Cosa direbbe se fosse ancora vivo José Saramago, scrittore portoghese, classe 1922, giornalista, drammaturgo, poeta, critico letterario etc., etc., se oggi accendesse la tv, se leggesse le notizie quotidiane?
Che significato darebbe alla parola democrazia?
Quali parole userebbe per commentare la crisi dei migranti, la disoccupazione forte e non transitoria?
Cosa direbbe ai signori dei disastri che sfruttano crisi ed emergenze per farne squallidi profitti?
Cosa scriverebbe su cosa rimane dopo incendi assassini a far morire le nostre terre sacre, in estati torride come da tempo non se ne vedevano?
Cosa direbbe di fronte alla minaccia di sistemi d’arma robotici capaci anche di agire automaticamente?
Cosa pronuncerebbe di fronte all’escalation della tensione fra leader che sembrano alieni d’umanità?
Cosa direbbe a chi dice di voler mettere in contatto le persone ma in realtà ci sorveglia come una sorta di grande fratello contemporaneo, vendendo i nostri dati al miglior offerente?
Non rimarrebbe neutrale, criticherebbe in modo aspro, polemico, provocatorio… ne sono certa! Probabilmente direbbe ancora che l’uomo più saggio che abbia mai conosciuto non era in grado né di leggere né di scrivere, riferendosi a suo nonno.
José Saramago vedrebbe ancora la nostra terra come Terra del peccato e proporrebbe ancora ai lettori il suo Cecità.
È questo il libro che abbiamo scelto da leggere e commentare nel gruppo lettura in biblioteca nel mese di settembre, insieme ad un altro breve straordinario racconto Il paese dei ciechi di H.G. Wells.
Questa volta non ne voglio raccontare la trama, dirò solo che Cecità è un romanzo di critica sociale e fantascienza apocalittica che inizia in modo surreale e termina in modo altrettanto strano.
Concedetemi un po’ di licenze arbitrarie e personali, ma se dovessi abbinarlo ad un quadro ne proporrei uno di Dechirichiana memoria o un Redon Odilon, metafisici, simbolici e un po’ terrificanti, “Il ciclope”, ascoltando magari le note di Fear of the dark degli Iron Maiden. Lo so, ho abusato di troppe connessioni. Cecità è un testo di sostanza, eterno. Sarà questo il motivo per cui anche i suoi personaggi non hanno nome o la città non è mai nominata? I suoi protagonisti sono validi per ogni tempo e spazio. Lo stile di scrittura è un fiume in piena, ti getta parole in faccia e ti costringe a vedere le brutture del mondo, le porta all’eccesso e ti fa male, ti porta a vivere angoscia e ansia.
Saramago non offre nessun appiglio attraverso la punteggiatura, ne fa un uso anticonvenzionale assoluto, non segnando le domande con punti interrogativi e realizzando periodi lunghi per pagine intere. Il libro scelto questo mese va assorbito, digerito. Io devo ammetterlo l’ho letto in modo veloce, forse troppo! L’ho letto come quando si ristudia un libro per la terza volta, un po’ saltando le parole, come una lettura in metropolitana cercando di non perdere la discesa stabilita, come se dovessi scoperchiare urgentemente una sorta di incoerente e audace vaso di Pandora, fitta di suggerimenti filosofici, mitologici: Hobbes, Locke, il mito della caverna di Platone, altri romanzi distopici persino Lost.
L’ho letto come quando vedo immagini di campi di concentramento, piazze insanguinate, bambini inermi su spiagge senza felicità… so che dovrei guardare ma ne ho paura… angoscia… a volte distolgo lo sguardo. L’ho letto come se fosse impellente per me il bisogno di trovare riferimenti stabili e consolatori.
Hanno ragione le altre lettrici del gruppo (Sonia, Alessandra, Marianna, Loretta, Annamaria, Valentina e tutti quelli che l’hanno letto ma non sono potuti venire all’incontro): il libro merita “cortesia di lentezza”, non perché José Saramago abbia vinto con esso il Nobel nel 1998, ma perché attraverso l’uso dell’ironia, per me chiave straordinaria di interpretazione del reale, non risparmia ai suoi personaggi critiche ai loro comportamenti, li descrive dettagliatamente nei loro pregi, nei loro difetti. Di fronte ad un’umanità così corrotta, ma anche così fragile, così profondamente umana, di fronte ad una società così cieca, forse gli unici ganci responsabili sono la pietas, la compassione e la solidarietà. Sono parole non a caso femminili come la protagonista che porta luce nel caos-buio del romanzo di Saramago, capaci di accogliere come terra che beve pioggia e far germogliare semi di speranza con il sogno di un’umanità meno orba e più ragionevole.
Cosa direbbe se fosse ancora vivo José Saramago, scrittore portoghese, classe 1922, giornalista, drammaturgo, poeta, critico letterario etc., etc., se oggi accendesse la tv, se leggesse le notizie quotidiane?
Che significato darebbe alla parola democrazia?
Quali parole userebbe per commentare la crisi dei migranti, la disoccupazione forte e non transitoria?
Cosa direbbe ai signori dei disastri che sfruttano crisi ed emergenze per farne squallidi profitti?
Cosa scriverebbe su cosa rimane dopo incendi assassini a far morire le nostre terre sacre, in estati torride come da tempo non se ne vedevano?
Cosa direbbe di fronte alla minaccia di sistemi d’arma robotici capaci anche di agire automaticamente?
Cosa pronuncerebbe di fronte all’escalation della tensione fra leader che sembrano alieni d’umanità?
Cosa direbbe a chi dice di voler mettere in contatto le persone ma in realtà ci sorveglia come una sorta di grande fratello contemporaneo, vendendo i nostri dati al miglior offerente?
Non rimarrebbe neutrale, criticherebbe in modo aspro, polemico, provocatorio… ne sono certa! Probabilmente direbbe ancora che l’uomo più saggio che abbia mai conosciuto non era in grado né di leggere né di scrivere, riferendosi a suo nonno.
José Saramago vedrebbe ancora la nostra terra come Terra del peccato e proporrebbe ancora ai lettori il suo Cecità.
È questo il libro che abbiamo scelto da leggere e commentare nel gruppo lettura in biblioteca nel mese di settembre, insieme ad un altro breve straordinario racconto Il paese dei ciechi di H.G. Wells.
Questa volta non ne voglio raccontare la trama, dirò solo che Cecità è un romanzo di critica sociale e fantascienza apocalittica che inizia in modo surreale e termina in modo altrettanto strano.
Concedetemi un po’ di licenze arbitrarie e personali, ma se dovessi abbinarlo ad un quadro ne proporrei uno di Dechirichiana memoria o un Redon Odilon, metafisici, simbolici e un po’ terrificanti, “Il ciclope”, ascoltando magari le note di Fear of the dark degli Iron Maiden. Lo so, ho abusato di troppe connessioni. Cecità è un testo di sostanza, eterno. Sarà questo il motivo per cui anche i suoi personaggi non hanno nome o la città non è mai nominata? I suoi protagonisti sono validi per ogni tempo e spazio. Lo stile di scrittura è un fiume in piena, ti getta parole in faccia e ti costringe a vedere le brutture del mondo, le porta all’eccesso e ti fa male, ti porta a vivere angoscia e ansia.
Saramago non offre nessun appiglio attraverso la punteggiatura, ne fa un uso anticonvenzionale assoluto, non segnando le domande con punti interrogativi e realizzando periodi lunghi per pagine intere. Il libro scelto questo mese va assorbito, digerito. Io devo ammetterlo l’ho letto in modo veloce, forse troppo! L’ho letto come quando si ristudia un libro per la terza volta, un po’ saltando le parole, come una lettura in metropolitana cercando di non perdere la discesa stabilita, come se dovessi scoperchiare urgentemente una sorta di incoerente e audace vaso di Pandora, fitta di suggerimenti filosofici, mitologici: Hobbes, Locke, il mito della caverna di Platone, altri romanzi distopici persino Lost.
L’ho letto come quando vedo immagini di campi di concentramento, piazze insanguinate, bambini inermi su spiagge senza felicità… so che dovrei guardare ma ne ho paura… angoscia… a volte distolgo lo sguardo. L’ho letto come se fosse impellente per me il bisogno di trovare riferimenti stabili e consolatori.
Hanno ragione le altre lettrici del gruppo (Sonia, Alessandra, Marianna, Loretta, Annamaria, Valentina e tutti quelli che l’hanno letto ma non sono potuti venire all’incontro): il libro merita “cortesia di lentezza”, non perché José Saramago abbia vinto con esso il Nobel nel 1998, ma perché attraverso l’uso dell’ironia, per me chiave straordinaria di interpretazione del reale, non risparmia ai suoi personaggi critiche ai loro comportamenti, li descrive dettagliatamente nei loro pregi, nei loro difetti. Di fronte ad un’umanità così corrotta, ma anche così fragile, così profondamente umana, di fronte ad una società così cieca, forse gli unici ganci responsabili sono la pietas, la compassione e la solidarietà. Sono parole non a caso femminili come la protagonista che porta luce nel caos-buio del romanzo di Saramago, capaci di accogliere come terra che beve pioggia e far germogliare semi di speranza con il sogno di un’umanità meno orba e più ragionevole.
Scritto da Arianna Pascetta