❝Un uomo, che, facendosi cosmopolita, adotta l'umanità come patria e va ad offrire la spada ed il sangue a ogni popolo che lotta contro la tirannia, è più di un soldato: è un eroe❞
Ecco un perfetto esempio di libro vittima di pubblicità truffaldina. Ancor oggi sono disponibili in commercio edizioni che riportano il nome di Alexandre Dumas come unico autore di questo testo (la mia, per esempio😛).
Andando però a scartabellare un po’ in giro, si scopre facilmente che l'opera è autobiografica, scritta da Garibaldi in persona, e solo pubblicata da Dumas (una sorta di "Alexandre Dumas presenta: la vita di Garibaldi scritta di suo pugno!"); del resto, i due erano amici, quando seppe che Garibaldi era sbarcato in Sicilia, Dumas fece vela con la sua Emma verso le coste italiane e si accodò al generale, stabilendosi poi a Napoli per qualche anno.
Il libro io l'ho letto, e vi posso garantire che, nonostante le avventure del biondo nizzardo si prestino benissimo ad essere materiale da romanzo, dell'inconfondibile stile di Dumas qui non c’è nulla. Tutt’al più potrebbe aver corretto o alleggerito alcuni passaggi, ma secondo me nulla più di questo. A mio modesto avviso il testo ha un incontestabile valore storico, ha anche un discreto fascino, perché è come se Garibaldi fosse seduto in poltrona di fronte a noi e ci raccontasse la sua rocambolesca vita, ma non è certo un esempio di scrittura eccelsa o di grande letteratura (periodi avviluppati con tendenza al melodramma, siete avvisati). La narrazione termina con la morte di Anita, quindi ben prima dell'impresa dei Mille e delle successive gesta dell'eroe; è molto più focalizzato sulla giovinezza, con un Giuseppino antesignano di Mitch Buchannon che salva dall’annegamento decine di persone, e sulle imprese latinoamericane, dove sembra quasi di leggere le avventure di un eroe salgariano (probabilmente perché il modello di eroe che aveva in mente il caro Emilio al momento di mettere su carta le sue storie era proprio Garibaldi).
A riprova che non può trattarsi di un'opera di Dumas, esiste anche un secondo volume, scritto in vecchiaia -quando Dumas aveva già lasciato questa terra-, in cui Garibaldi continua il racconto, nell'arco narrativo che va dal 1850 al 1872; prima o poi lo leggerò, non solo per sentire la storia dei Mille dall'artefice di quel colpo, ma pure per conoscere la sua versione dell'azzoppamento in Aspromonte, della disfatta di Mentana, del celebre Obbedisco e della cacciata dal parlamento francese, con tanto d’indignazione di Victor Hugo (che s'indignava per un nonnulla, va detto, ma quella volta la sua stizza era del tutto condivisibile).
❝ Un uomo, che, facendosi cosmopolita, adotta l'umanità come patria e va ad offrire la spada ed il sangue a ogni popolo che lotta contro la tirannia, è più di un soldato: è un eroe ❞
Ecco un perfetto esempio di libro vittima di pubblicità truffaldina. Ancor oggi sono disponibili in commercio edizioni che riportano il nome di Alexandre Dumas come unico autore di questo testo (la mia, per esempio😛).
Andando però a scartabellare un po’ in giro, si scopre facilmente che l'opera è autobiografica, scritta da Garibaldi in persona, e solo pubblicata da Dumas (una sorta di "Alexandre Dumas presenta: la vita di Garibaldi scritta di suo pugno!"); del resto, i due erano amici, quando seppe che Garibaldi era sbarcato in Sicilia, Dumas fece vela con la sua Emma verso le coste italiane e si accodò al generale, stabilendosi poi a Napoli per qualche anno.
Il libro io l'ho letto, e vi posso garantire che, nonostante le avventure del biondo nizzardo si prestino benissimo ad essere materiale da romanzo, dell'inconfondibile stile di Dumas qui non c’è nulla.
Tutt’al più potrebbe aver corretto o alleggerito alcuni passaggi, ma secondo me nulla più di questo.
A mio modesto avviso il testo ha un incontestabile valore storico, ha anche un discreto fascino, perché è come se Garibaldi fosse seduto in poltrona di fronte a noi e ci raccontasse la sua rocambolesca vita, ma non è certo un esempio di scrittura eccelsa o di grande letteratura (periodi avviluppati con tendenza al melodramma, siete avvisati).
La narrazione termina con la morte di Anita, quindi ben prima dell'impresa dei Mille e delle successive gesta dell'eroe; è molto più focalizzato sulla giovinezza, con un Giuseppino antesignano di Mitch Buchannon che salva dall’annegamento decine di persone, e sulle imprese latinoamericane, dove sembra quasi di leggere le avventure di un eroe salgariano (probabilmente perché il modello di eroe che aveva in mente il caro Emilio al momento di mettere su carta le sue storie era proprio Garibaldi).
A riprova che non può trattarsi di un'opera di Dumas, esiste anche un secondo volume, scritto in vecchiaia -quando Dumas aveva già lasciato questa terra-, in cui Garibaldi continua il racconto, nell'arco narrativo che va dal 1850 al 1872; prima o poi lo leggerò, non solo per sentire la storia dei Mille dall'artefice di quel colpo, ma pure per conoscere la sua versione dell'azzoppamento in Aspromonte, della disfatta di Mentana, del celebre Obbedisco e della cacciata dal parlamento francese, con tanto d’indignazione di Victor Hugo (che s'indignava per un nonnulla, va detto, ma quella volta la sua stizza era del tutto condivisibile).