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La solitudine dei numeri primi
La Solitudine dei Numeri Primi
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Purtroppo non ho potuto partecipare all’ultimo incontro del GdL "Chiave di Lettura" dove si è discusso il libro “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano proposto dalle nostre amiche argentine.
Domandando alla nostra bibliotecaria Valentina Pascetta, quali fossero state le preferenze dei nostri amici lettori, è venuto fuori che: «Nemo propheta in patria!»
Perché utilizzare l’organicità e la completezza di certi detti celebri di una lingua così antenata?
Già, forse ho osato un po' troppo per condensare la conversazione dell’ultimo incontro eppure effettivamente questo testo sembrerebbe aver riscosso simpatie fra le nostre amiche sudamericane ma non in quelli italiani…
Sarà forse perché spesso attribuiamo il successo, la fama più facilmente a chi viene a lontano?
Non saprei… eppure non mi sono fatta dire le motivazioni. Proverò ad indovinarle e parafrasando Papa Wojtla: “Se mi sbaglio, mi corrigerete!”
Personalmente lessi questo romanzo nel 2008 quando uscì, edito dalla Mondadori, convinta dalle recensioni e dai numerosi premi di cui fu insignito: Premio Strega (Giordano è stato il più giovane a vincerlo), Premio Campiello opera prima e Premio letterario Merck (riconoscimento per i romanzi che favoriscono un intreccio fra scienza e letteratura).
Fu però, il titolo ad incuriosirmi più di tutto: "La solitudine dei numeri primi". Un gran bel titolo! Accattivante. Poetico. Spiazzante!
Incita domande:Quali sono i numeri primi? o chi sono? Perché se sono primi e forse importanti e necessari sono cosi solitari, emarginati? Forse maldestri, inetti? Forse poco socievoli e chiusi nelle loro bolle di sapienza e di dolore, d’amore d’incapacità di condividere?
Un titolo che già era una storia nella mia testa!
Una storia di inferni, paradisi e tanti limbi, forse troppi, di anime perse che tentavano di trovarsi senza cercarsi.
"La solitudine dei numeri primi" era un racconto già prima di iniziarne le pagine!
La copertina, ambigua, un po' inquietante, dinamica eppure ferma col volto di una ragazza dagli occhi profondi che sbuca tra foglie scure, mi attrasse come fosse una promessa di vita o di stasi silenziosa.
Pare che Giordano abbia usato l’autoscatto di una fotografa, apparso su deviantART
(una comunità online di fotografi e artisti).
E poi vidi anche la trasposizione cinematografica, regia di Saverio Costanzo, con Alba Rohrwacher e Luca Marinelli. Anche il film, lo ricordo bene, ottenne grande successo con cinque candidature e un premio ai Nastri d’argento e quattro candidature al David di Donatello.
Provo ad esporvi la trama tentando di non spifferare troppo a chi ha voglia di leggerlo, ma non riesco a non citare le seguenti tre frasi, appuntate su post-it, rimasti fra le pagine del libro come capsule di memoria:
- I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell'infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari;
- L'amore di chi non amiamo si deposita sulla superficie e da lì evapora in fretta;
- Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante.
"La solitudine dei numeri primi" è un romanzo di formazione i cui protagonisti Alice e Mattia hanno l’infanzia segnata da eventi traumatici.
Alice obbligata dal padre a frequentare la scuola di sci, in una mattina di nebbia fitta finisce fuori pista spezzandosi una gamba. Resta sola, incapace di muoversi, al fondo di un canale innevato, a domandarsi se i lupi ci sono anche in inverno. Questo episodio comprometterà per sempre il rapporto col padre oltre che renderla storpia. Per tutta la vita soffrirà anche di disturbi alimentari. Mattia è un bambino molto intelligente con una gemella, Michela, ritardata. La sua presenza umilia Mattia di fronte ai suoi coetanei e per questo, la prima volta che un compagno di classe li invita entrambi alla sua festa, abbandona la sorella nel parco. Non verrà mai più ritrovata.
Sia Alice che Mattia saranno influenzati nelle loro esistenze da questi eventi traumatici. Le loro esistenze s’incontreranno. Si scopriranno uniti, eppure sempre irrimediabilmente separati come due numeri primi vicini ma mai abbastanza da toccarsi davvero.
La storia è sicuramente interessante, anche se probabilmente atipica. Si toccano temi profondi: la solitudine, la socialità, l’anoressia, l’autolesionismo, il bullismo, l’incomunicabilità, i sensi di colpa.
Forse troppi temi?
Probabilmente, qualcuno fra i nostri lettori avrà pensato che le due persone protagoniste della vicenda sono troppo complicate in una vita altrettanto complicata, che s’incontrano ma che in fondo non realizzano nulla.
Avranno trovato la storia noiosa, forse banale e deludente nel finale.
Non c’è evoluzione nella loro storia avranno detto. Un libro senza una vera trama!
Le storie dei protagonisti saranno state secondo altri, trattati con sufficienza, piene di luoghi comuni e quindi improbabili.
Altri come me, avranno invece apprezzato quelle storie in parallelo dei due ragazzi e trovato suggestivo quel notarsi lento, quella sensibilità che sa crescere dalla sofferenza e che irrimediabilmente ti fa diverso. Avranno trovato commuovente quel restare crisalidi senza trovar la forza di diventare farfalle, avranno creduto il finale non scontato.
Tuttavia, devo ammetterlo, se Paolo Giordano avesse lasciato il titolo originale “Dentro e fuori dall’acqua” e non avesse seguito il suggerimento dell’editor di cambiarlo, non so se sarei entrata in libreria e lo avrei acquistato!
Vi saluto ricordandovi il prossimo appuntamento in biblioteca il 25 novembre alle 20.30 per discutere insieme del libro.
“Rebecca. La prima moglie” di Daphne du Maurier e augurandovi come sempre buona vita!
Arianna Pascetta