“Il rumore di una tessitura ti fa socchiudere gli occhi e sorridere, come quando si corre mentre nevica. Il rumore della tessitura non si ferma mai, ed è il canto più antico della nostra città, e ai bambini pratesi fa da ninna nanna.”
“Questa è la mia gente. La mia gente che in tutta la vita non ha fatto altro che lavorare.”
Storia della mia gente racconta dell’illusione perduta del benessere diffuso in Italia. Di come sia potuto accadere che i successi della nostra vitalissima piccola industria di provincia, pur capitanata da personaggi incolti e ruspanti sempre sbeffeggiati dal miglior cinema e dalla miglior letteratura, appaiano oggi poco più di un ricordo lontano. Oggi che, sullo sfondo di una decadenza economica forse ormai inevitabile, ai posti di comando si agitano mezze figure d’economisti ispirate solo dall’arroganza intellettuale e politici tremebondi di ogni schieramento, poco più che aspiranti stregoni alle prese con l’immane tornado della globalizzazione. Edoardo Nesi torna con un libro avvincente e appassionato, a metà tra il romanzo e il saggio, l’autobiografia e il trattato economico, e ci racconta, dal centro dell’uragano globale, la sua Prato invasa dai cinesi, cosa si prova a diventare parte della prima generazione di italiani che, da secoli, si ritroveranno a essere più poveri dei propri genitori.
Edoardo Nesi is an Italian writer, filmmaker, and translator. He began his career translating the work of such authors as Bruce Chatwin, Malcolm Lowry, Stephen King, and Quentin Tarantino. He has written five novels, one of which, L'età dell'oro, was a finalist for the 2005 Strega Prize and a winner of the Bruno Cavallini Prize. He wrote and directed the film Fughe da fermo (Fandango, 2001), based on his novel of the same name, and has translated David Foster Wallace’s Infinite Jest.
Da quando mia figlia era adolescente ho preso l'abitudine di discutere con lei delle mie letture. Dopo un breve sunto mi piace commentare insieme a lei le riflessioni che la lettura mi ha indotto. E' stato un buon sistema per intrigarla nell'amore per la lettura, e anche ora che ci vediamo meno questo rituale non è mai stato abbandonato. Ma mi stupisco ogni volta che affronto un libro sull'attualità, i saggi sulla crisi e sulla globalizzazione o il mondo che cambia vedere quanto lei, della generazione che non guarda i telegiornali, non ascolta la radio, e mangia con il computer acceso accanto, vederla così informata, e accorgermi che ha idee "avanti", rielaborate al fuoco dell'esperienza giocata sulla propria pelle. Generazione Erasmus che guarda a questo Paese come a un mondo piccolo, che fatica a andare oltre i propri mugugni, che arriva tardi a ogni appuntamento con la modernità, e a tratti la rinnega per rincorrere chi non fa altro che rimpiangere il passato e i privilegi di chi non vede più in là del proprio piccolo interesse personale. Così, durante un pranzo al ristorante cinese, le racconto di "Storia della mi gente" fresca delle riflessioni scatenate dalla lettura, ma mi accorgo di essere rimasta indietro, mentre lei si relaziona con amici che vivono a Berlino, a Parigi, a San Francisco, se le parlo del distretto del tessile di Prato rovinato dalla globalizzazione, come mi ha spiegato Nesi, lei mi racconta dei ragazzi che hanno imparato ad adattarsi, a cambiare lavoro, nazione, lingua, perchè il mondo cambia in fretta, e lei che studia, come le ho sempre chiesto di fare, sa che comunque non starà con le mani in mano a rimpiangere quello che io ho avuto e lei non vedrà più. Mi guarda con disincanto, come se io avessi negli occhi il rimpianto del tempo dell'albero degli zoccoli, che era quello dei miei bisnonni, e un po' sorride confortandomi. Lo capisce benissimo che la giacca che le ho passato comprata coi miei primi risparmi (https://www.goodreads.com/review/show...) non ha niente a che vedere coi cenci di cui si parla nel libro di Nesi, e che indossa anche lei, e che le permettono di far finta di vestirsi alla moda, e non sono di quella bella gabardina che indossavano gli imprenditori pratesi. Io sono della generazione che aveva bisogno di toccare un tessuto prima di comprarlo, lei lo acquista online, quando ha dei dubbi mi manda una foto e mi chiede un parere. Insomma, il mondo va avanti caro Edoardo, e sì che te tu scrivi bene, con la lingua madre tagliente toscana che te tu c'hai, e stare a rimpiangere cosa avevamo non serve a niente, perchè com'è finito il mondo rurale dei miei nonni è andato a gambe all'aria anche quello del miracolo del Nord-est, che me lo ricordo che inondava la pianura veneta di capannoni con le "fabrichette" famigliari e venivano dall'America a capire come facevano e lì i ragazzi irridevano alla scuola perchè guadagnavano molto di più e subito. E sì che ce l'hanno insegnato che l'intelligenza è la capacità di adattamento, che sopravvive chi si adatta e cambia. Nel 2050 la metà dei lavori di oggi non ci saranno più. E te tu ci hai ragione, per dirla alla toscana, che avrebbero dovuto avvisarci e non rimpinzarci di balle spaziali. E mentre gli altri con la crisi tagliavano tutto fuorchè l'Istruzione, noi non si tagliava nulla, a parte l'Istruzione. Così loro hanno galleggiato meglio di noi governando il cambiamento e poi sono ripartiti. noi qui ancora a salvaguardare le pensioni dei vecchi e condannando il futuro dei giovani. Lei me lo ha già detto, andrà all'estero a cercare un lavoro che non sia un lavoretto, dove lo stage te lo pagano, e le competenze contano. Avrei preferito che lo scegliesse per curiosità e non per necessità. E alla fine il libro non è male Nesi, ma per uno Strega, accidenti, pensavo servisse qualcosa di più.
Ottima l'idea di raccontare la storia dell'azienda di famiglia come se fosse un romanzo. Però in questo libro non si trova sviluppo alcuno dell'idea. All'inizio pare un po' sconnesso e inconsistente, in seguito la scrittura acquista piglio e carattere: mi pare di capire che una parte di questa storia che l'autore intendeva raccontare si possa trovare nel suo romanzo 'L'età dell'oro', e certo mi ripropongo di leggerlo. Questo libro è come una lunga prefazione, una serie di pensieri in libertà, riflessioni e appunti, ricordi e citazioni, tra i quali si può cogliere anche qualche cenno relativo alla storia dell'azienda. Sia nei i temi trattati (non solo economici ma anche sociologici e culturali) che nella struttura utilizzata ho trovato molte somiglianze con 'Next' di Baricco e 'Gli zingari e il rinascimento' di Tabucchi. Lettura agile e piacevole ma trovo manchi assolutamente del peso specifico che un premio Strega dovrebbe avere.
Una prosa veloce, che restituisce l'inflessione toscana. Un intuito pronto. Rapide e brillanti associazioni d'idee. Una bella cultura, non appiccicata lì; di solito rara negli industriali e negli imprenditori. Il tutto per una lettura godibile, scorrevole, e al tempo stesso appassionata, intensa, ricca di senso. La società sta cambiando e non da oggi. Il punto di vista del piccolo imprenditore è uno dei tanti, in questo marasma, e serve ugualmente a capire. Completa il quadro. Almeno nella testa di chi un quadro completo vuole realmente avere. Perché non esiste una sola classe sociale. E non solo una classe sociale patisce gli stravolgimenti che stanno "centrifugando" il sistema Italia. Lo sappiamo bene tutti. Anche se per... campanile, stupidamente, lo tacciamo. Molto di ciò che qui si racconta è appassionante e condivisibile, anche dal punto di vista sociale; non solo da quello umano. Soprattutto se si legge il libro... depositando la tessera di appartenenza in un cassetto. Da italiani. Sottolineo ciò, perché molte delle critiche negative che ho letto puzzavano di preconcetto. E non erano (guarda un po'...) letterarie. Dal punto di vista letterario, invece, a questo libro manca secondo me... "la quinta stellina", perché il testo alla fine si perde un po' e la tensione cala. Un peccato, dopo le prime cento pagine da bere senza respiro. Non mi pronuncio, infine, sui premi letterari (credo che questo libro ne abbia vinto uno), ma lo fa l'autore per me, molto onestamente, a pag. 79: «Nel 2005 sono stato candidato al Premio Strega. O forse è stato candidato L'età dell'oro [altro romanzo di Nesi - nde], non ho mai capito come funziona. Me lo dissero tutti, fin dal primo momento, che non avrei vinto. Era l'anno in cui lo Strega l'avrebbe vinto Maurizio Maggiani - lo dicevano anche i giornali. E infatti vinse Maggiani...»
PS: leggo liberamente, con mente serena, per mia fortuna, e da lungo tempo ho abbandonato i consigli degli specialisti. Di qualsiasi settore.
It is a very difficult book to rate with a number of stars, so let's elaborate what I like and don't like about it.
I don't like the irrelevant mentions of books the author has read and movies he has watched. They have, at best, a very superficial relevance to the story being told. Maybe the author wanted to impress us how cultivated he is? I would prefer if he had written his literary and cinematic comments in a separate essay. They fail to add to the mood as well, other than to emphasise the he is not really a business man but rather an author.
The point of views he expresses as being a victim of globalisation are the core of the narrative. He is stuck in the idea that this could somehow have been prevented without ever in one sentence in the whole book sharing what that would have looked like. The loss of the textile industry is no different from the loss of farmers to mechanisation of agriculture or of artisans to industrialization in previous generations. Once again, there are no parallels drawn with those major restructuring of society. The apparent reason seems to be that, although never stated, they are attributed to advancement of Western civilization, whereas these latest developments are due to 'the economic arms of Chinese dictatorship' and Chinese immigrants that are happy to improve their own situation just a little bit without requiring the same standard of living as the Italians. He is all too happy to share details about their poor living conditions, but did not make a single attempt to listen to their story. Then again, the title of the book says it all. This is the narcissistic 'Story of My People'.
Nonetheless, I give it a 3 rating as it is always enriching to read opinions that are quite opposite to ones own.
For a view from a totally different perspective, I recommend "Factory Girls: From Village to City in a Changing China.". I hope Edoardo Nesi will read it too.
Bellissimo titolo, Storia della mia gente, che non rispecchia affatto il contenuto, che in realtà è "Storia di Edoardo Nesi, dei suoi pensieri, delle sue azioni, delle sue intenzioni, con un pizzico di autocelebrazione qua e là (e ogni tanto un po' di considerazioni su come la globalizzazione e i cinesi e i liberisti hanno ucciso il tessile pratese". Il libriccino si legge agilmente, e anche piacevolmente ma non va oltre quanto sopra detto, e l'analisi del fallimento del modello imprenditoriale italiano dal dopoguerra a oggi va oltre la chiacchiera da bar, per fermarsi al concione da caffè letterario. Ps: grazie kindle Ps2: poteva risparmiarsi tutti i riferimenti a Fitzgerald. Non è che a citare un grande scrittore si diventa scrittori migliori. Anzi.
Ho comprato il libro sull'ondata del clamore per la vittoria al "premio Strega" nonché per l'interesse che sollevava in me il tema trattato. Dal mio punto di vista, Nesi è il simbolo di tutto ciò che c'è di sbagliato nell'imprenditoria italiana. Gente che al posto di lottare e sforzarsi di evolvere verso una società globalizzata, si indigna con lo Stato, con i giornalisti, con i cinesi e con tutto il mondo, ignorando totalmente gli sbagli fatti in prima persona. Ma senza addentrarmi troppo nell'ambito economico, la cosa che mi infastidisce di più in questo libro è la falsità e l'ipocrisia. Nesi vuole ergersi a paladino dei piccoli imprenditori e degli operai, peccato che mentre loro stanno in mezzo alla strada, lui possa permettersi "due/tre martini in riva al mare". Non mi piace chi critica distruttivamente senza proporre soluzioni. Non mi piace chi scarica la colpa sugli altri per non fare autocritica. Non mi piace il messaggio che emerge: "Ai tempi vecchi si stava meglio". Se ai tempi vecchi si stava meglio si sarebbero dovute gettare le basi per quando sarebbero arrivate le difficoltà (perché prima o poi, nella vita di un'impresa arrivano sempre) e non chiudere gli occhi e godersela finché dura. Un'altra cosa che mi manda in bestia è la frase "l'illusione perduta del benessere diffuso in Italia". Il "benessere diffuso" che ha illuso le generazioni degli anni '80 e '90 è proprio la causa della situazione precaria odierna. Il debito pubblico stratosferico che oggi ci ritroviamo a combattere non è solo causa di una classe dirigente corrotta, ma anche di una classe imprenditoriale totalmente incapace di stare al passo col resto d'Europa. Quello che a Nesi sfugge è che i cinesi del 2000 sono gli italiani 1990, quando sfruttavamo la debolezza della Lira per esportare prodotti di scarsa qualità, ma più economici in tutta Europa e in tutto il mondo. Ma ora non ci resta che piangerci addosso come fa questo libro per 200 e rotte pagine. Preferisco decisamente altre letture.
Non solo non mi è piaciuto, ma è riuscito a irritarmi all'incirca ogni due pagine. Mi aspettavo - non solo da un industriale, ma da un vincitore di un premio prestigioso - una panoramica sul declino dell'industria tessile pratese, una panoramica sulla nuova industria cinese, una panoramica sulla situazione sociale di disagio di tante famiglie italiane rimaste senza lavoro, mi aspettavo righe che mi trasmettessero il grande rammarico di non riuscire a portare avanti un sogno, magari non un saggio ma un romanzo... Non so cosa mi aspettassi esattamente, sicuramente non questo libro egocentrico. Le righe trasudano la rabbia di un ragazzo/uomo che aveva grandi possibilità economiche che gli permettevano di realizzare tutto quello che voleva e che ora, essendo cambiata l'aria, non può più. Autocelebrativo e inconsistente: non storia della sua gente, ma la sua.
Sono figlia di un operaio, uno di quelli che, come dice Nesi "lavorano per vivere" e non vivono per lavorare. Uno di quelli che a 60 anni- ne aveva 15 quando ha iniziato - ha smesso di lavorare e grazie ai contributi da lui versati per una vita è andato in pensione. Non ha fatto l'imprenditore, non ha sfruttato il lavoro di altri per il proprio profitto, non ha venduto l'azienda mandando a casa gli operai e riuscendo poi a vivere di rendita - o - sempre come dice Nesi - scrivendo libri. Ma siamo proprio sicuri dell' onestà e trasparenza di questi imprenditori pratesi? Siamo proprio sicuri che siano stati rovinati dalla concorrenza cinese? Oppure non hanno voluto capire che per sopravvivere, volendo, si dovesse solo rinunciare a parte del guadagno... Ho i miei dubbi che la strada giusta fosse quella di evitare la concorrenza di altri, mantenendo inalterato il monopolio italiano sui tessuti che forse sono di qualità migliore, ma se così veramente fosse perchè questo non viene riconosciuto dal mercato? Perchè le ditte tedesche che per anni hanno garantito a queste aziende vita tranquilla e redditizia non continuano ad acquistare? Tutto questo nel libro non è chiaro. C'è solo il lamento di un povero imprenditore costretto a vivere di rendita dopo aver venduto la sua azienda, sinceramente non riesco a provare empatia!
Snobbato all'epoca dello Strega 2011, recuperato ora proprio perché "in fondo ha vinto lo Strega", è un libro superficiale e narcisistico, in cui l'autore da un lato si limita a lamentarsi della crisi del tessile nel pratese senza entrare davvero nel merito della questione (come libro di impresa non vale niente), dall'altro elogia le sue doti di privilegiato bevitore di Martini, emulo di Fitzgerald e, soprattutto, traduttore di Infinite Jest. Avevo fatto bene a snobbarlo.
Forte di esperienza specifica, personale e famigliare, Nesi racconta il grave declino dell’industria tessile di Prato - e di molti altri settori dell’industria italiana -, conseguente soprattutto alla mancanza di regole e di governo del nuovo mercato globale. Lo fa, Nesi, con una narrazione stilisticamente spigliata, carica di passione e di rabbia, in qualche passaggio forse appena un po’ saccente… La rabbia, in ogni caso, è ben motivata: per la piega drammatica e irreversibile degli eventi, per le carenze e gli errori della gestione politica della crisi, per la posizione assunta pervicacemente da economisti dal grande pensiero teorico ma poco attenti agli esiti pratici delle dinamiche in corso; una rabbia dall'insorgenza improvvisa, per esempio, alla lettura, in un editoriale del Corriere della Sera, delle parole di un importante esperto di economia, scritte mentre le fabbriche pratesi chiudevano una dopo l’altra o passavano in mano ai cinesi: “Il coordinamento delle politiche pubbliche, divenute vere politiche comunitarie in certe materie, ha permesso di governare l’apertura dei mercati nazionali senza determinare sconvolgimenti e promuovendo la crescita”. Erano parole di Mario Monti, il nuovo condottiero italico... ora più illuminato, si spera. (N.B.: Recensione datata 2.12.2011)
Il punto di vista di un riccastro bofonchione che si sbaglia su tutto e pare compiacersene. Quando cita gli scrittori per fare lo scrittore fa invece venire sonno, ma almeno finisce per rivelare che quando ha """"tradotto""" Infinite Jest ci ha capito veramente poco (l'avevamo intuito Edo, ma grazie lo stesso).
There wasn't much there in this book, imo. More explanation of the textile industry in Italy would have been interesting, more about his family, more about his workers, less of his own random musings.
Storia della mia gente" è il libro con cui Edoardo Nesi racconta la storia del Lanificio T.O Nesi & Figli S.p.a.
Lo definirei un libro rabbioso, permeato di una calma ira interna, più che comprensibile, con cui sono stati vissuti gli anni del decadimento dell'industria tessile pratese, fiore all'occhiello e vanto italiano nel mondo.
Da questo libro ne viene fuori che coloro che prevedevano una corsa dei cinesi all'acquisto del made in Italy hanno sbagliato totalmente e miseramente. I cinesi, infatti, il made in Italy hanno cominciato a produrlo mentre le fabbriche italiane dopo anni fiorenti e generazioni su generazioni passate tra gli stessi telai abbassavano definitivamente la serranda. Nesi ne parla senza mezzi termini, dal suo punto di vista, quello di un ragazzino cresciuto tra i tessuti prima e un imprenditore che ha chiuso l'azienda di famiglia dopo
Mentre lo leggevo la tristezza era inevitabile. In pratica inizi a leggere di una cosa bella, una cosa di famiglia, una cosa anche florida (almeno fino ad un certo punto) che però poi finisce. Tu che leggi lo sai bene che è finita ma nonostante questo vorresti che alla fine con un colpo di scena, di quelli che si vedono nei film americani, tutto si ribalti, quello che era un problema irrisolvibile tutto a un tratto ha una soluzione, quello che ormai era destinato a morire riprende vita da una piccola cellula tenace.
Nesi ci parla di globalizzazione e promessi vantaggi economici mai realmente arrivati. Parla di millantati lati positivi che alla fine sono diventati drammatici lati negativi.
Un libro decisamente avanti, che trattava più di 10 anni fa tematiche legate all' "impatto deflagrante" che il trasporto delle cose (tutte le cose, libri, cibo e oggetti di ogni genere) avrebbe avuto sul pianeta.
Avvertenza: certi passaggi sono come lana 100% vergine su pelle nuda; se avete la pelle delicata, è meglio indossare del cotone (alias, leggere altro).
Ho dovuto affrontare questo libro per dovere: una professoressa mi ha chiesto di approfondire il tema dei cinesi in Italia. Fa il nome di Nesi, dice: "Ha vinto il premio Strega qualche anno fa. Un ex industriale, divenuto poi parlamentare". Il profilo già non mi ispira, ma non voglio partire prevenuta.
Cosa c'è di peggio di un ex industriale che si reinventa politico? Un ex industriale, futuro politico, per passione scrittore. E che si sente un grande scrittore e intellettuale, per di più, costretto a fare l'industriale mentre il suo sogno nel cassetto è essere Fitzgerald o Wallace. Ma i soldi di papà per bersi Martini a Forte dei Marmi gli sono sempre piaciuti, per fortuna papà vende lana ai tedeschi. Poi le cose cambiano, la globalizzazione imperversa, i cinesi vengono a farci le scarpe -letteralmente- e il giovane industriale scrittore è costretto a chiudere l'azienda. Per carità, non sto a entrare nel merito del dramma di vendere l'azienda di famiglia; ma, sicuramente, di tutti i modi che aveva per raccontarci di Prato, dei cinesi, della sua famiglia e della sua gente (che, per inciso, nel libro è più invisibile dei cinesi stessi), del dramma che ha afflitto e affligge tante piccole industrie italiane, ecco, lui ha scelto proprio il peggiore. Se il titolo è sbagliato, il sottotitolo è azzeccatissimo: "Rabbia e amore della mia vita da industriale di provincia". Esattamente: questo libro non vi spiegherà come funziona un'azienda tessile, non vi racconterà come si sono insediati i cinesi a Prato, non vi tratteggerà le situazioni di migliaia di famiglie italiane rimaste senza lavoro. Né in maniera saggistica, né romanzata. Vi racconterà solo la rabbia di un figlio di papà un tempo in auge, che, crescendo, si ritrova a essere un provincialotto in un mondo decentrato. Vi declamerà il suo amore per la letteratura, per la scrittura e per la traduzione, perché, certo, riconosciamogli qualche merito: le estati da Giovin Signore passate negli USA lo hanno portato a una padronanza della lingua tale da essere ora in grado di tradurci "Infinite Jest". Stop, tutto qui.
Come farsi odiare pur avendo tutte le possibilità per farsi compatire: ché, sotto sotto, tutti abbiamo un po' paura dei cinesi, di questa comunità apparentemente così chiusa e silenziosa, di questi esseri umani che si disumanizzano, che vivono per lavorare e che sono i nuovi barbari freschi e vigorosi infiltrati in un Impero Romano ormai marcio e vizioso.
"NARRAMI, O MUSA, DEL PROTAGONISTA MULTIFORME, che tanto vagò: di molti libri e saggi lesse e scrisse, le città lontane visitò, di tanti bei film vide, conobbe i pensieri, molti dolori patì sul mare nell'animo suo, per riacquistare a sé la vita e alla sua gente il riconoscimento."*
Durante la Milanesiana 2007 il narratore di Nesi viene improvvisamente fulminato dal pensiero che al pubblico possa proprio interessar la storia di cui egli sta parlando, un problema che da anni lo tormenta: la soppressione dei sogni più deboli e innocenti sebbene più vitali degli artigiani d’Italia, e che il declino e la sofferenza della sua gente non vengano dimenticati.
Il narratore compirà presto cinquant’anni e sente il bisogno di stampare ciò che la sua vita è stata finora. Prova un certo disagio ad aver dovuto porre termine al dono dei suoi antenati, un'industria tessile, di aver rotto i legami con l’opera della loro vita.
Vuole capire come tutto sia collegato; quale ruolo ha avuto nelle reti di racconti in cui ha viaggiato finora; si siede al suo telaio immaginario a tessere dalla memoria gli eventi che hanno creato il professionista e l'uomo che è oggi.
Come si è trasformato da un figlio di papà che voleva solo leggere e stare lontano dal lavoro, che voleva solo fare viaggi continui negli Stati Uniti, a una persona leale verso la sua gente, i piccoli e medi imprenditori tessili che hanno mandato avanti la provincia di Prato dal dopoguerra.
Il narratore combatte per le aziende, come se fosse ritornato a casa come Ulisse dalla guerra di Troia. Carica il suo arco, contro gli intrusi sfacciati che hanno violentato il lavoro della sua gente, innanzitutto quei politici che non capivano come proteggere gli interessi economici degli artigiani dalla liberazione totale degli scambi commerciale durante gli anni Novanta.
È di una famiglia ricca. Da giovane non capiva davvero come fosse collegato il mondo; negli USA, a San Francisco, si chiedeva continuamente come potessero campare i cittadini senza lavorare nell’industria tessile. Da dove tiravano i denari? Non vedeva da nessuna parte delle costruzioni che assomigliavano a tessiture!
"Cantami, o Diva, dell'ira funesta dell’imprenditore tessile di Prato che infiniti addusse improperi ai sostenitori di una globalizzazione sfrenata."*
Letteratura e film lo aiutano a capire cosa è successo. È come se l'arte creasse; chi sono i suoi; dove ha le sue radici; come è diventato quello che è; come vita e arte siano indissolubilmente legate.
Quando il narratore visita il capannone dei suoi genitori, la tessitura, che ora è stato venduto, non può esprimere le sue parole. Quindi prende l'aiuto di un film, L'orgoglio degli Amberson di Orson Welles. Si ricorda una scena che riesce a descrivere pittoricamente l'interno di un palazzo di famiglia, la bellezza di un’epoca: la macchina da presa che si muove come appesa nell’aria nelle stanze splendidamente ricostruite della stupenda casa-castello. Si ricorda di aver letto come il grande regista commentò il film quando l’ebbe visto per la prima volta: che tutto era finito; che tutto apparteneva al passato. Questi dolceamari pezzi d’arte aiutano il narratore a rimpiangere il proprio tempo andato, ormai perduto per sempre.
All'inizio della sua carriera di apprendista nell'azienda, quando non sapeva davvero se stesse facendo la scelta giusta né come funzionasse la magia della vita, si portava sempre dietro il romanzo Sotto il vulcano di Malcolm Lowry, come se fosse il Vangelo. Forse lo era. Il protagonista del libro è inseguito da un complesso tenebroso di colpa ed è impotente nel risanare un rapporto con la moglie. Allo stesso modo, il nostro narratore non è sicuro che la vita professionale nell'industria tessile a cui si sta dirigendo sia quella giusta. In gioventù era un vagabondo irrequieto che aveva attraversato diverse volte l'Atlantico per gli studi universitari. In modo coerente, il personaggio principale di Lowry, vaga, confuso, senza scopo e significato nella vita.
Quando il nostro narratore, molti anni dopo, sorseggia un Martini sulla veranda di una famosa sala da ballo a Forte dei Marmi, ci spiega quanto sia incredibilmente felice. Coglie anche l'opportunità per informarci un po’ sulle abitudini alcoliche di altri grandi scrittori, come Fitzgerald e Hemingway. Entrambi morirono a causa della loro dipendenza dall’alcool. Il nostro narratore dice che vuole finire il libro che stiamo leggendo prima che anche il suo cuore si spenga.
Anche l'alcool nella vita dell'autore Malcolm Lowry porta gravi problemi ma modella anche il carattere del protagonista del suo capolavoro: un personaggio che inciampa inquieto cercando del liquore, in un piccolo paese in Messico durante la festa del Giorno dei Morti, che anche sarà il suo ultimo.
In Sotto il vulcano il vecchio mondo sta crollando; il nazismo è in aumento e la Seconda guerra mondiale è alle porte. Il protagonista, un console inglese, alcolizzato e sperso, girovaga in una cultura che non gli appartiene. Analogamente il sistema delle piccole imprese della regione del narratore si trovano ad affrontare cambiamenti molto impegnativi per il mercato del lavoro: disoccupazione e disperazione; immigrazione incontrollata; xenofobia; contraffazione; violazione del copyright. Riferisce che i politici italiani non hanno affatto compreso come proteggere e assimilare il mercato interno per sfidare la globalizzazione.
Eppure, è un libro del narratore stesso che definitivamente segnala il proprio destino. Durante una dimostrazione in difesa del tessile pratese incontra “la sua gente” che gli rende omaggio per aver predetto il declino del settore in un romanzo uscito 10 anni prima. Diventa un’illuminazione che gli permette finalmente di rendersi conto di chi è: lo scrittore che dà vita ai personaggi che ha dentro di sé; fantasmi che gli spiegano che il costo della vita sono i ricordi.
Ora sa che non vivrà più nella splendente bellezza fitzgeraldiana nella quale credeva di vivere quand’aveva diciott’anni e i suoi sogni non avevano limiti e il futuro era un grande dono luminoso. Infatti, già allora l’avvocato alcolizzato Frank Galvin [Paul Newman] nel film Il verdetto gli aveva fornito una perla di saggezza: “Nella vita perlopiù ci sentiamo smarriti”
* adattato liberamente dai proemi dell’Iliade e dell'Odissea di Omero.
BIBLIOGRAFIA
Homeros (1999). Iliaden [Iliade]. Stockholm: Natur och kultur Homeros (1995). Odysséen [Odissea]. Stockholm: Natur och kultur Lowry, Malcolm (1996). Under vulkanen [Sotto il vulcano]. Stockholm: EBFA Nesi, Edoardo (2012). Storia della mia gente: la rabbia e l'amore della mia vita da industriale di provincia. [Milano]: Bompiani. [Edizione digitale; eBook].
Ciao Nesi, non mi riconosci? Sono il direttore di banca di pagina 20, quello da cui, intorno al 1990, andavi a contrattare i tassi d'interesse, quel tuo coetaneo convinto come te di essere destinato ad una luminosa carriera. Intanto congratulazioni per lo Strega, davvero un gran colpo di coda dopo l'uscita dall'azienda. A me non è andata altrettanto bene: prima mi è toccato piazzare polizze index e derivati, adesso sto arrancando con l'ennesima colletta (pardon: aumento di capitale) per salvare la poltrona ai miei dirigenti. Ti confesso, forse non ero proprio direttore e non ero nemmeno in quell'agenzia, ma certamente stavo in provincia a farmi le ossa e, nella tua descrizione, mi sono riconosciuto in pieno.
Che dirti dopo questi vent'anni? Una certezza: l'era del decollo industriale italiano (1945-1990) ci ha regalato un progresso che non ha precedenti negli ultimi 500 anni di storia e difficilmente si ripeterà in futuro. Un'altra certezza: il ruolo di protagonisti di questi anni spetta alla miriade di piccoli imprenditori, partiti dal nulla, che hanno trascinato l'intera società fuori da povertà e sottosviluppo. Detto questo, si sente forte il bisogno di una grande narrazione di questa epopea. Con il tuo romanzo hai dato la sensazione di essere l'uomo giusto per il compito. Ci lasci quindi a desiderare un grande romanzo articolato su più livelli (qualcosa di simile a I Buddenbrook, Underworld o Romanzo Criminale) che sia veramente la storia della mia gente. Non solo della tua famiglia. Di tutti. Anche di me, mi raccomando.
Due stelle e mezza Uno strano ibrido fra un memoir familiare e un saggio socioeconomico sul fallimento del distretto tessile pratese sotto i colpi della globalizzazione. Se il memoir mi sembra un album fotografico che indulge al narcisismo, il saggio ricostruisce in modo piuttosto parziale e autoassolutorio il declino di una classe di imprenditori che pure Nesi ha raccontato altrove in maniera molto più vivida e, soprattutto, letterariamente convincente.
La storia di un distretto industriale, quello tessile di Prato, che negli ultimi anni è crollato. Nesi è figlio di imprenditori tessili e sa scrivere molto bene: ci racconta la sua storia e i motivi del fallimento del sistema che per anni ha fatto il sistema "industriale" italiano. Un punto di vista interessante.
Libro breve ma non di facile lettura come mi sarei aspettata. L’ho trovato giusto un po’ autocelebrativo ed egoriferito. Ad un certo punto ho dovuto fermarmi a riflettere, perché lamentarsi della globalizzazione e della crisi nel tessile italiano sembra essere un po’ superato come discorso, e invece no. La scrittura mi è piaciuta e la storia pure.
Avevo avuto notizia per la prima volta di questo libro e di questo autore grazie a un articolo di Ivan Scalfarotto, il noto dirigente del PD, venendo tra l’altro a sapere che ha vinto il premio Strega. http://www.ilpost.it/ivanscalfarotto/... In sostanza si tratta di un libro quasi autobiografico, non di un romanzo. L’autore, ultimo figlio di una famiglia imprenditoriale di Prato nel campo della manifattura tessile, nonché scrittore e grande esperto di letteratura (soprattutto americana) racconta per brevi note la storia della sua famiglia, della sua terra e del successo economico che in essa si è sviluppato dagli anni 50 del secolo scorso in poi, fino ad arrivare alla grande crisi degli ultimi tempi seguita alla globalizzazione e alla concorrenza dell’Oriente. E’ ovviamente una storia intrisa di dolore, che descrive dapprima lo sviluppo sensazionale di un’economia, con conseguente crescita del benessere e facili arricchimenti, seguita da una repentina decrescita e dallo spettro di una povertà incipiente che sembrava essere stata debellata per sempre. Edoardo Nesi se la prende molto con la globalizzazione, con lo sviluppo acritico di un mercato unico che teoricamente, nelle parole di illustri economisti, avrebbe dovuto portare benessere per tutti e invece ha portato irrimediabile impoverimento da un lato, sfruttamento forsennato della forza-lavoro al limite dello schiavismo dall’altro. Scalfarotto ha dichiarato di apprezzare questo libro sotto il profilo della forma letteraria, meno sotto quello contenutistico. Vi ha ravvisato infatti un atteggiamento imprenditoriale molto conservatore, fatto di realtà produttive piccole e poco propense ad andare oltre una rendita meramente di posizione, e anzi del tutto incapaci di investire in ricerca o di inventare qualcosa di nuovo. Questo suo parere, nonché i commenti dei lettori del blog, schierati equanimemente da una parte o dall’altra, mi ha fatto venire la curiosità di leggere il libro, cosa che ho fatto ieri (in effetti è un libretto di lettura rapidissima). Devo dire che, dopo la lettura, mi sono ritrovato ad avere un parere che è un po’ il contrario di quello di Scalfarotto. Sotto il profilo letterario mi aspettavo decisamente di meglio da un’opera che ha vinto il premio Strega ; voglio dire, non è che manchino pagine con una loro intensità emotiva, anzi; ma è un po’ tutta l’opera a sembrare, più che un tutto organico, uno zibaldone di appunti tenuto insieme dalla voglia di polemizzare sulle scelte economiche degli ultimi anni e di esprimere il proprio disagio per un’economia che va a rotoli producendo un ampio ventaglio di sofferenze materiali. Al di là di questo, la critica che Nesi fa al pensiero economico della globalizzazione, e all’irresponsabilità degli economisti e dei politici che hanno portato a questo, mi pare che ci sia tutta: per quanto si possa fare ricerca e sviluppo, per quanto si possa avere una mentalità visionaria e immaginifica, non è che si possono creare organizzazioni dove oggi ci siano tanti ricercatori e sviluppatori quanti erano gli operai di ieri, e soprattutto costringere gli operai – o i loro figli – a diventare ricercatori e sviluppatori. Oltre tutto, che senso può avere ciò in un distretto tessile, dove sostanzialmente le idee, che pure ci sono, sono poche (nel senso che non ne servono molte) e dove invece servono (servivano) molte mani per azionare i telai? A volte sembra che i guru dell’economia pensano a un sistema produttivo occidentale fatto più di idee che di prodotti – quelli va bene che li facciano mani cinesi o indiane – senza arrivare a capire che di Silicon Valley ce n’è già una e tutto sommato basta per tutto il mondo (e manco lì ultimamente, pare, se la passano troppo bene). Con tutte le riserve del mondo, è difficile dissentire da Nesi quando afferma che “la totale liberazione degli scambi commerciali avrebbe portato al mondo – a tutto il mondo, senza distinzioni – molti più vantaggi che svantaggi” non sarebbe altro che “un dogma bambinesco”. O che ci troviamo in “un mondo governato dai dogmi e dall’arroganza intellettuale degli economisti, i quali ogni giorno si lanciavano (e ancora, incredibilmente, si lanciano) a predire il futuro come i santoni, o gli sciamani, o i profeti. Come i veggenti, i cartomanti, gli invasati”. Splendido, poi, il modo in cui Nesi smonta il concetto di “nicchia di specializzazione” partendo proprio dal significato letterale della parola “nicchia” per definire che si, le nicchie ci sono, ma per definizione sono piccole, c’è posto per pochissimi, non per un’intera nazione. Oppure quando dice che manifestare, scioperare diventa protestare “contro la sostanza stessa delle cose, contro idee immateriali eppure potentissime, condivise più o meno ovunque oltre le nostre mura, un po’ come se si protestasse contro il firmamento chiedendone uno più luminoso, o contro l’inverno freddo”. O che “i soldi che oggi risparmiamo comprendo i prodotti cinesi sono quegli stessi soldi che servivano a pagare gli stipendi degli operai italiani, i mutui delle loro case e le loro pensioni, i loro ricoveri in ospedale, le scuole dei loro figli, le loro macchine e i loro vestiti. La loro vita, la nostra vita”.
Iniziato con qualche perplessità, poi man mano ha preso forma e la lettura è stata scorrevole e interessante. Avevo dei preconcetti sulla situazione delle imprese tessili di Prato, con questo libro ho compreso la complessità, la fatica e la lotta di questo settore. Lettura consigliata
Nesi ha talente, puo essere davvero commovente, pero e anche molto pieno di se, e questo libro e piu "la storia dei grandi scrittori che ho letto e ho conosciuto che "la storia della mia gente"
A great, albeit sad, story about the impact of globalization. The execution sometimes veers towards exceedingly dramatic, but I definitely recommend reading this book.
Un ensayo y unas memorias con unas pinceladas de novela. O sencillamente un abrirse al mundo y vomitar todo eso que el escritor llevaba dentro. Sea lo que sea, Edoardo Nesi te obliga a replantearte tus ideas, a reflexionar sobre esta globalización que nos han vendido como algo inevitable y bueno para todos, o a simplemente poner en orden las ideas que ya tenías.
El escritor te lleva de la mano por la historia textil de Prato, su ciudad en la Toscana, y te suelta en cualquier momento para que te eches las manos a la cabeza al darte cuenta de que hemos cavado nuestra propia tumba y de que ya no hay nada que hacer.
Aunque Nesi hable del “Made in Italy”, podría ser un “Made in cualquier país que no sea China”, y es imposible no pensar en España y en Europa, aunque en algún momento te dejará caer que hubo países que sí blindaron sus industrias y no tienen el enorme problema que tenemos los que desde siempre al haber tenido a incompetentes al mando. Incluso puede que de repente pienses un “a ver si Trump va a llevar razón en esto…”.
Quien no se sumerja en el texto y no tenga una mente flexible, lo tachará de racista, pero nadie le quitará la razón de que en Italia (y por lo tanto también en España) la guerra económica está perdida, que esta sociedad del bienestar tiene los días contados y que el modelo chino es imparable, esclavitud incluida.
Conocí Prato hace menos de un año, descubrí un poco su historia, aluciné con sus naves industriales, sobre todo esas que se quedan junto a la autovía, en las que están encerrados ciudadanos chinos que posiblemente no sepan ni en qué país malviven, explotados por sus propios conciudadanos, que colocan un “Made in Italy” a todos los productos que salen de sus manos, y que dejan 0 euros a la economía del país y a los italianos. Y mientras, la generación de prateses a la que le tocó perder todo lo que sus padres habían creado en el sector textil, esa que representa a todas las industrias italianas a excepción de la Fiat, Alitalia, Ferrari y poco más, esas olvidadas por los políticos y que han quedado borradas de un plumazo, se manifiestan contra un no se sabe qué, pidiendo un no se sabe qué, porque no se puede luchar contra la globalización y mucho menos contra China.
“Prato non chiude” (Prato no se cierra), se lee en la pancarta… Pero la Prato italiana è già chiusa, ya cerró. La Prato china, con sus esclavos, con sus mafias, con su sistema de producción, con su riqueza para cuatro y empleo para ninguno, ya ha llegado para quedarse. Y en España, también.
Si lo lees, lo entiendes y tienes empatía, probablemente no vuelvas a comprar en Aliexpress. Quizá ni siquiera a Amancio Ortega.
No vamos a pasar hambre por comprar en las tierras del barrio. Pero si no lo hacemos, mucha gente podría pasar hambre.
Romanzo, saggio, memoir autobiografico: non è facile né indispensabile etichettare questi pensieri e dissertazioni in libertà, infarcite di citazioni letterarie e cinematografiche. Nesi è scrittore ed è stato imprenditore fino al 2004, quando ha venduto l’azienda di famiglia, un lanificio che produceva e vendeva tessuti da tre generazioni in tutta Europa, una delle tante imprese del distretto tessile di Prato, entrate irrimediabilmente in crisi negli anni duemila. Racconta la fine delle illusioni di un’intera collettività e di una generazione che pensava di avere il futuro in mano e invece si trova a fare i conti con chiusure e licenziamenti e un reddito inferiore a quello dei genitori perché l’ascensore sociale si è fermato. Tra un amarcord e l’altro si lancia in invettive contro la globalizzazione, l’apertura dei mercati, in particolare alla Cina, che hanno condannato al fallimento migliaia di aziende della provincia italiana, tagliate fuori senza scampo, con l’unica colpa forse di essere stati degli splendidi artigiani, e non degli industriali. Se la prende con gli economisti dei giornali e con i politici che hanno avallato e firmato trattati senza problemi in nome del libero mercato… tira per la giacca anche Mario Monti che nel 2010 non era ancora presidente del consiglio (però nel 2013 Edoardo Nesi venne eletto alla camera nella lista di “Scelta Civica”, il partito di Monti… )Per essere una storia collettiva è però troppo ombelicale, troppo memoir personale con punte di narcisismo quando con nonchalance cita di aver conosciuto questo o quello scrittore (grande ammiratore di Foster Wallace, di cui ha tradotto Infinite Jest…) o del suo modo di percepire la musica o dell’aperitivo alla Capannina con la figlia. Si legge senza dubbio piacevolmente, perché Nesi la sa raccontare e alcune pagine meritano – l’ispezione delle forze dell’ordine nel laboratorio cinese senza nessun rispetto delle regole è tra le parti migliori fino al finale che rappresenta la resa della sua gente, riunita a manifestare ma senza convinzioni – ma alla fine rimane una sensazione di impalpabilità, di mancanza di spessore. Dopo la lettura di I lupi dentro, buon romanzo generazionale ambientato sempre a Prato, avevo aspettative migliori. Tre stelle P.S. Ha vinto il premio Strega e non so spiegarmene il motivo…
Questo libro, strano vincitore del premio Strega, è un saggio autobiografico che si presta a una doppia lettura. Da un lato il rimpianto della ricchezza di una parte del mondo produttivo scalzato dalla globalizzazione. Dall’altro la globalizzazione, un mondo che va veloce e soprattutto un mondo che è cambiato e continua a mutare. Il libro mi ha fatto sorgere molte domande. Una tra tutte. Nesi è figlio e nipote di industriali. Industriali che, ammette lo stesso Nesi, non dovevano avere chissà quali competenze. Tutti - TUTTI - coloro che che avessero avuto voglia di lavorare avrebbero fatto soldi. Arriva poi la globalizzazione e con esso il cambio di paradigma. Non bastava più avere qualità. Non bastava essere normali. Bisognava evolvere. Ma per evolvere bisognava avere strumenti culturali e capacità di evolversi. La concorrenza cinese, le paghe basse dei dipendenti con gli occhi a mandorla, la richiesta di materiali meno pregiati, ha spazzato via una fetta della manifattura italiana. La cosa che manca nel libro di Nesi è l’autocritica. Si tende, più che velatamente, a dare le colpe ai vari governi che non hanno saputo difendere il Made In Italy. Tra le mie competenze c’è la finanza ma qui si sfocia in temi macro economici che sono interessanti e articolati. A fine libri resta la domanda: è possibile fare impresa nel 2022? Credo che la risposta più intelligente possa essere: si, se solo ci si evolve e si danno risposte alle richieste dei consumatori.
La prima volta che ho visto Edoardo Nesi è stato mesi fa in tv ad otto e mezzo su la7. Mi ha subito colpito e così ho deciso di leggermi uno dei suoi libri, scegliendo "Storia della mia gente", incuriosito e interessato ad approfondire la realtà pratese e la crisi del tessile di inizio secolo. Infatti, io fiorentino di nascita, poco sapevo di Prato se non per una breve parentesi lavorativa fra l'altro proprio negli anni della vendita dell'azienda di famiglia del Nesi. Durante tale periodo mi sono reso conto della grande differenza fra Firenze e Prato, sebbene siano separate da pochi km. L'una città d'arte, di turismo e di botteghe (e bottegai), l'altra città industriale di piccoli imprenditori. Così vicine ma così diverse! Mi aspettavo un libro che descrivesse la storia dell'azienda di famiglia, dagli albori, al successo fino alla crisi ed alla cessione dell'attività. Invece non si tratta di una storia organica o strutturata, ma piuttosto di una serie di capitoli che descrivono momenti, passaggi e trasformazioni come una serie di istantanee da cui poter ricostruire e percepire l'intera storia. Ciononostante non sono rimasto deluso ma piacevolmente sorpreso. Lo stile è schietto, chiaro e diretto, molto toscano e questo rende il libro molto coinvolgente, palpitante e vivo. Spesso traspare un senso di rabbia e tristezza ma non di rassegnazione né di sconfitta, grazie anche alla volontà di continuare a stare a fianco della propria gente. Notevole infine il capitolo intitolato "Sistema Italia", che ho trovato molto chiaro, illuminante e (purtroppo) ancora tremendamente attuale sebbene scritto oramai 7 anni fa.
Edoardo Nesi racconta in Storia della mia gente la parabola di una famiglia e di un intero distretto industriale: quello tessile di Prato, un tempo orgoglio del made in Italy, oggi travolto da una globalizzazione che ha stravolto regole e dignità del lavoro. L’autore, erede di una storica azienda manifatturiera, affronta il tema della concorrenza sleale della manodopera cinese e del conseguente declino di un sistema produttivo fondato su qualità, conoscenza e appartenenza al territorio.
Con nostalgia e lucidità, Nesi ricorda la fabbrica dei nonni e il giorno in cui fu costretto a chiuderla. Ma la malinconia non diventa mai autocommiserazione: è piuttosto un modo per riflettere sull’Italia che cambia, sul valore del lavoro, sul peso delle scelte e sulla perdita di un’identità collettiva. La scrittura è limpida, appassionata, e alterna la memoria personale alla riflessione civile, con una forza narrativa che tiene il lettore ancorato fino all’ultima pagina.
Un libro che parla di famiglia, lavoro e futuro, ma soprattutto di un Paese che ha smarrito il senso del suo fare e della sua bellezza produttiva.
Edoardo Nesi – Storia della mia gente Ed. Bompiani ⭐⭐⭐⭐☆ (4/5)