elemento caratterizzante e non di sfondo che si interpola con la narrazione – ne fanno una scrittrice unica ben al di sopra degli incasellamenti – verismo, decadentismo, regionalismo - creati dalla critica letteraria. «…Ora sì, ora capisco che cosa è l'uomo: è una vana fiamma che passa nella vita e incenerisce tutto ciò che tocca, e si spegne quando non ha più nulla da distruggere...».
“Avanti morite, crepate ma seguite il filo che vi tira!”
Nella splendida terra di Sardegna, tra il paradisiaco mare, le aspre montagne e la feconda campagna, si consuma il dramma di Anania. Un destino già scritto dove si ereditano colpe come vecchie mura crepate. Peccati che altri hanno commesso e che vanno lavati ed espiati per dare un senso alla propria identità.
Ora sì, ora capisco che cosa è l'uomo: è una vana fiamma che passa nella vita e incenerisce tutto ciò che tocca, e si spegne quando non ha più nulla da distruggere...
Tutto il passato diventa cenere ma la speranza non demorde perchè fra la cenere cova spesso la scintilla, seme della fiamma luminosa e purificatrice
Queria muito ter gostado deste segundo livro que leio de Grazia Deledda, uma das poucas mulheres a serem agraciadas com um Prémio Nobel da Literatura, uma escritora que desafiou Mussolini, uma autodidacta que não era vista com bons olhos pelos seus conterrâneos porque expunha a sua ilha natal, a Sardenha, como o sítio agreste, pobre e conservador que era no início do século XX. Esperava algo contido e sóbrio como “Depois do Divórcio”, livro de que gostei bastante, no entanto, encontrei uma tragédia histriónica em que personagens torpes e degradantes coabitam num cenário de miséria humana e económica de hiper-realismo insuportável.
Naquele gemido juntava-se toda a dor, a doença, a miséria, o abandono, a angústia não escutada do lugar e das pessoas; era a própria voz das coisas, a lamentação das pedras, (...) da gente que não comia, das mulheres que não tinham vestidos, dos homens que se embriagavam para se atordoarem e que batiam nas mulheres, nas crianças e nos animais, porque não podiam bater no destino, das doenças não tratadas, da miséria aceite inconscientemente como a própria vida.
Depois de ser enganada por um homem casado, Oli, com apenas 15 anos, expulsa de casa e sem meios de subsistência, decide largar o pequeno Anania em casa do seu sedutor e desaparecer sem deixar rasto. Ainda que acarinhado pela madrasta e com a protecção de um padrinho abastado que lhe permite prosseguir com os estudos fora da aldeia e até lhe concede o que ele mais deseja no mundo, Anania tem a obsessão de encontrar a mãe, mesmo suspeitando que a vida não lhe terá sorrido como a ele.
Invadiu-o uma sensação de gelo. Quem era aquela mulher que ele injuriava? Aquele montão de trapos, aquele asqueroso caracol, aquela mendiga, aquele ser sem alma? Podia porventura ela compreender o que lhe dizia? O que tinha feito? E aliás, que podia haver em comum entre ele e aquela criatura imunda? Seria, realmente a sua mãe, aquela? E, se o era, que significava isso?
Recorrendo a uma prosa empolada, a transbordar de interrogações e exclamações, com um protagonista a raiar muitas vezes a histeria, “Cinzas” assemelha-se a um autêntico faduncho num LP que gira a 45 rotações por minuto.
O que era, pois, o homem? E o coração humano? E a vida, a inteligência, o pensamento? Ah, sim, agora que estas perguntas lhe subiam já não ociosamente aos lábios, agora que a realidade batia em volta dele as suas asas fúnebres e rasgava os vapores da ilusão, agora ele respondia às suas perguntas e sabia o que era o homem, o seu coração, a sua vida: engano, engano, engano!
Favola e mito colorano la narrativa di Grazia Deledda calata nella difficile realtà sociale della Sardegna arcaica e restia ad accettare le innovazioni del mondo moderno: bellissimo romanzo
È la storia di un abbandono, di un'inesausta ricerca, di un ricongiungimento che pare irrealizzabile e che, pur non conseguendosi interamente, lascia dietro a sé una lezione di vita assai importante: la sola in grado, forse, di riportare indietro il tempo e concedere parte di quant'era andato perso.
Scrittrici non contemplate nelle antologie Ero ancora una studentessa del liceo quando scovai i romanzi di Grazia Deledda nella libreria di mia mamma: Canne al vento, l'Edera, Elias Portolu. Li lessi con voracità, acciambellata sul divano che avevo nella mia stanza di ragazza.
Da tempo mi ripromettevo di tornare a leggerla. Cenere è il romanzo che mi ha consentito di riscoprirla. Narra la storia della quindicenne Rosalia Derios, detta Olì, e di suo figlio Anania: immersi, o forse persi, in una Sardegna rurale, selvaggia, quasi arcaica. Affascinante e respingente al contempo.
Siamo agli inizi del secolo scorso; Deledda, nata nel 1871, rifletteva sul ruolo della donna in quella che era una società misera, contadina, non di rado violenta. E ancora sulla maternità, naturale e d'adozione: Anania vivrà infatti l'esperienza di essere figlio d'anima. E infine, sul sistema patriarcale che consentiva ai padri di ripudiare una figlia appena quindicenne e al di lei figlio, divenuto uomo, di rivolgersi alla madre con queste parole: "adesso sono io il padrone".
Deledda non esprimeva giudizi diretti ma, attraverso i suoi personaggi, denunciava in modo cristallino le ingiustizie che erano radicate in quel sistema sociale e i tanti pregiudizi che incastravano e schiacciavano i suoi molteplici personaggi, senza alcuna possibilità di evolvere, di liberarsi dai nodi; sconfitti da un senso di colpa che in Deledda è quasi ancestrale, in ogni caso battuti.
Lascio ai critici ogni valutazione sullo stile della Deledda. C'è chi ha inteso inserirla tra i veristi, chi tra i decadentisti, chi ancora ha richiamato il realismo magico a proposito della sua scrittura.
Fatto sta che il suo stile è chiaro, preciso, ordinato, poetico, travolgente. Mi ha colpito quindi leggere che faceva non poca fatica a scrivere in italiano; per lei, che si esprimeva in lingua sarda, l'italiano era lingua di adozione.
Credo quindi che abbia ancora più significato il riconoscimento del Premio Nobel per la Letteratura che le è stato conferito nel 1926, con questa motivazione: perchè sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano.
Vi saluto con la descrizione della giovane Olì, collocata nell'incipit del romanzo:
Cadeva la notte di San Giovanni. Olì uscì dalla cantoniera biancheggiante sull'orlo della stradale che da Nuoro conduce a Mamojada, e s'avviò pei campi. Era una ragazza quindicenne, alta e bella, con due grandi occhi felini, glauchi e un po' obliqui, e la bocca voluttuosa il cui labbro inferiore, spaccato nel mezzo, pareva composto da due ciliegie.
Pare davvero di vederla Olì, delicata canna al vento, mentre si avvia verso il suo destino.
Bellissimo. Una scrittrice di cui si sente parlare troppo poco. La storia del rapporto tra una madre e un figlio in una Sardegna senza tempo. Anania si consuma pensando alla madre che lo ha abbandonato a 8 anni per lasciarlo al padre benestante, garantendogli cosi un futuro migliore. Non si da pace. Si logora dentro. Quindi che fare? Un romanzo potente. Ben scritto. Bello. Voglio leggere altro.
Έχω ένα ψυχαναγκασμό να διαβάσω τουλάχιστον ένα βιβλίο από όλους τους βραβευμένους με Νόμπελ Λογοτεχνίας. Οι Στάχτη είναι ένα από τα τρία μυθιστορήματά της μάλλον ξεχασμένης και βραβευμένης το 1926 Γκράτσια Ντελέντα που κυκλοφορούν στα ελληνικά, γραμμένο το 1904, μια νατουραλιστική ηθογραφία της ζωής στη Σαρδηνία στις αρχές του προηγούμενου αίωνα, με εκτενείς περιγραφές του άγριου φυσικού τοπίου του νησιού (στο οποίο διάβασα ότι εκτυλίσσονται όλα τα έργα της). Μέσα από την ιστορία του φτωχού νόθου Ανανία και του υπαρξιακού του αγώνα να βρει τη μητέρα του που τον παράτησε η Ντελέντα συνθέτει ένα εντυπωσιακό ψυχογράφημα του νεαρού κεντρικού ήρωα και των διλημμάτων που αντιμετωπίζει στη προσπάθεια να νοηματοδοτήσει τη ζωή του, αφετέρου μια τοιχογραφία της προβιομηχανικής ακόμα κοινωνίας του νησιού και των προκαταλήψεων των φτωχών κατοίκων. Σήμερα διαβάζεται κυρίως ως ένα παλιομοδίτικο κι ακαδημαϊκό δείγμα λογοτεχνίας μιας άλλης εποχής, έχει όμως ένα ενδιαφέρον για τον τρόπο που η συγγραφέας αποτυπώνει τα ξεπερασμένα σήμερα, ανυπέρβλητα τότε ηθικά και ταξικά εμπόδια των ηρώων της και για τον λυρισμό των περιγραφών της.
Deledda dipinge una delle relazioni madre-figlio più complesse che abbia mai trovato in letteratura: il senso di colpa, l’amore, l’espiazione, la vendetta e il perdono. Un verismo crudo e senza pietismi indaga la Sardegna luccicante e arida di inizio ‘900, tratteggiando scorci e paesaggi che sembrano quadri. Cenere e rinascita, in un ciclo continuo.
Ancor prima di diventare donna, ancor prima di comprendere sé stessa e fiorire, maturare, crescere, Olì è spezzata in due dal vento impetuoso del destino, sola e senza amore in un mondo crudele che non le dà speranza.
Da giovane ragazza che raccoglie le erbe magiche nella notte di San Giovanni, Olì diventa una donna consumata dal dolore, dall’inganno, dalla solitudine. L’amore che era zampillato dal suo cuore, lo stesso sentimento di cui il suo amante aveva fatto incetta senza rimorso, ora è morto, bloccato sotto uno spesso e indistruttibile strato di ghiaccio.
È questo che ti fa la sofferenza: ti indurisce, ti gela il sangue nelle vene, ogni passione ormai pare inverosimile, assurda, ogni sforzo per riemergere vano. Olì non diventa più forte, bensì più disperata, con un figlio a cui badare e senza più una famiglia sulla quale contare. L’amante è ormai lontano, è tornato a Nuoro dalla moglie, alla vita di tutti i giorni, dimentico di lei e del bambino che hanno generato insieme.
Cosa può fare una donna sola il cui destino sembra ormai segnato per sempre? Quel destino che è come un filo, sottile, ma resistente, che ci trascina verso la disgrazia, senza che noi possiamo fare nulla per fermarlo. Olì, dunque, in un ultimo gesto di disperato amore abbandona suo figlio, Anania, e lo lascia al padre, sperando così che egli lo riconosca come suo, che possa garantirgli la vita che lei non avrebbe mai potuto dargli.
Grazia Deledda, segunda mujer en ganar el premio Nobel de literatura y la única escritora italiana que lo ha conseguido, construye una fascinante y completísima historia costumbrista ambientada en su Cerdeña natal a principios del s. XX. Me ha encantado.
"Cenizas" es un retrato magistral de la isla y sus habitantes, de sus costumbres y tradiciones, de sus mujeres. Nos cuenta cómo Olì, una chica de apenas quince años es expulsada de su casa y rechazada por su familia al quedarse embarazada sin estar casada. Tiempo después, presa de la desesperación y la pobreza toma la decisión de dejar a su hijo en casa del padre, sabiendo que solo así él tendrá la posibilidad de tener una vida digna. Pero el niño lo siente como un abandono y durante toda su vida se debate entre la contradicción de odiar a su madre por lo que ha hecho y la de intentar encontrarla desesperadamente y volver a hablar con ella.
La forma de expresar los pensamientos y emociones del chico es brutal, Grazia Deledda dibuja a un personaje atormentado, dominado muchas veces por las circunstancias, por su condición de bastardo, pero también con la determinación de revertir su destino. Apenas volvemos a saber nada de Olì, pero ella siempre está presente de alguna forma en todo momento, su ausencia lo llena todo. Me ha parecido una historia muy completa, impecablemente escrita, con muchas emociones y con unos personajes (incluso los secundarios) maravillosos. Sin duda se va a quedar en mi memoria por mucho tiempo.
Qué bien que editoriales como Ménades rescaten a autoras olvidadas como Grazia y nos vuelva a ofrecer sus obras en una edición muy cuidada, con un prólogo y nota de la traductora súper interesante y trabajado, que ayuda a entender muchísimo mejor el contexto. Muy recomendable, ojalá os animéis a conocer a Grazia.
La scrittura di questo romanzo dei primissimi del '900 ha una caratteristica particolare, cioè quella di essere molto rapido, con frasi quasi segate, a volte con bordi ruvidi su cui è facile tagliarsi e inciampare nella lettura. È un romanzo in cui tutto, persino la scrittura appunto, ricorda l'interruzione, la discontinuità e la sofferenza che ne deriva. Ci offre delle descrizioni meravigliose, sì, ma nella maggior parte dei casi non vediamo nulla, solo ciò che il protagonista pensa, come ingabbiando anche noi nel suo groviglio di credenze e emozioni, filtrando il mondo attraverso le immagini di una pioggia battente, del terreno che scompare tra i banchi di nebbia. La morale e l'etica, soprattutto quelle imposte dalla società, sono delineate con una chiarezza che sorprende, soprattutto se relazionate agli anni in cui sono state descritte. Complessivamente, una storia terribile che però conserva in sé la "speranza della cenere", lasciandoci con immagini strazianti ma in qualche modo anche salvifiche.
In questo romanzo seguiamo la tragica vicenda di Anania: un ragazzino dalla spiccata sensibilità e dal cuore grande, che in tenera età viene abbandonato dalla madre a Nuoro, dove si trova il padre.
L'abbandono della madre costituisce un vero e proprio trauma per Anania, il quale si chiede cosa l'abbia spinta a lasciarlo lì da solo e oscilla tra la rabbia e il desiderio di scappare nel Continente per ritrovarla e iniziare una nuova vita insieme a lei.
É una storia di colpa, abbandono, dolore, sacrificio, ma anche amore ed espiazione in cui l'autrice indaga i sentimenti umani nella loro essenza più pura, mettendo in luce l'impotenza degli esseri umani rispetto al loro destino, il quale è inesorabile.
Di Deledda avevo già letto e apprezzato tantissimo "L'edera" e con questo romanzo ho avuto la conferma di quanto io sia in sintonia con questa scrittrice: la scrittura estremamente poetica e le descrizioni della natura e del paesaggio, che fanno da sfondo alle vicende umane, avvolgono il lettore immergendolo in un'atmosfera quasi favolistica, in netto contrasto con la durezza e la crudeltà della realtà rappresentata.
I temi trattati sono molteplici: — il bisogno d'amore che ogni essere umano prova; — l'abbandono e la solitudine; — il legame con la terra natale e con il paesaggio naturale circostante, il quale assume un ruolo centrale divenendo un vero e proprio personaggio, testimone silenzioso di ciò che avviene sotto ai suoi occhi; — il rapporto madre-figlio; — la crescita e il passaggio dall'infanzia all'età adulta; — l'impotenza degli uomini di fronte al destino.
Es una novela decimonónica que por momento me ha recordado a Dostoevsky por la manera en la que se expresan los personajes y el tipo de tribulaciones que tienen.
Cerdeña tiene un gran protagonismo. La naturaleza de la isla, las tradiciones, el idioma sardo. Todo ello influye en los personajes y su modo de ver la vida, que suele ser trágico e hipócrita. La narración está salpicadas de expresiones sardas, de pequeñas leyendas propias de la isla, de actores secundarios llenos de gracia y entrañables como la tía Bárbara.
Me ha gustado mucho el libro pero si no le doy cinco estrellas es porque creo que el final falla un poco. Mi impresión es que es precipitado, volviendo una y otra vez sobre la misma idea. Aún así, he disfrutado mucho con la lectura.
Lo he leído en una edición de 1906, que es sorprendentemente buena y respetable con el original.
Gli ultimi tre capitoli mi hanno tenuta con il fiato sospeso. Tutto sembrava stesse andando per la direzione giusta, per quel destino che Anania sognava. Ma poi, quando era ad un passo dal coronare il suo sogno, tutto è andato in frantumi. Di tutte le sue speranze, di tutte le sue corse, di tutti i suoi amori, soltanto cenere resta. Romanzo triste, pur essendo un'opera partorita nel periodo più felice dell'arte della Deledda, ma molto profondo. Impossibile non immedesimarsi nei drammi di Anania. Il 4* dipende dal fatto che ci sono alcune parti un po' piatte, monotone, che non mi hanno trasmesso niente. Il ritmo è altalenante e non sempre sono stata in grado di seguirlo bene. Probabilmente è un mio limite.
Un lirismo senza concorrenti, che per me acquisisce questo peso anche per il legame che necessariamente ho con l’isola stessa. Questa storia è stata scritta più di cent’anni fa, eppure, anche quando ho provato a leggerne dei passaggi ad alta voce, l’eco è quella di persone, personaggi e ragionamenti potenzialmente contemporanei. Oggi, queste stesse dinamiche emozionali, le stesse nostalgie, la sete di rivalsa sociale, il grande, eterno e complicatissimo rapporto con chi ci ha messə al mondo, suonano allo stesso modo. Grazia Deledda non è stata resa immortale, lo era già. Perché era sopra il tempo, sopra i tempi.
“Cinzas” de Grazia Deledda, tradução de Graziella Saviotti, Sibila Publicações, Lisboa, 2018
Uma descoberta. Uma das coisas que os leitores adoram fazer é descobrir novos autores. Este foi o caso. Tropecei neste livro e resolvi ler este decadentista romance do início do século XX. Assim fiquei a conhecer uma nova autora, que me encantou, e um novo território literário, a Sardenha. Uma boa supresa.
Непогана класична історія дорослішання. Розповідає про хлопчика Ананія, якого "покинула" матір. Її образ постійно переслідує хлопця, що переростає в певну одержимість. Звучить це цікавіше, ніж написано насправді. Перша частина книги мені дуже сподобалась: цікаві персонажі, красиві описи італійської природи, смішні дитячі історії. Але чим далі дорослішав наш герой, тим більше історія стала просідати і нагадувати бразильський серіал. Нескінченні монологи і/або діалоги на межі драматизму, який, якщо дивишся зі сторони, взагалі не розумієш. Я не зрозуміла проблематики кульмінації, в чому взагалі драма? Розумію емоції головного героя, але все, що він говорив, робив і думав викликало тільки одну реакцію "wtf". І в цілому, його поведінка, а також ще деяких персонажів, виглядала якоюсь награною.
Il racconto è corposo e i personaggi bel delineati: in questa ferrea società o nascevi ricco o povero, o padrone o servo Sempre poetiche le descrizioni: la cenere è ciò che resta del fuoco e del loro amore: un amore controverso. Certo che dalle loro lettere non sembravano affatto dei ventenni: Margherita ai miei occhi risultava più giovane (con i pensieri effimeri delle adolescenti) e Anania un trentenne…
Un abbandono, un ricongiungimento, una rinuncia (che dapprima sembra dolorosa, poi forse un po' meno, per la consapevolezza che porta). Un mondo duro, con un'etica lontana da quella odierna. Non so dire se sia un romanzo invecchiato male: sicuramente certe situazioni non sono usuali, ma la forza dei sentimenti dei protagonisti è universale.
Cenere di Grazia Deledda è un romanzo maturo dove i personaggi si compenetrano con i loro caratteri e la natura. La terra sarda si adatta perfettamente ai personaggi e ai loro drammi. Sono personaggi di un mondo arcaico accomunati dalla povertà , dal dolore , dalla miseria e dall’abbandono. Oli è la protagonista assoluta di questo romanzo nonostante la sua assenza . La storia è avvincente, anche se narrata in uno stile molto lontano dalla letteratura contemporanea. In fondo sa un po’ di vecchio, un libro di altri tempi. Sono invece attuali le emozioni. Quello che mi è piaciuto è la narrazione della vita legata agli affetti familiari , un cordone ombelicale che non può essere reciso nonostante il dolore dei personaggi. Credo che sia anche il punto centrale del romanzo.
Un autentico viaggio, alla ricerca di se stesso. E' questa l'avventura del protagonista, combattuto tra un amore e un futuro promettente, e due madri, colei che gli diede la vita e quella terra che lo ha tenuto in vita, la terra sarda. Come ogni volta che mi ritrovo a recensire un libro che tratta di questa magica terra, penso di essere un po' di parte. Ma solo chi ha la Sardegna dentro può capire ogni riga di questo romanzo, ogni parola del dialetto scritta in corsivo. Molti non hanno voglia di sporcarsi le mani, di fallire, magari, e andare oltre. Oltre il mare, oltre le coste laziali; ma ne vale la pena. Perchè il fuoco dell'esistenza, spesso, si nasconde tra la cenere della sofferenza.
“Ora si, ora capisco che cosa è l’uomo: è una vana fiamma che passa nella vita e incenerisce tutto ciò che tocca, e si spegne quando non ha più nulla da distruggere.”
Promemoria per me e per chi lo vuole cogliere: la meravigliosa prosa di Grazia Deledda non si merita la sorte dell’audiolibro!!! A mio avviso questo libro è forse ancora più potente di Canne al Vento, ma ascoltarlo non mi ha fatto cogliere tutte le sfumature di questa bellissima scrittura e a tratti mi ha appesantito (narratrice bocciatissima). Insomma peccato, continuo a essere attratta dalla Deledda, che comprerò sempre in cartaceo d’ora in poi.
Meravigliosa! Una scrittura poetica, intensa, una Sardegna dura, stupenda, inesorabile. Per tutto il libro si respira un'aria di miseria e degrado eppure la vita pervade ogni pagina, nella fame, nella sporcizia nell'alcolismo c'è sempre sempre un desiderio di vita.
En la Cerdeña rural una adolescente Olì Derios tiene un hijo Anania ,fuera del matrimonio y con un hombre casado. Su familia la rechaza y se refugia en casa de tía Grathia dónde nacerá el niño y dónde vivirán hasta que este tenga siete años momento en el que lo llevará a casa de su padre y su mujer ,tía Tatana ,que lo criará con todo su amor.
Con una maravillosa ambientación que te hace ver y oler la naturaleza isleña y sentir y sufrir el costumbrismo y algunas de las tradiciones sardas compartiremos la vida de Anania con la presencia constante de Olì. La obsesión por encontrarla frente al temor de hacerlo y constatar que su madre es una "perdida" estará presente a lo largo de todo el libro.
Como también estarán presentes las mujeres de esa época,mujeres sin voz que estaban destinadas a sufrir de una u otra manera . Y también están presentes la pobreza, el machismo y las tradiciones. Pero también la lucha de las mujeres contra los prejuicios,su sufrimiento, su miedo a las murmuraciones y por supuesto su fuerza y la sororidad y el apoyo entre ellas.
Recomiendo mucho leer este libro por la historia que cuenta, una historia dolorosa . Por como lo cuenta ,con una maravillosa prosa precisa ,sencilla y sensible . Por el mensaje que nos deja , la lucha de las mujeres contra los prejuicios, su sufrimiento y el miedo al que dirán. Y por visibilizar a una mujer Premio Nobel ,injustamente olvidada
Da tempo non leggevo un romanzo così. Un verismo "regionale" intenso, con corrispondenze tra stato d'animo e paesaggio. "In mezzo ai campi, quell' anno coltivati dal mugnaio, sorgevano due pini alti, sonori come due torrenti. Era un paesaggio dolce e melanconico. Qua e la sparso di vigne solitarie. Senza alberi né macchie. La voce umana si perdeva senza eco."
"Come la terra che tra i vapori dell'alba s'avvicina al naviglio viaggiante. "
La relazione madre figlio è complessa: sensi di colpa, vendetta, amore, paura, abbandono.
Nella seconda parte del romanzo mi è risuonato da farmi ricordare il modo di pensare di Raskolnikov in Delitto e castigo.
Per certi versi, in alcune parti, mi è venuto in mente invece Momo di La vita davanti a sé, lui che la mamma non l'aveva mai conosciuta e rimane per sempre ad aspettarla ed immaginarla. E di Amerigo, nel treno dei bambini, lui che viene mandato al nord dove viene coccolato amato viziato e fatica a ritornare alla vita di prima tanto da non tornare più. Di mamme che "affidano" ad altri per lasciare spazio ai figli, di povertà e speranze. Espiazione e passione, di umana fragilità.
Inconsueta lettura, ma bello.
"Quel mucchietto di cenere gli parve un simbolo del destino. Sì, tutto era cenere: la vita, la morte, l'uomo; il destino stesso che la produceva. Egli ricordò che fra la cenere cova spesso la scintilla, seme della fiamma luminosa e purificatrice, e sperò, e amò ancora la vita."
Nella rurale Sardegna vive gente povera, generosa e orgogliosa ma anche grezze, luride e con la mentalità ristretta da qui iniziano una serie di eventi a catena: la famiglia di Olì la caccia di casa dopo aver scoperto che è incinta di un uomo sposato, Olì comincia così un'esistenza disgraziata e precaria tanto da indurla a lasciare il figlio Anania al padre e scappare, abbandonarlo lì sapendo che sarà meglio curato; Anania sarà per sempre turbato da questa sparizione improvvisa generando in lui amore, odio e vendetta nei confronti di questa donna, tutte le sue azioni saranno segnate da ciò. Un'altra grande scrittrice ha colpito nel segno, con una prosa corposa ma non pensante, descrizioni di paesaggi antichi e carichi di tradizione, personaggi spigolosi che non si smussano messi di fronte a scelte difficilissime.