Dolores Prato und das Buch ihres Lebens: „Ein magisches Werk, das in eine versunkene Welt entführt – das literarische Moment einer ganzen Epoche.“ Le Monde
International als Entdeckung gefeiert und nun erstmals auf Deutsch. Dolores Prato, die große Außenseiterin der italienischen Literatur, war achtzig, als sie das Buch ihres Lebens schrieb: die Geschichte ihrer Kindheit Ende des 19. Jahrhunderts in Treja, einer Kleinstadt in den Marken. Unehelich geboren, wächst sie bei Verwandten auf, fühlt sich ungeliebt und einsam. Ihr Blick ist klarsichtig und zugleich verzaubert, sie erzählt von häuslichen und religiösen Ritualen, von Karnevalsbällen bei Adel und Volk, und von magischen Praktiken. „Treja war mein Raum, das Panorama ringsum, meine Vision: Ort des Herzens und des Traums.“ Pratos „Meisterwerk“ (Le Monde) ist ein Atlas der Emotionen und das einzigartige Gemälde eines verschwundenen Italiens. Mit einem Nachwort von Esther Kinsky.
E’ difficile commentare questo libro, il commento potrebbe perdersi in mille rivoli, in mille sentieri quante sono le sfaccettature dell’animo di Dolores Prato che emergono durante la lettura. Nella prefazione si legge che sarebbe limitativo definirlo un’autobiografia, meglio definirlo uno sterminato soliloquio. Esso non ha la struttura di un’autobiografia, non c’è una sequenza temporale nei mille e mille episodi che Dolores racconta, c’è solo il ricordo di un’età, l’infanzia, trascorsa a Treja con due zii, lo zio Domenico detto Zizì, un sacerdote dal grande ingegno poco amato dalla Curia ma adorato dalla nipote, e la zia Paolina, chiusa nel suo mondo fatto di libri e di giornali di moda. Lei, una bambina nata da una relazione extramatrimoniale, in un periodo, fine Ottocento, in cui una tale nascita era una vergogna da nascondere, una “macchia indelebile”, che la madre ha dato via per non averla sempre avanti agli occhi a ricordarle il suo errore. L’infanzia risorge nella mente di Dolores non secondo ricordi logicamente e temporalmente concatenati tra loro, ma insorge improvvisa dalla vista, in età adulta, di un oggetto, di un nome di una via, dal profumo di un fiore, da una pianta, da un nome di una persona: gli oggetti creano il ricordo, si incarnano e diventano vita vissuta. Nonostante quanto sopra, il racconto non è un caos di episodi ammucchiati senza senso, ed è questa, secondo me, la bravura della scrittrice, che ha saputo amalgamare, in una raccolta organica, da tanti episodi, la sua intera infanzia fino al termine, al passaggio nell’età adulta, segnato dall’entrata obbligata in collegio. E in tal modo ho rivissuto le tradizioni religiose della mia terra, le tradizioni culinarie, le vecchie tradizioni contadine che i miei nonni mi hanno raccontato, le parole dialettali che Dolores ascoltava dai personaggi che abitavano il paesino di Treja, parole ormai dimenticate, ma che anch’io, leggendo, ho ricordato di aver sentito nella mia infanzia; ho letto la descrizione di località che ho visitato tanto volte, anche della mia città dove passo tutte le mie giornate, che viste con gli occhi di questa bimba solitaria hanno preso una luce diversa. Ho rivissuto insieme con la Prato “l’età in cui l’inconscio affiora senza ostacoli”, e mi si è parata dinnanzi la figura solitaria di questa bambina silenziosa, mai abbracciata, mai coccolata o carezzata, una bambina che “non è stata covata”, a cominciare da una madre assente, dagli zii che pure l’hanno amata ma a modo loro, senza carezze né baci, per finire a tutto il paese di Treja, che la ignorava. Mi rimarrà sempre nella mente la sua invocazione “mamma venì”, la richiesta di affetto rimasta purtroppo inascoltata.
Forse aveva ragione la Ginzburg e settecento pagine di puntigliosa descrizione della Treja dei primi del '900, completa di elenchi di persone da tempo passate ad altra vita, del loro abbigliamento, delle forme e numero delle loro stanze e delle parentele e di luoghi scomparsi, forse è davvero troppo. Forse no. Forse la forza di questo libro sta nella sua capacità di colpire per accumulo, di stordire il lettore con la sua forza di ripetizioni, elenchi, fatti, date, riti pubblici e privati, oggetti, odori e rumori. Costruendo così l'intera forza di un cosmo scomparso e in cui l'autrice resta, sospesa. Congelata nella sua diversità, ridotta a mero testimone dalla anaffettività che la circonda e la isola da tutto un mondo che lei, bambina, osserva e registra, in presa diretta, anche quando le mancano strumenti interpretativi per ciò che vede e non capisce. Un libro bello di una bellezza sottile e curiosa, che ho letto nel dilatato periodo di almeno tre anni, a volte perdendo un segno che potrebbe non esserci in queste pagine in cui un prima e un dopo, un sopra e un sotto, mancano sempre. Eppure, alla fine, stanco di Mari e Giudecche, di contadine e nobili, di preti, arcipreti, vescovi, maestre di scuola, osti, ricamatrici, ho chiuso il libro con rimpianto e con la sensazione di nostalgia di chi ha appena perso qualcosa di importante.
Dolores Prato (1892-1983) scrive le sue memorie d'infanzia, infanzia vissuta a Treia, un paesino della marche in compagnia di due suoi zii. Le scrive quando ha già 81 anni e le pubblica ad 88 anni con Einaudi, oggi il libro viene pubblicato dalla Quodlibet. Il titolo è "Giù la piazza non c'è nessuno". E' un libro davvero interessante, per molti aspetti comico, perché la bambina Dolores mette alla prova tutto quello che ascolta, parole italiane, modi di dire, termini dialettali, consuetudini tramandate. E il linguaggio della Prato è talmente carico di cose da dire che lei stessa afferma di saltare i verbi come se avesse dei ponti levatoi che si stanno alzando mentre scrive.
E' uno spaccato di un'epoca scomparsa quella di inizio novecento, ma è prima di tutto la mente di una bambina curiosa che mette tutto in discussione. Una piccola Proust in campagna.
Sua zia cerca di educarla secondo il passaparola tramandato e che nessuno ha verificato, tutti lo danno per certo, come quando dice alla piccola Dolores che pesa più la testa che il corpo, e lei non ci crede: vuole provare. Riporto il brano divertente, ma il libro ne è colorato interamente per tutte le 600 pagine.
"Gli insegnamenti della zia erano pochi, a raccoglierli si farebbe un galateo minuscolo: - Non si raccontano i sogni - Una vera signora sa sempre dove tenere le mani - Non si fa la croce con le posate - Non si capovolge il pane. Si rovescia la faccia di Gesù - A chi chiede come stai, si risponde: bene, grazie e lei? - Pesa più la testa di tutto il corpo
Questo mi arrivava alle spalle quando mi sporgevo dalla finestra. Non lo diceva lei sola, lo dicevano tutti in paese. Una cosa misteriosa: di che sarà piena? Mi afferravo al parapetto e provavo a sporgermi il più possibile: volevo avvertire questo peso; non ci sono mai riuscita. Pesa ma non si sente: un mistero".
Una cosa è certa, non è un libro per chi è in fase -macinapagine-, alla ricerca di un intrigo da divorare. Per chi invece volesse perdersi tra queste pagine, basta immaginare di essersi seduti ai piedi di un'anziana nonna, appoggiare il capo ed ascoltare il suo parlare lento e cadenzato farsi storia, abbandonarsi al languore dei ricordi, ad un racconto lungo e frammentato, a tratti onirico, talvolta confuso come certi ricordi d'infanzia, evocato in memorie malinconiche o in aneddoti velati da ironia. Natalia Ginzburg nella prima versione che curò ne tagliò una buona fetta, cercando di arginare il fiume di parole, e dare una maggiore leggibilità al volume. Dolores le fu grata della pubblicazione, ma non si arrese, voleva far straripare quel fiume. Così, in età sempre più avanzata, dettando a voce, continuò il lavoro su quel tomo di ricordi, che il nuovo curatore Giorgio Zampa definì di notevole "peso specifico", soprattutto per la qualità della prosa. Talvolta, non lo nego, ne sono stata sopraffatta, ho rallentato la lettura, ma posso dire alla fine che le quattro stelle le assegno volentieri.
Curioso un fatto: l'incipit è uno dei più particolari che io abbia letto finora. "Sono nata sotto un tavolino." Ed è quel punto, in fondo ad una frase così breve, l'elemento spiazzante. Ti chiedi dove, quando e perché! E poi capisci che sì, è tutto qui, perché "noi cominciamo ad essere col primo ricordo che portiamo in magazzino. Il luogo dove si ebbero i primi avvertimenti della vita diventa noi stessi." Ora forse ciascuno si chiederà qual è il suo primissimo luogo che si tramuta in essere e chissà di cosa scopriamo di essere fatti! Io? Be, io penso proprio di essere nata guardando un caminetto...
Exakt hundert Jahre vor mir, 1892, wurde die Autorin geboren und von der Mutter fortgegeben. So wuchs sie bei älteren Verwandten in den italienischen Marken auf, als Außenseiterin, nirgendwohin Zugehörige.
Von diesem Aufwachsen berichtet Prato als bereits über Achtzigjährige mit einem Werk, das im Nachwort des Buchs zurecht als "Werk der Weltliteratur" bezeichnet wird.
Ich habe selten ein so außergewöhnliches Buch von so hohem literarischen Wert und Anspruch gelesen. Es ist ein monumentales Erinnerungswerk in einer umfangreichen Detailfülle, die seinesgleichen sucht. Pratos Gedächtnis muss auch im Alter phänomenal gewesen sein (auch wenn sie im Text das Gegenteil behauptet, der einzige Satz bei knapp 1000 Seiten, den man nicht glauben kann). Alles wird erinnert, alles wird bis ins Kleinste beschrieben: Menschen, Straßen, Häuser, Orte, Gerüche, Spiele, religiöse Rituale, Traditionen, Zeremonien, Geschäfte, Mode, Essenszubereitungen, Tiere, Pflanzen, Räume, Gefühle, alltägliche Dinge, die durch Pratos enorme poetische Form zur Grundlage der Identität eines Menschen werden.
Der Roman ist ein im besten Sinne ausufernder Erinnerungsreigen und eine literarische Ich-Werdung eines Menschen, in dem es die zentralen Kindheitsjahre eines Menschen, dieser Dolores Prato, erzählt. Dies geschieht auf 1000 Seiten - ohne etwas, das man Handlung oder Plot nennen könnte. Es sind vielmehr unzählige Episoden, die scheinbar ungeordnet, unzensiert miteinander verschmelzen. Dies ist, auch wenn es wirklich ein Berg von einem Text ist, hoch poetisch und auch ohne klassische Handlung hoch spannend. Ich bin so versunken in dieser Welt, die hier erinnert und für mich neu geschaffen wurde, wie ich lange Zeit schon nicht mehr in einer literarischen Welt versunken bin.
Zu Lebzeiten der Autorin hat man ihren Text um 2 Drittel (!!!) gekürzt veröffentlicht. Eine Verstümmelung des Buches. Sogar Absätze und Episoden wurden in eine andere Reihenfolge gebracht, um es den Lesenden zugänglicher zu machen. Eine Schande, dass die Autorin die Veröffentlichung des vollständigen, ursprünglichen Textes Ende der 1990er Jahre nicht mehr erlebt hat. Umso dankbarer können wir nun dem Hanser Verlag sei , der erstmals die deutsche Übersetzung des vollständigen Werkes in Auftrag gegeben hat.
Das Buch ist ein literarisches Großereignis, ein zurecht als "fast vergessenes literarisches Meisterwerk" beschrieben. Der Reiz, der Zauber, ja die Magie dieses Werks liegt gerade in seiner Unordnung, seiner Assoziationskraft, seiner Aufforderung an die Lesenden, sich hineinziehen, sich vom Text verführen zu lassen, sich fallen zu lassen und selbst eine eigene Ordnung entstehen zu lassen. Das habe ich seit langem bei keinem Buch mehr erlebt.
Ich verstehe, wenn es als Herausforderung erscheint, 1000 Seiten ohne klassische Handlung vor sich zu haben. Ich gebe auch zu, dass es von Vorteil war, dass ich es im Urlaub - also mit viel freier Zeit - gelesen habe. Und auch, dass auch ich die ersten 80-100 Seiten gebraucht habe, um mich in diese Art des assoziierenden Lesens hineinzufinden.
Aber die Anstrengung, wenn man es als solche benennen möchte, wird belohnt durch ein monumentales Erinnerungsepos, das einen nicht mehr loslässt. Sprachlich überragend, formal außergewöhnlich erzählt es von der Kindheit, von der Ich-Werdung und Identitätsbildung eines Menschen, vom Alltäglichen und Gewöhnlichen in der denkbar ungewöhnlichsten und wunderbarsten Form!
DAS ist wahre und große Literatur!!!
5/5 Sternen. Wenn ich könnte, würde ich 10 geben. Ein sensationeller Start in mein Lesejahr 2025 und womöglich schwer zu toppen.
Das Buch hat 936 Seiten. Relativ klein gedruckt. Nach 100 Seiten dachte ich, ich lese das Buch nicht zu Ende. Ein uneheliches Kind lebt ziemlich isoliert von Außenkontakten bei Onkel und Tante, nicht verheiratet, sondern Geschwister. In dieser Isolation beschreibt die Erwachsene iim Rückblick im Detail alles. Küchengeräte, Zimmer, Stoffe, Straße, Bewohner, Häuser, Bilder... alles. Vieles wiederholt sich. Manchmal habe ich mich gelangweilt und dachte: Nicht schon wieder die Häuser, die Leute, die Kirchen. Natürlich hatte ich gehofft, irgendwann das Geheimnis zu erfahren, wer ihr Vater ist, warum Onkel, und Tante nicht über ihre Familie sprechen usw. Es gibt manchmal Andeutungen. Es gibt keine Auflösung. Und ich habe das Buch geliebt. Das ist auch eine unglaublich gute Übersetzung. Anna Leube soll bitte einen Übersetzer*innen-Preis bekommen.
Un tomo di 680 pagine, senza trama, fatto di ricordi, di memorie e di sentimenti. Non mi spiego come un'autrice simile sia sconosciuta ai più e il motivo per cui questo libro, intensissimo e unico, non sia considerato come una delle principali opere del Novecento. Non è facile recensire questo libro che racconta solo di infanzia, difficile e solitaria, ma allo stesso tempo fortunata e singolare. Dolores, bambina prima abbandonata e poi affidata alle cure di una coppia di anziani zii, fratello prete e sua sorella, cresce senza madre a Treja, cittadina marchigiana, vicina a Loreto. Il libro è autobiografico e scritto in prima persona dalla stesa Dolores, non ha trama, non segue sempre un filo temporale logico, è suddiviso in brevi capitoli (non saprei classificarli diversamente) e non presenta un dialogo. Si potrebbe suddividere l'esposizione seguendo i contenuti e i temi sviluppati nel libro come fossero delle correnti marine: - Treja: diventa la principale protagonista della vicenda vivendo attraverso i suoi innumerevoli abitanti, tutti rigorosamente descritti sia fisicamente che moralmente, le sue case, i suoi vicoli e le sue piazze; - gli zii: Zizì, un prete sui generis, cacciatore, mezzo scienziato e mezzo artista, è la persona più affettuosa e generosa che Dolores abbia vicina durante la sua infanzia; Paolina, la zia, avida lettrice, dal portamento nobile e fiero, con un passato misterioso, anziana e incapace di mostrare affetto verso Dolores, ma a cui vorrà invece un gran bene fino alla fine; - le parole e le cose: Dolores è sola per giorni e giorni, e allora si rifugia negli oggetti, casalinghi o meno. Leggendo il libro si riscoprono così utensili, attrezzi, giocattoli che si usavano tutti i giorni e a cui la bambina darà un'importanza vitale. Le parole sono importanti e la bambina Dolores impara a distinguere il linguaggio di casa da quello di Treja; - la nostalgia, la solitudine e il senso di abbandono: l'infanzia difficile e traumatica lascia cicatrici profonde nell'animo di Dolores. Tutte le pagine del libro sono pervase da un senso di nostalgia verso la propria infanzia a Treja che, nonostante tutto, si percepisce sia stata l'epoca più felice nella vita di Dolores. L'incomunicabilità è stato il problema più grande nella casa di Dolores e dei suoi zii: troppo piccola una e troppo anziani gli altri. - la Memoria: l'opera è un formidabile esercizio di ricordi, scritto con un linguaggio molto accurato, fin troppo ricercato, che mi ha ricordato le reminiscenze di Combray in Proust, nei suoi campanili, nei suoi sentieri e nei suoi salotti. Una narrazione che risulta a volte ridondante e che avrebbe avuto bisogno sicuramente di alcune sforbiciate. Natalia Ginzburg aveva messo mano all'opera riducendo il numero di pagine a circa 200/250. Non so, non l'ho letto. L'autrice, ormai novantenne quando terminò l'opera, pur ringraziando Ginzburg si era opposta a quest'operazione: forse l'ideale sarebbe stato stare a metà.
Giù la piazza non c'è nessuno è il canto splendido dell'infanzia di Dolores Prato, nata a Roma nel 1892 da una relazione illegittima, presto abbandonata dalla madre e affidata alle cure di uno zio prete e di una sorella di lui, a Treia, piccolo centro marchigiano. È un poema del ricordo, delle memorie infantili che rievocano luoghi, avvenimenti, persone con una sorprendente ricchezza di particolari ed una capacità descrittiva fuori dal comune. Dolores riporta in vita un mondo che non c'è più: il paese, le sue piazze e le sue strade, i negozi e le botteghe, gli oggetti di quella vita antica, i rituali, i giochi e le feste, il dialetto.
Un poema delle piccole cose, una sorta di lessico famigliare che non a caso piacque a Natalia Ginzburg, prima editor del romanzo che pubblicò nel 1980, riducendolo però drasticamente perché troppo lungo (e Prato non ne fu felice). Il lessico di Dolores al contrario di quello di Natalia che ne definisce l'appartenenza, sottolinea invece l'estraneità rispetto ai luoghi e al parlato di una bambina che cresce sola, silenziosa, non gradita alla comunità perché priva di madre e di padre, assillata dal mistero inestricabile della sua nascita e da quello che avvolge gli zii, lui sacerdote alchimista, amorevole ma sfuggente, lei per niente incline al sentimento materno.
Il silenzio della sua infanzia è rotto solo da zia Ernestina (ma chi era? dove abitava?): il volto vivace, i capelli ricci e corti come nessun'altra porta allora, con questa strana creatura apparsa per poche ore Dolores può esser bambina "anche di fuori", può sedersi sulle sue ginocchia e... "staccia minaccia, buttiamola giù la piazza...giù la piazza non c'è nessuno". E ancora, Scolastica delle scantafavole: chi era veramente? "Una vecchia donna di servizio vicina ad andarsene di casa?...Forse una vecchia povera..." che racconta di incanti e sortilegi e regala a Dolores la felicità e la meraviglia dell'immaginazione.
Ogni tessera di questo grande mosaico del ricordo riemerge e si manifesta alla ottuagenaria scrittrice senza ordine apparente, incastrandosi però perfettamente con ogni altra: così Dolores può finalmente legittimare la propria esistenza e riempire il vuoto di quella piazza.
Mag ik dit tot de 'gelezen' boeken rekenen? Ik kwam tot pagina 402 en heb het op advies van mijn vrouw opgegeven omdat ik te veel zuchtte tijdens het lezen. Ik had toen nog 427 pagina' te gaan. Ik had het kunnen weten, want een boek met één voorwoord en twee nawoorden behoor je te wantrouwen. Dan staan er vast onduidelijkheden in. Dat bleek te kloppen. Daar op het plein is een enorme kluif zonder lucht, zonder dialogen, vol eenmalige, kort optredende passanten, weinig actie en heel veel beschrijvingen. Ik snap best dat het een Belangrijk Boek is, maar ik snap nog beter dat het pas na de dood van de schrijfster in deze omvang is uitgegeven en meer reputatie dan lezers heeft, want dit boek lezen is werken. Iets voor literatuurwetenschappers dus. Eerder al was er, tot ongenoegen van Prato, een verkorte versie op de markt gebracht. Daar had het wat mij betreft bij mogen blijven. Dan had ik het zomaar twee sterren gegeven.
Een ongelooflijk gedetailleerde beschrijving van het leven van een jong meisje, het dorp, het huis, de straten, de bloemen, hoe bepaalde ambachten werden gedaan, de mensen, onderlinge relaties. Een nonkel en een tante (broer en zus op leeftijd) hebben haar op heel jonge leeftijd in huis genomen en grootgebracht. Wel gewetensvol maar niet liefdevol. Het boek is op latere leeftijd door Dolores Prato geschreven. 800 bladzijden, onderwerpen redelijk thematisch beschreven, geen verdeling in hoofdstukken maar met spaties. Het geeft een totaal beeld van een Italiaanse plattelandsdorp. Ik vond de passages waar ze dieper ingaat op haar eigen verhouding tot haar opvoeders het meest aansprekend. Ergens schrijft ze "verwondering is een visie tegen wil en dank, het is geen officieel leren, het is persoonlijk leren"
dopo l'edizione qui in copertina a dicembre 2024 ho preso l'ultima, sempre per Quodlibet. Un libro unico. Che resta. che puoi riaprire e riaprire. Lingua magnifica protagonista.
Si sente dire che i genitori���ci hanno fatto il dono della vita���no! Ce l���hanno imposto pensando a loro, non a noi, pi�� spesso ci hanno accettati. Se ci volevano il dono se lo sono fatto per loro, se non ci volevano, rassegnata accettazione, non donazione, la loro
Questa �� Dolores Prato, che con parole dure , decise e senza nessuna forma di autocompiacimento, ci spiattella tutto quello che ha da dire, quello che vuole comunicare a noi, ma soprattutto in primis a se stessa.
In tarda et�� Dolores scrive, mette bianco su nero, momenti della sua vita nell���esigenza primaria di fare luce, di colmare le lacune ���i buchi neri della sua memoria���, e finalmente cercare di capire di scavare nel suo dolore, quel dolore che nato e cresciuto con lei, gli si �� avvinghiato addosso come una seconda pelle e non l���ha pi�� abbandonata.
La scrittrice, attraverso questo ���Memoriale��� ha avuto il coraggio di affrontare la sua infanzia, perch�� da l�� tutto �� nato e tutto vi si riconduce. Un���infanzia la sua, segnata dall���abbandono della madre, cresciuta tra gli zii, che non erano in grado di dare le giuste attenzioni ad una bimba che cresce, non erano pronti a riversare su di lei, l���affetto, le carezze, i baci che ogni bimbo avidamente chiede.
Una bimba che nella propria infanzia �� stata privata dell���amore materno, di qualsiasi forma di affetto, crescendo si inoltra in una ricerca spasmodica di amore al quale potersi aggrappare con tutte le sue forze, la speranza ultima sta nel desiderio di poterne ricevere a sua volta, di riempirsi in tutto il suo essere, di amore, amore e ancora amore, di tutto quell���amore ,mai ricevuto.
Ma Dolores si ritrova a crescere da sola, la solitudine, la sua unica amica:
La solitudine mi dava meraviglie, le meraviglie, cancellavano la mia solitudine
.
Gli oggetti i suoi unici compagni di giochi, con essi si crea un mondo tutto suo, dove potersi rifugiare. Ed �� talmente immersa in questo universo immaginifico che riesce ���sentire il respiro del silenzio���.
La discontinuit�� del suo animo si riflette cos�� irrimediabilmente, anche nella scrittura.
Una scrittura apparentemente di getto, quasi come fosse un diario, in cui imprimere nell���immediatezza i labili ricordi di cui tenta di seguire l���invisibile filo che li lega indissolubilmente tutti insieme, a segnare e contrassegnare la sua infanzia. Non c����� dato scoprire quel filo, non ci �� dato di interpretare, ma di vivere direttamente ci�� che lei ha vissuto, non siamo lettori, n�� tanto meno spettatori, ma direttamente siamo dentro la sua storia e attraverso la lettura , ci permette di viverla e sentirla. Nel narrare stesso, a volte accenna a fatti, eventi o persone, altre volte, paradossalmente si sofferma molto a descrivere oggetti, stoffe, arredamenti, fiori in maniera quanto mai minuziosa, dettagliata . Fino a trasmetterci gli odori, le sensazioni tattili e visive .
Dolores narra, narra instancabilmente per quasi 700 pagine, ci restituisce il suo mondo direttamente attraverso i suoi occhi di bambina, narra per tentare di colmare le lacune, di risolvere i misteri che aleggiano intorno a questa memoria labile. Ma il tentativo si risolve nella semplice considerazione che la sua vita non �� stata altro che un continuo annaspare:
In una zona acquosa, senza rive, nuotavo alla ricerca di un ideale a cui afferrarmi, sul quale sostare dedicandogli la vita. L���ideale, che doveva essere altissimo o non essere, non lo trovai. C���erano anche i venti che affaticavano il mio annaspare.