Rubè (1921) è la storia di un uomo destinato ad essere eletto deputato in Parlamento per il collegio di Calinni, un paese del Sud, ma che gli eventi storici precipitano nella tragedia di una fine prematura e drammatica. Fin dalle prime pagine del suo romanzo, Giuseppe Antonio Borgese ci fornisce la chiave di lettura per comprendere la personalità e, di conseguenza, anche le vicende del protagonista. Tutto sta nella semplice filosofia di vita ereditata dal padre, che "giudicava che tutti, a cominciare da se medesimo, fossero intrusi in questo mondo, fuorché i geni e gli eroi". Questa sentenza inchioda Filippo Rubè a vivere la propria esistenza ("un involto che qualcuno gli avesse affidato senza dirgliene il contenuto né più passasse a ritirarlo") sospinto da un'ambizione disperata.
Ore 18:00 Filippo Rubè muore tragicamente, non è una sorpresa anche perché preannunciato dalla quarta di copertina, ma io ho il cuore gonfio per il modo in cui il personaggio arriva a questo epilogo. Finché avrò 100 anni continuerò a leggere romanzi di formazione anzi di “de-formazione” come in questo caso. Tema piuttosto sfruttato nel “canone siciliano”: giovane borghese con aspirazioni intellettuali approda al Continente animato da ambizioni smodate e si schianta contro la disillusione dell’Italia degli anni Venti, rimanendo un uomo mancato. Per quello che ho letto in giro, questo è stato un libro dimenticato e molto criticato in Italia, per un riflesso corporativo: Borgese era un critico letterario ergo la sua scrittura era troppo intellettualizzata e cervellotica e anche per un discutibile accostamento del personaggio a quelli dei romanzi dannunziani. Non appena tradotto in Francia sembra sia stato collocato dalla critica transalpina tra i libri fondamentali della letteratura italiana del ‘900 e un precursore del Neorealismo. L’ho scoperto dal libretto: 100 romanzi italiani del ‘900 di Giovanni Raboni e da alcune citazioni a denti stretti di Leonardo Sciascia, ottimo consiglio.
L'ho letto per l'università e devo dire che non è stata una brutta lettura. Mi piacevano molto i livelli di introspezione, ma non siamo ai livelli di Svevo... Mi è sembrato un po' a metà tra la carica grottesca di Pirandello e lo scavo psicologico di Svevo. Peccato che i personaggi mi siano sembrati tutti odiosi :/
Il romanzo di un inetto, non sfigura di fianco ai più noti lavori di Tozzi, Svevo e Pirandello. In alcuni passaggi lo scrittore cede al critico e la letteratura diventa raffinato, ancorché pesante, mestiere.
G.A. Borgese con questa opera ha distrutto l’intera corrente italiana del frammentismo e delineato i tratti del main character della letteratura del 900: l’inetto.
Nella città di Roma, fulcro di vetusta gloria e fervente ambizione, giunge Filippo Rubè, trentenne siciliano d'animo irrequieto, con l'ardente desiderio di cimentarsi nell'arte forense e di ascendere i gradini della politica. La sua indole, permeata di un interventismo acceso e di una certa presunzione intellettuale, nutrita da smodate quanto vaghe aspirazioni di grandezza, lo spinge - immaginando gesta eroiche e un rapido avanzamento sociale - ad arruolarsi volontario nel turbine della Grande Guerra, ove la cruda realtà del conflitto infrange ben presto le sue aspettative. Infatti, l'esperienza brutale e disumanizzante delle trincee si rivela un violento bagno realtà, che frantuma le sue velleità giovanili lasciandolo segnato da una profonda disillusione. Ferito in uno scontro a fuoco, e reso inabile alle fatiche della guerra, un'opportunità inattesa si presenta a Rubè: un incarico giornalistico lo conduce nella vibrante e cosmopolita Parigi. Nella capitale francese, centro di fermento culturale e di seduzioni mondane, egli viene introdotto in ambienti aristocratici e intellettuali, entrando in contatto con una realtà diversa e stimolante. Ed è qui che il destino gli riserva un incontro di singolare intensità: quello con Celestina, nobildonna francese di rara bellezza e di spirito raffinato, consorte di un Generale di alto rango. Tra i fastosi salotti parigini e le passeggiate lungo la Senna, tra conversazioni argute e sguardi carichi di sottintesi, fiorisce una passione inattesa e travolgente. Celestina, donna colta e malinconica, intravede nell'intelligenza vivace e nell'inquietudine di Rubè un'affinità spirituale che il rigido ambiente in cui vive le nega. Il loro legame si nutre di incontri clandestini, di lettere appassionate e di fugaci momenti di felicità rubata, intessendo una trama di desiderio e di malinconia sullo sfondo elegante e decadente della ville lumière. Tornato alla vita civile, Rubè si ritrova a vagare in un'esistenza precaria, tormentato da difficoltà economiche e da cocenti delusioni amorose. Il suo percorso sentimentale è costellato di incontri fugaci e insoddisfacenti, specchio della sua incapacità di stabilire legami autentici e duraturi. La sua passione politica, pur fervente, si scontra con la sua sostanziale inettitudine pratica e con un cinismo crescente nei confronti delle dinamiche di potere. Questi, dunque, si dibatte in un perpetuo dissidio interiore, oscillando tra l'anelito a lasciare un segno nel mondo e la consapevolezza della propria inadeguatezza. Egli si trasferisce a Milano, dove trova un impiego presso un'industria metallurgica e, poco dopo, sposa Eugenia, figlia di un Maggiore che il protagonista conosce agli albori del conflitto. Tuttavia, il matrimonio non serve a cambiare la condizione dei due giovani, che rimangono completamente incapaci di comprendersi affettivamente. Inoltre, a causa di alcune sue estemporanee esternazioni di simpatia per i movimenti socialisti, Rubè viene licenziato con la scusa ufficiale della crisi economica che colpisce anche l'impresa in cui egli lavora. Nello stesso tempo riceve dalla moglie la notizia della sua gravidanza e ciò lo fa cadere in una disperata angoscia. Ma un intermezzo piuttosto singolare irrompe in questo quadro desolato: Rubè, baciato dalla fortuna, vince una grossa somma di denaro al casinò, e in preda alla volontà di mutare il proprio destino, abbandona (da solo) Milano. Sebbene spinto da ben altre intenzioni, il protagonista si reca sulle rive placide e silenziose del Lago Maggiore dove, a distanza anni, incontra nuovamente Celestina, con la quale fiorisce una passione effimera ma intensa, destinata ad un tragico epilogo. Dopo questa catastrofica esperienza e innumerevoli tappe in giro per l'Italia (segno del suo tormento interiore), Rubè decide di ritornare da Eugenia, sperando nella sua benevolenza e perdono, e le spedisce un telegramma con l'intenzione di informarla che avrebbe fatto tappa a Bologna, prima di riprendere il viaggio per Milano. Ella legge il telegramma; decide non di rispondere ma di raggiungerlo direttamente presso il capoluogo emiliano. Tuttavia, i due non riescono ad incontrarsi e cosi Rubè, colto in momento e luogo funesti, incappa in una manifestazione socialista: cercando di sfuggire alla calca della folla, egli raggiunge la testa del corteo, ma proprio lì viene travolto a morte dalla carica della cavalleria. Viene infine portato all'ospedale, dove muore tra le braccia di Eugenia; ma iI trapasso non è sufficiente a dar requie al protagonista. Infatti, la sua memoria diverrà oggetto di contesa tra socialisti e fascisti, che cercheranno di appropriarsi della sua figura, travisandone la complessa e fallimentare parabola umana: i primi lo ricordano come un martire della causa, i secondi per il passato di "glorioso combattente".
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