Margherita Aurora Terrasi's Blog: Miss Maggie Paper

February 4, 2019

Il garzone del boia, di Simone Censi: Recensione

Il titolo Il garzone del boia è riuscito a incuriosirmi fin da subito, nonostante non fossi una grande lettrice di libri storici, o gialli storici. Mi sono gettata nella lettura e la mia curiosità è stata pienamente ricompensata da un libro che definire una perla sarebbe poco.Il garzone del boia è un giallo storico che si propone di raccontare la storia del primo garzone, da sempre sconosciuto, del celebre boia Mastro Titta, ovvero Giovanni Battista Bugatti. Il lettore è quindi accompagnato nella narrazione da questo misterioso Balzarino, “quello che fece il sarto troppo corto e non ce prese”, che venne comprato dal boia ch’era un fanciullo e fu cresciuto da lui come da un padre. Il romanzo gioca proprio sul perché non sia mai stato rivelato il nome di questo garzone. La storia di Balzarino viene alternata a spezzoni dedicati a vari casi di reati, arresti e condanne a morte; a mia opinione (da appassionata di gialli), la principale attrattiva del libro.A detta dell’autore questo lavoro prende spunto dalla biografia dal titolo Mastro Titta, il boia di Roma: memorie di un carnefice scritte da lui stesso (1891), un lavoro che prende a sua volta spunto dagli appunti tenuti dal boia stesso, che furono ritrovati nel 1886.Si tratta, quindi, di un libro storicamente accurato, anche se sicuramente romanzato. La figura del garzone è quella di un personaggio di fantasia, eppure si tratta di un personaggio talmente ben costruito, che sembrerebbe quasi realmente esistito. I personaggi sono trattati con umanità, non sono piatti, non sono creature leggendarie, come sono soliti apparire. Ho trovato in questo libro un equilibrio di narrazione e di caratteri che sicuramente non è da tutti. Gli stacchi tra i capitoli, in cui sono narrate le vicende di vari personaggi che sono passati per il cappio di Mastro Titta e del suo garzone, sono ben congegnati e mantengono viva l’attenzione. Nel mio caso, essendo io un’amante di polizieschi e gialli, ho adorato il fatto che non riuscivo a staccare gli occhi dal testo nemmeno per un attimo, divorata dalla curiosità di sapere cosa sarebbe successo a questo o a quel criminale.Oltre al fattore “divertimento”, perché questo libro è davvero divertente da leggere, devo aggiungere anche quello di “divulgazione”. Personalmente ero ignorante riguardo alla storia di questo famigerato boia e mi ha fatto molto piacere conoscerla proprio attraverso questo racconto, che mi ha invogliata, inoltre, a leggere qualcos’altro al riguardo. Si tratta quindi di un’opera di divulgazione storica ben riuscita.Se proprio dovessi cercare il pelo nell’uovo, l’unica cosa che non mi ha del tutto convinta è stata la frammentazione della narrazione: troviamo in ogni capitolo uno spezzone di testo narrato in un italiano standard, poi un altro pezzo di testo raccontato in un linguaggio più dialettale. L’autore spiega questa scelta con il fatto di voler creare un confronto tra il testo narrato da un Balzarino giovane e analfabeta e uno anziano che parla un italiano più corretto: "Il Maestro cresce il proprio aiutante iniziandolo anche alla lettura e alla scrittura, così che il romanzo presenta una doppia stesura.Una prima, in corsivo, fatta dall’aiutante alle prime armi, con un linguaggio spesso forte e colorito e una seconda scrittura, quando oramai avanti con l’età su consiglio del suo analista, riprende in mano questa storia per fuggire dai fantasmi che ancora lo perseguitano". Questa scelta avrebbe avuto più senso se per distinguere meglio i due linguaggi, si fosse scritto un capitolo in un modo e un altro in un altro. Il cambiamento repentino del linguaggio, all’interno dei capitoli, può confondere il lettore. Io inizialmente non capivo che cosa volesse dire, ipotizzando che fosse la stessa vicenda narrata dal punto di vista di un altro personaggio. Forse sarebbe stato meglio chiarire prima nel libro la questione della divisione giovane e vecchio, così sarebbe risultato più chiaro l’intento dell’autore.Questo è l’unico difetto che ho trovato, ma che sinceramente non ha rovinato quasi per nulla il ritmo del racconto. Ho terminato il libro molto velocemente, appassionandomi ai vari casi che ci vengono presentati. Sapevo come sarebbero andati a finire, la maggior parte delle volte, però questo non mi annoiava. Il gusto di conoscere come funzionava la giustizia di un tempo e di sapere come venivano giustiziati i condannati è stato il principale motore della mia curiosità. Una mossa molto intelligente da parte di Censi.Il romanzo mi ha catturata così tanto che ho realizzato dopo qualche minuto, dopo aver letto le ultime righe, di averlo terminato. La mia vita adesso non sarà più la stessa.
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Published on February 04, 2019 07:41

January 25, 2019

Il cuore che abito, di Attilio A. Ortolano: Analisi e Recensione

Mi lasciai conquistare da questo romanzo quando lessi il genere: “fantascienza”. È un genere che mi attrae, nonostante non sempre mi piaccia. Inoltre la trama sembrava interessante e avvincente, un’avventura da esplorare. Ve la trascrivo qui:2025. Ludovico è un imprenditore e filantropo italiano, presidente della HeartH, Soundlife Corporation, FFW (Food for world), fondatore del movimento dell'Human Welfare, tutte con un filo conduttore comune: aiutare le persone. Una notte è vittima di un incidente autostradale. La sua anima, al momento del distacco, viene attratta da un sistema ipertecnologico americano che cattura le masse fotoniche degli umani al momento del decesso. L'operazione è denominata Double Soul – Doppia Anima, ideata dal dottor Willis, ex collaboratore delle forze operative speciali contro il bioterrorismo dell'epoca. Al momento dell'arrivo della massa fotonica/anima nel laboratorio, essa viene utilizzata in un altro corpo, che è una sorta di clone. Ludovico si risveglia a New York in un corpo nuovo, e non ricorda più nulla. Inizia così una nuova vita e incontra molte persone che alla fine si mostreranno come una rete non casuale, un disegno dell'universo fatto per lui.Come potete leggere voi stessi, la trama prometteva bene. Sembra davvero un bel romanzo di fantascienza, perché alla base c’è un’idea interessante. Il problema qual è? Semplice: la maggior parte di questa sinossi compone solo il 3% del romanzo. Il vero romanzo sta in questa frase: “Ludovico… inizia così una nuova vita e incontra molte persone che alla fine si mostreranno come una rete non casuale, un disegno dell’universo fatto per lui.”. Praticamente ciò che è scritto nella sinossi è un enorme spoiler.Mi è dispiaciuto molto quando ho scoperto che il libro predica bene, ma razzola male. Ne ho iniziato la lettura molto emozionata dalla sinossi e probabilmente questo ha contribuito al mio giudizio finale. Non giudico lo stile dell’autore, perché dalla sua Bio comunque si evince che “incentra la sua scrittura sulle emozioni e cerca in ogni individuo il lato irripetibile. Con le sue parole vuole ricercare l’eternità del momento, le prospettive, i sogni e la capacità di comunicare a cui ognuno appartiene.”. Ortolano è uno scrittore capace, anche se la sua prosa esageratamente aulica non mi ha fatta impazzire. Avevo già intuito che il libro si sarebbe concentrato molto sulle emozioni dei personaggi. Allora perché non mi è piaciuto? Scopriamolo.ANALISI (òcio agli SPOILER)Il libro inizia con il protagonista, Ludovico (di cui non sappiamo nulla), che fa un incidente e per qualche ragione si risveglia in un ospedale di New York. Ovviamente, chiunque abbia letto la sinossi sa già tutto, perciò io tengo in conto solo ciò che veniamo a sapere direttamente dal romanzo. La sinossi è fatta apposta per farti cadere in una trappola.Già da questo punto cominciamo a notare qualcosa di strano nel nostro uomo, ovvero che non è terrorizzato, come dovrebbe, non prova sentimenti “umani”. Appena l’infermiera gli dice che può andare via quando gli pare dal suo ricovero, lui lo fa. Nonostante non sia in un luogo famigliare, non tempesta di domande il personale dell’ospedale. Semplicemente, se ne va. A questo punto ho pensato di essermi ritrovata in un sogno, probabilmente dello stesso protagonista. Uscito dalla struttura, egli incontra un taxista che, dopo una breve chiacchierata, scoprendo che il nostro uomo è senza soldi, gli offre un passaggio per un hotel. Questo taxista ha già avuto tra i propri passeggeri un uomo che gli ha parlato di scienziati e di trasferimenti d’anima da un corpo all’altro, perciò non si sorprende molto di ciò che gli racconta Ludovico. A voi sembra normale che una persona che si sente dire una cosa così stupida non reagisca prendendosi gioco di Ludovico, ignorandolo perché solo un folle e senza il becco di un quattrino, tra l’altro? Il taxista non sapeva niente, a quel che ho capito, degli esperimenti che alcuni scienziati stavano per davvero svolgendo, a parte ciò che era scaturito dalle parole del suo precedente passeggero, ma prende lo stesso per buono quello che gli dice il protagonista.Ludovico raggiunge l’hotel, in cui per qualche ragione ha una camera sua. Il bello è che non si chiede nemmeno perché abbia una camera in cui dormire, nonostante sia squattrinato. Quindi incontra un certo Filippo (inizialmente non ci viene spiegato chi sia), un uomo che per qualche assurda ragione intraprende un discorso con lui e finisce per parlare di questo famigerato complotto: Ludovico ha un microchip sul cuore, che quello che chiama “il potere centrale” userebbe per controllarlo. Le anime vengono trasferite in corpi geneticamente uguali, dei cloni, e questi corpi possono essere spenti da un momento all’altro. Solo delle forti emozioni potranno intaccare il sistema del microchip, spegnendolo.Il protagonista, scoprendo quindi che è un clone e che la sua anima apparteneva in precedenza a un altro corpo, quale reazione pensate che avrà?A) Cercare di scoprire chi fosse in origine (visto che non ricorda nulla);B) Farsi i cavoli suoi;Ovviamente la B è la risposta corretta, la accendiamo? D’accordo, la smetto con le domande e vado avanti, che qui si fa tardi altrimenti.Ve la faccio breve, d’ora in avanti ciò che succederà non dipenderà mai dal protagonista. Ludovico si farà accompagnare in Italia da Filippo; troverà un lavoro senza nemmeno chiedere, grazie al lupo di mare Ernesto, che un filosofo gli fa un baffo per come parla forbito; incontrerà Claudia, la sua futura moglie, proprio grazie a quest’ultimo e conoscerà una serie di personaggi secondari.In sostanza, Ludovico è un personaggio piatto, che si fa trascinare dagli eventi. Non ha desideri, gli altri gli dicono quali sono. In questo libro non esistono personaggi interessanti. L’unica cosa che ti spinge a leggerlo è la speranza che prima o poi si scopra qualcosa in più delle condizioni di Ludovico. Maledetta curiosità.Le emozioni dei personaggi, che dovrebbero trasparire, a causa di una prosa particolarmente artificiosa paiono finte. Vi trascrivo un esempio, che mi ha fatta sbellicare, per farvi capire come il modo di parlare dei personaggi sia totalmente innaturale:(Lorenzo, il figlio di Claudia e Ludovico sta piangendo perché la mamma dovrà tornare in ospedale per una terapia.)«Verrai a Parigi con me e papà?»«Sì, verrò. Quando stai piangendo stai facendo solo scorrere le tue emozioni dal cuore agli occhi» gli disse sorridendo «Ora che hai gli occhi aperti, non vedi che è tutto circondato da aloni bianchi?»«Cosa sono gli aloni?»«Il contorno. Adesso non mi vedi così?»«Sì.»«In questi momenti devi stare attento. Sei nudo e puro. Sei come nel momento in cui sei nato. Sei nato piangendo, te lo ricordi?» (Cosa gliene frega a un bambino di sentire queste divagazioni?)«No.»«Tutti nasciamo così. Per un periodo non vediamo tutto. Vediamo come tu vedi adesso» (Nessuno parlerebbe così ad un bambino, è assurdo.)«Tra poco arriva un mio amico, posso giocare con lui?» (Si è già dimenticato che stava piangendo?)Ludovico capiva cosa stava cercando di dire Claudia a Lorenzo.Gli aloni intorno agli occhi sono pieni di energia. L’essenziale si rivela con uno sguardo distratto, proprio come quando si piange. I bambini vedono sempre quell’energia ma poi la dimenticano. A volte si sentono fantasticare e pronunciare parole non articolate, muovono le manine in modi strambi. Sono a contatto con l’energia di cui parlava Claudia. Il bambino può vederla perché non è inquinato dal mondo.Tutto il libro è scritto così. Capirete che all’inizio ci si può fare l’abitudine, aspettandosi una trama avvincente, ma quando si scopre che la trama è solo la vita noiosa e surreale del protagonista, allora si perde la voglia di continuare a leggere. Purtroppo per me, io i libri li leggo sempre fino in fondo.In questa atmosfera di finzione, quasi onirica sotto certi aspetti, l’autore tira in ballo tanti argomenti, perlopiù sentimenti universali. Il problema è che vuole parlare di troppe cose tutte insieme, quindi non parlando di nulla, alla fine. Il tutto e il niente. Ludovico, in sostanza, è un uomo solo, che si scontra con persone che sfruttano la sua solitudine per controllarlo, e che possono essere battute unicamente con la forza dell’amore.Si susseguono vite e punti di vista di personaggi secondari dei quali non ci importa niente, perché per noi sono sconosciuti (anche se per il protagonista non lo sono). Il lettore fa fatica ad andare avanti senza annoiarsi per via della staticità del racconto. Non c’è nulla che ci faccia in qualche modo affezionare ai personaggi o allo stesso protagonista. Il protagonista si lascia trascinare come un bambolotto. Lui stesso si definisce uno “spaventapasseri di gomma”, in una metafora certamente strana e usata al momento sbagliato: uno spaventapasseri non è di gomma, uno spaventapasseri dovrebbe spaventare, eppure questa sua funzione non c’entra nulla con il contesto, potrebbe essere un fantoccio che viene mosso a piacimento, ma cosa c’entra il fatto che sia di gomma? Il testo è ricco di metafore, a volte campate in aria. Un altro esempio è “Claudia sorrise malinconica, come un bambino infermo a cui un compagno parli della sua ultima macchina radiocomandata”. Il motivo di questa metafora non lo capirò mai. Bastava dire “Claudia sorrise malinconica” e la frase sarebbe stata perfetta. Ma no, a quanto pare un testo senza metafore è un testo inguardabile. L’autore deve aver frainteso il significato di melius abundare quam deficere. In realtà ci sono anche metafore carine, come: “L’uomo che vuole volare alto è come una piantina in un vaso. Mentre sale, incontra il vento e si piega. Crede di non farcela più. Allora ricorda la parte importante: mettere grandi e profonde radici”. Il problema è che spesso queste metafore sono eccessivamente lunghe e tolgono spazio a ciò che davvero ci importa, ovvero lo svolgimento della trama.L’unico elemento fantascientifico del libro è la questione dimensionale e del trasferimento dell’anima da un corpo all’altro. Cose che vedremo per davvero solo alla fine del libro e che comunque ci verranno smentite. Perché (e qui SPOILERONE) il vero Ludovico non è morto, ma è in coma.Da questo cosa evinciamo? Che tutto quello che è avvenuto nel libro potrebbe essere un trip mentale del protagonista comatoso. Qui si perde totalmente la questione fantascientifica e si passa ad una più metafisica. Non sono d’accordo sul genere che è stato assegnato al libro. Anche se non viene specificato se l’anima del protagonista sia tornata al suo vecchio corpo (una volta morto quello nuovo), oppure se semplicemente fosse tutto un sogno. Il fatto che l’autore ci lasci con il dubbio cambia completamente il genere del romanzo. Posso anche aver frainteso qualcosa del finale, perciò se l’autore vorrà chiarire i miei dubbi ne sarò più che felice.In conclusione, questo libro è stato scritto con una grande delicatezza poetica, ma su toni eccessivamente surreali per essere considerato romanzo di fantascienza, manca troppo di verosimiglianza. Vorrei poter dire che l’autore sia riuscito a rendere le sensazioni e le emozioni dei personaggi, ma non è così, purtroppo. L’autore non è riuscito a caratterizzare abbastanza bene nemmeno il suo protagonista, di cui conosceremo le origini e il vero carattere solo nelle ultime pagine del libro. I personaggi sono troppo semplici, hanno i loro problemi, certo, ma questi rimbalzano sopra di loro. L’unico momento che fa provare un po’ di empatia è quello in cui Claudia confessa a Ludovico di dover fare una terapia a Roma. Per il resto, il libro è un ammasso di eventi e di parole dette che non trasmette nulla al lettore, se non tante metafore e noia. Ortolano probabilmente ha calibrato male il ritmo della narrazione, perché se avesse lasciato un po’ di spazio in più alla questione del microchip, o avesse invogliato il suo protagonista a fare qualcosa, piuttosto che far niente, forse avrei letto un libro più interessante.Non credo sia un libro per tutti. Ci vuole una grande pazienza per finirlo, ma non dico che se non è piaciuto a me non possa piacere a qualcun altro. Sono sicura che ci siano dei lettori, magari amanti della poesia, che lo potrebbero apprezzare.Personalmente sono rimasta molto delusa dall’illusione che questo fosse un romanzo di fantascienza, quando in realtà di questo genere non ho trovato quasi nulla. Sicuro, si parla di dimensioni parallele, di cloni e trasferimenti d’anima, ma tutto ciò è raccontato con una lentezza allucinante. Tutti i personaggi che Ludovico incontra sono collegati tra di loro, addirittura fanno parte della stessa famiglia. Questa cosa va oltre al surreale, io volo (citando Matteo Fumagalli). Si entra in una dimensione onirica, tant’è che alla fine mi sono convinta che fosse tutto un sogno del protagonista, perché altrimenti non sarei riuscita a darmi una spiegazione convincente.La trama si smuove dal torpore solo a pagina 115 (su 164 pagine), quando la famiglia di Ludovico fa una brutta fine nell’attentato a Parigi. È come se Ortolano avesse voluto scrivere un grande trattato sull’amore, non un romanzo. Per tutto il libro non facevo che ripetermi “Ma che mi frega della vita di questo qui, o quello lì, io voglio sapere di più su Ludovico”. Le informazioni che cercavo le ho avute a pagina 125 e condensate, tra l’altro, in uno spiegone.Ho addirittura considerato che l’autore volesse in qualche modo raffigurare l’ineluttabilità della vita e l’accettazione della propria condizione nonostante tutto, ma non avrebbe dovuto spacciarmi questo romanzo per qualcosa che non è. Sarebbe bastato aggiungere ai generi “romanzo metafisico”, fare meno spoiler nella sinossi e dare un po’ più di spazio alla condizione del protagonista e alla sua volontà, o anche necessità, di scoprire qualcosa sul suo passato (un protagonista che non ha un obiettivo in un romanzo non è degno di esserne il protagonista). La base c’era per un bel libro, ma il modo in cui è stato scritto lo ha rovinato definitivamente.
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Published on January 25, 2019 11:24

January 21, 2019

Scrivere un libro: come io vivo la scrittura

Vorrei parlare di un argomento che coinvolge, bene o male, tutti gli scrittori: ovvero la stesura di un racconto. Ho rinunciato più volte a scrivere questo tipo di articolo, probabilmente perché trovavo questo argomento troppo complesso. Potrò, perciò, parlare unicamente della mia esperienza e di quello che faccio io quando scrivo. Sono consapevole che esistono svariati modi per portare a compimento il proprio libro, quindi si tratterà di un post in cui vi racconto come vivo personalmente la scrittura.Trovare l’ideaForse una delle parti più difficili è proprio cominciare a scrivere, per via di diverse ragioni: perché manca l’ispirazione, perché si crede di non avere abbastanza tempo per farlo, perché si è stanchi, oppure perché si pensa di non essere abbastanza bravi per creare una storia decente. I casi sono tanti. Per me è molto difficile iniziare una storia. Non sempre l’idea geniale ti piove addosso, per questo bisogna trovare un modo per sbloccarsi.Quello che faccio io quando sono indecisa su cosa scrivere è annotarmi ogni idea che mi passa per la testa su un blocco note, che mi porto sempre dietro. Questa tecnica sembra essere inutile inizialmente, però è un grande aiuto che do alla mia creatività. Perché la consapevolezza che ho di essermi segnata tutte le idee che mi possono essere utili fa concentrare la mia fantasia su quei dettagli. Succede perché io ho una fervida fantasia e se non mi segno ciò che mi viene in mente finisce che mi dimentico tutto nel giro di dieci minuti.Una volta che si è pensato ad un possibile protagonista e a un abbozzo di storia, vi consiglio di seguire uno schema basilare di racconto, che io ho ritrovato in questa immagine.Ci sono diversi sistemi in realtà che vi possono essere di aiuto per strutturare la vostra storia, come il metodo fiocco di neve, quello delle cinque W e così via.ProgettareComincia quindi una fase non meno difficile della precedente, ma un po’ più divertente: progettare il racconto. Quello che faccio io è cominciare a stendere il capitolo pilota della storia per chiarirmi come voglio caratterizzare il personaggio, o i personaggi, e come voglio narrare la storia. A questo punto si sceglie che genere di racconto sarà (fantascienza, fantasy, giallo, horror, thriller, ecc.). Io tendo a scegliere fin dall’inizio il genere, poi ci sono scrittori che preferiscono sceglierlo a stesura già avviata, probabilmente perché non tanto convinti all’inizio.Quando comincio ad avere più chiara nella mia mente l’immagine del personaggio, comincio scrivendo la trama a grandi linee. Si può fare in diversi modi: in modo schematico (facendo una linea del tempo o un diagramma), oppure progettando i capitoli, scrivendone un piccolo riassunto sul blocco note, per farsi un’idea di come dovrebbe avanzare la storia. A volte, se non si ha bene in mente un finale per il racconto, la progettazione dei capitoli può aiutare. Io preferisco visualizzare una sfocata linea generale, per poi iniziare a progettare i singoli pezzi, o capitoli. Suddividere la storia in parti comunque mi risulta molto utile per migliorarne l’inquadramento.Ognuno con il tempo acquisisce una tecnica precisa. Una mia amica scrittrice ad esempio scrive dei pezzi separati, quando se la sente di più, per poi riordinarli tra di loro quando stende il libro. Una tecnica molto particolare, che sicuramente io farei fatica a gestire.StesuraUna volta che si ha ben chiaro lo svolgimento del racconto si può cominciare a scriverlo sul serio. Io in genere parto dal primo e finisco con l’ultimo capitolo, come è più comune fare. Ci sono persone che invece sono abituate a scrivere in ordine diverso. La stesura è sicuramente la parte più coinvolgente della scrittura di un libro, perché stai dando forma alla tua opera. Molte volte devi svolgere delle ricerche per arricchirla, renderla realistica, darle una forma concreta.La stesura della prima bozza della storia è anche uno dei processi più lunghi, perché richiede grande motivazione e concentrazione da parte dell’autore. Io posso metterci mesi, anche anni per completare un libro. Tenendo conto che si tratta pur sempre di una bozza e che quindi non dovrò preoccuparmi troppo dei refusi fino a quando non l’avrò completata.Molti scrittori fanno fatica a terminare la stesura, perché non si sentono mai soddisfatti di ciò che hanno scritto. All’inizio anche io ero bloccata dall’insoddisfazione. Poi è successo che ho scritto il mio primo libro, grazie alla dead-line impostami dal NaNoWriMo, e da allora mi sono sbloccata. Ho capito che per scrivere un libro dovevo imparare ad abbandonare la concezione di: “storia conclusa” uguale “storia perfetta”, che avevo prima, ovvero la concezione romantica che si ha della scrittura. Scrivo tutta la storia per intero, anche se non mi convince del tutto, poi vado ad aggiustarla con la correzione di bozze e (nel caso un mio amico beta reader trovasse dei refusi importanti che non ho notato) a riscriverne anche interi capitoli.EditingQuando ho completato la mia bozza, si passa al controllo del testo. In genere lo leggo prima io, poi mi faccio dare una mano da degli amici con il beta reading. Nel caso si desiderasse ottenere una correzione di bozze di qualità vi consiglio di cercare un buon editorfreelance (figura che lo fa di professione). Nel mio caso non posso permettermi di pagare un editor, perciò mi devo accontentare del libro come lo abbiamo corretto io e i beta reader.Questa credo sia la fase più lunga di tutto il procedimento, perché l’editing è in sostanza un continuo rileggere la propria storia (in compagnia di altri occhi possibilmente) nel tentativo di correggere più errori possibile, ottimizzando al suo massimo il testo.Per darvi maggiori informazioni su quale sia la differenza tra beta reader e editor vi rimando a un video di Sara Gavioli, editor freelance che tiene un canale YouTube molto interessante.Impaginazione e copertinaPer quel che riguarda questo pezzo della produzione, si tratta di un lavoro che di solito mi diverto a fare da sola. Questo è il mio caso, perché comunque pubblico in self-publishing e posso permettermi di progettare tutto io. Nel caso voi voleste pubblicare con una casa editrice, allora il tipo di impaginazione e di copertina dipendono molto dalla politica dell’editore con cui pubblicate.ConclusioneChiudendo il discorso, scrivere un libro non è mai facile. Richiede sempre una grande forza di volontà, non solo per completarlo, ma anche per continuare a scrivere senza avvilirsi ogni due per tre: perché la mia scrittura non sembra all’altezza, perché forse non sono così brava a scrivere come credevo e sarebbe stato meglio se fossi andata a coltivare i campi, perché gli altri mi dicono che la storia è bella e a me sembra faccia schifo. Questi sono i pensieri di ogni artista. Ciò che si deve fare è dargli ascolto solo in parte, perché perlopiù siete tormentati dalla sindrome dell’impostore. Il vostro libro potrebbe non essere davvero all’altezza, ma ricordate che l’unico modo per migliorare è proprio fare pratica, sbagliare, continuare a scrivere, per poi diventare più bravi. Bisogna terminare il proprio libro prima di emettere un giudizio affrettato sulle nostre capacità, finendo per non andare più avanti con la stesura. Ogni storia può essere raccontata e può piacere a qualcuno, che sia scritta in un modo o in un altro. Se pensate di scrivere male, nonostante vi impegnate molto, sappiate che anche i migliori scrittori sbagliano. Non si smette mai di imparare. Se siete messi in difficoltà quando leggete i libri di altri autori, non paragonate il vostro libro al loro: primo perché siete due persone diverse e scrivete probabilmente cose diverse, secondo perché loro hanno avuto un buon editor che li ha aiutati a correggere i loro errori, terzo perché dovete ricordare che, per quanto questi siano autori esperti, anche loro probabilmente si fanno i vostri stessi problemi quando lavorano ad un libro. La differenza è che loro hanno capito che devono andare avanti fino alla fine, evitano di rimanere bloccati perché la storia non gli piace, continuano coraggiosamente a scrivere, perché è l’unico modo per raggiungere il proprio obiettivo.Focalizzate il vostro obiettivo: pubblicare il vostro libro, e impegnatevi con tutte le vostre forze perché questo avvenga.
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Published on January 21, 2019 23:30

Recensione di "Cuore sordo" e intervista a Barbara Ghinelli

( Per leggere l'intervista all'autrice vai alla fine della recensione! )Avete presente quella strana sensazione che si prova quando finite di leggere le ultime parole di un libro e vi sentite svuotati, si potrebbe dire addirittura malinconici. Questa è la sensazione che ho provato una volta terminato “Cuore sordo”. Questo racconto di Barbara Ghinelli è un thriller coinvolgente che tratta la ricerca di un assassino seriale da parte della Squadra Omicidi della polizia di Roma, legando in modo geniale le storie di vari personaggi, tra i quali anche la storia di una ragazzina ebrea che ha vissuto gli anni tragici di Auschwitz durante la Seconda guerra mondiale.Il thriller è sempre stato un genere che apprezzo molto, in primis come lettrice. Mi piace la suspense, il mistero, cercare di capire quale possa essere il colpevole, per poi restare spiazzata alla fine. Adoro i finali mozzafiato, quelli che mi fanno esclamare: “Cavolo, e chi l’avrebbe mai detto?”.Ho amato l’intreccio di questo libro, i personaggi sono ben costruiti e complessi, hanno un carattere realistico e provano dei sentimenti umani. Si susseguono ad un ritmo rapido vicende delle vite dei personaggi protagonisti, tutti legati da un filo conduttore. In genere quando si scrive un libro di questa complessità si rischia di tralasciare degli aspetti importanti, curando più la storia e meno i personaggi, o viceversa.La primissima idea del libro è nata esattamente il 26 settembre del 2010, nel cuore di Parigi, un viaggio fatto con mia sorella Sabrina e che mi era stato regalato proprio da lei. Un viaggio meraviglioso e divertentissimo, tra l’altro. Il primo personaggio ideato era una bambina dalla pelle d’avorio, Ivory, che racchiudeva il sogno di ballare all’Opéra di Parigi. L’ispirazione l’ho avuta nel momento in cui i miei occhi si sono posati per la prima volta su questo splendido edificio, quando il pullman proveniente dall’aeroporto ci stava portando in centro, verso l’hotel.La Ghinelli invece riesce a mantenere il ritmo della sua “canzone” fino alla fine. La definisco canzone proprio perché il ritmo regolare della narrazione e la tendenza a ripetere le parole “cuore sordo” come un leitmotiv, o forse sarebbe più corretto dire mantra, mi hanno fatto spesso pensare al ritornello di un pezzo cantato. L’autrice deve avere una vena poetica molto forte. Ha trattato una tematica così complessa con grande delicatezza e studiato con impegno ogni tratto del romanzo. Si può dire che in questo libro è stato messo tutto il suo cuore. Un altro rischio nella scrittura di un intreccio così complesso è quello di rendere noioso il racconto e proprio in questo sta il talento della Ghinelli: riesce a mantenere un ritmo e una leggibilità stabili dal primo all’ultimo capitolo del libro. L’atmosfera di mistero e di suspense è costante.Vorrei porre un’ulteriore accento sulle ricerche svolte dall’autrice. Si ha la possibilità di leggere molti approfondimenti di antropologia forense, studio che l’autrice stessa afferma di aver compiuto nella lettera al lettore, sui cifrari e la decifrazione, sulla DPM (Disturbo di personalità multipla), ha svolto molti approfondimenti riguardo alla deportazione degli ebrei nei lager. Come noterete l’autrice non tratta argomenti semplici, eppure non lo fa con superficialità, ma con maturità e comprensione. Tutte queste informazioni di solito complesse per chi si trova al di fuori dall’ambito, risultano di facile comprensione e non appesantiscono per nulla la narrazione. L’autrice si dimostra molto empatica, sia nei confronti dei suoi personaggi, che in quelli dei lettori.Per Cuore sordo mi sono documentata moltissimo, proprio perché sono dell’idea che se si vuole scrivere di un certo argomento bisogna saperlo padroneggiare bene, è necessario studiare tanto. Le informazioni tecniche che ho descritto in Cuore sordo, tutte, non solo quelle riguardanti l’antropologia, sono oggetto di ricerche elaborate. Niente è inventato, o affidato al caso.La struggente verità dei lager è spiegata attraverso gli occhi di un personaggio di fantasia, una tredicenne ebrea sopravvissuta a quell’inferno. Un personaggio che intuiamo fin da subito essere molto importante e che rende ancora più forte la tensione del lettore, desideroso di scoprire quali siano i collegamenti tra le varie storie.Non mi hanno molto convinta i pezzi ad inizio libro in cui possiamo leggere i pensieri dell’assassino, anche se non si possono considerare un elemento di disturbo, grazie al ritmo avvincente che caratterizza il libro. Personalmente ho capito chi era il seriale a pagina 216 (metà libro) eppure, e questa è una caratteristica della Ghinelli che mi ha fatta impazzire, ho pensato di avere torto fino a quando non ho raggiunto la fine. Ci sono molti elementi nella ricerca dell’assassino che portano a sospettare delle persone sbagliate e a ricredersi sulla propria posizione. Solo uno scrittore veramente capace è in grado di sviare il lettore a proprio piacimento all’interno della sua storia.Sono rimasta positivamente colpita da questo libro e credo che meriti di essere conosciuto e letto da più persone possibili. Si tratta di un libro di pura bellezza, di un thriller ben riuscito e che non stanca, anzi fa venire la voglia di leggerlo di nuovo, un racconto che cela al suo interno molti segreti e che li svela al momento giusto rendendo genuina la sorpresa del lettore. Un libro che consiglierei a tutti gli amanti del genere. Personalmente sono orgogliosa di avere avuto la possibilità di recensirlo.Vuoi comprare il libro? clicca quiIntervista all'autriceCome ti è venuta l’idea di scrivere un thriller?Il thriller è sempre stato un genere che apprezzo molto, in primis come lettrice. Mi piace la suspense, il mistero, cercare di capire quale possa essere il colpevole, per poi restare spiazzata alla fine. Adoro i finali mozzafiato, quelli che mi fanno esclamare: “Cavolo, e chi l’avrebbe mai detto?”.Di conseguenza, anche come scrittrice, amo questo genere. Cosa resa ancora più vera e profonda dalla mia personale esperienza, avendo frequentato circa nove anni fa un master in antropologia forense, durato un anno. Alla fine ero così tanto entusiasta da questi studi che ho voluto inserire alcune di queste nozioni in un romanzo.Come è possibile avere informazioni su una persona avendo davanti solo le sue ossa? Si può arrivare a stabilire l’età, il sesso, lo stile di vita? E capire come è morta? O di quali patologie era affetta in vita? Sono tutte domande le cui risposte si possono leggere in Cuore sordo.Ecco perché una delle protagoniste, Lucia Costa, è proprio un’antropologa forense.Quanto tempo ti è servito per sciogliere l’intreccio? Avevi già in mente tutte le storie o si sono disvelate a te durante la stesura?Per rispondere a questa domanda voglio partire ancora a monte, dalla preistoria (non esageriamo, dai, non sono così vecchia). La primissima idea del libro è nata esattamente il 26 settembre del 2010, nel cuore di Parigi, un viaggio fatto con mia sorella Sabrina e che mi era stato regalato proprio da lei. Un viaggio meraviglioso e divertentissimo, tra l’altro.Il primo personaggio ideato era una bambina dalla pelle d’avorio, Ivory, che racchiudeva il sogno di ballare all’Opéra di Parigi. L’ispirazione l’ho avuta nel momento in cui i miei occhi si sono posati per la prima volta su questo splendido edificio, quando il pullman proveniente dall’aeroporto ci stava portando in centro, verso l’hotel.Da lì, giorno dopo giorno, sono nati altri elementi e pian piano ho cominciato a elaborare la trama. Mi è servito all’incirca un mesetto o poco più per mettere insieme tutte le idee che avevo in mente. Prima di iniziare a scrivere la prima stesura avevo già delineato tutto. Quando scrivo, io uso sempre questo metodo: tracciare una bozza per ogni capitolo, con una descrizione a grandi linee di cosa accadrà e in quale ordine. Mi è utile per gestire al meglio i vari colpi di scena.Ciò non toglie che, durante la stesura, io decida magari di apportare qualche modifica a una storia piuttosto che a qualche personaggio.Mi è capitato per esempio con il personaggio di Alex, uno dei poliziotti. Avevo scelto per lui una certa cosa, ma poi lui mi ha parlato e… le cose sono cambiate. Non voglio spoilerare nulla, però.Quando hai sviluppato l’idea del serial killer?Sempre prima di cominciare a scrivere la stesura, quindi durante la fase di elaborazione della trama e la ricerca delle idee. Mi sono detta: “Perché non complicare un po’ di più la faccenda?”. Ecco, l’idea del serial killer è nata proprio così.C’è qualcosa del libro che non ti convince del tutto e qualcosa invece che ti piace tanto? Ti ritieni soddisfatta del tuo lavoro?Dunque, c’è qualcosa del libro che non mi convince? Sì, tutto. A parte gli scherzi, io in generale non riesco mai a dire se un libro che ho scritto possa essere considerato un buon lavoro (e per buon lavoro intendo di qualità, un libro che possa piacere ai lettori). Dopo aver scritto alcuni capitoli, si, magari mi sentivo abbastanza soddisfatta (del tutto mai, sono del parere che si possa sempre migliorare) ma la mia domanda era: “D’accordo, a me può anche piacere, ma chi sono io? Può piacere a un editore? E agli eventuali lettori?” La risposta alla prima domanda la potete trovare nella prefazione di Cuore sordo e la seconda… bhe, me la direte voi dopo averlo letto.Rispondendo alle prime due domande, invece, dico che mi piace molto lo sviluppo antropologico della storia, il lavoro di Lucia Costa, come è arrivata a capire le cose che ha capito. E poi anche il finale, il modo un po’ originale in cui ho deciso di svelare l’epilogo. Vi prego ditemi che vi ho incuriosito.Sono un po’ dubbiosa sul numero dei personaggi (non sono pochi) e sul fatto che la trama sia ben ingarbugliata. Temo che questo possa limitare un po’.Da cosa ti sono stati ispirati i personaggi e le loro varie vicende, ti rispecchi in loro?L’ispirazione per Ivory è stata la prima a nascere, come spiegavo prima. Quella degli altri personaggi è nata dopo, prendendo anche spunto (ma solo per qualche tratto) da gente che conosco.Mi riconosco in loro? Ni. Nel senso, non c’è nessun personaggio per cui, in toto, chi mi conosce possa dire: “Oh, questa è proprio Barbara”. Ma ad ognuno di loro ho regalato una parte di me, sia per gli studi sia per la personalità. Insomma, diciamo che mi sono divisa in tanti pezzetti che poi ho inserito in altri corpi, in altri cuori. Un po’ come gli Horcrux di Harry Potter, per chi ha letto la saga.A Lucia ad esempio ho donato il mio percorso di studi, a Evangeline la passione per la scrittura… e così via.Sommando tutti i personaggi, dal punto di vista morale e psicologico, si svelano le emozioni e i valori di vita che per me sono davvero importanti.Da quanto tempo scrivi e quale genere ami scrivere?Scrivo da sempre, da quando ero una bambina. Ho iniziato con un diario segreto, come fanno tante ragazze, poi inventavo storielle o brani che piantavo lì prima di decidere di terminarle, poi ho iniziato con poesie e racconti brevi. E infine, da ragazza o comunque in età piuttosto adulta, sono partita in quarta con i romanzi e non ho più smesso.Pensate che alle elementari, alla domanda “Cosa vuoi fare da grande”, io rispondevo “la scrittrice”. Ho sempre amato leggere e il mondo dei libri è sempre stato magico, per me fondamentale. Ora, a distanza di anni, non sono certo una scrittrice affermata ma almeno una pubblicazione c’è. E in futuro… si vedrà. Ad ogni modo non smetterò mai di scrivere e di crederci.Amo scrivere storie di genere thriller, mistery (in generale quei libri in cui c’è da risolvere qualche segreto o mistero che arriva magari dal passato di un personaggio, senza che ci sia per forza la polizia a indagare) e anche fantascienza. I miei due primissimi libri, uno il seguito dell’altro, sono appunto di fantascienza.Ti piacerebbe andare avanti con il thriller?Sì, mi piacerebbe. Da qualche mese mi è balenata l’idea di creare una serie di libri autoconclusivi che però abbiano come protagonista l’antropologa Lucia Costa. Un po’ come ha fatto Jeffrey Deaver con Rhyme e la Sachs (anche se questi due personaggi non sono antropologi), oppure Kathy Reichs con la Brennan (per chi ama la serie televisiva Bones).Credo che in Italia manchi una figura del genere, che sia ricorrente intendo.Ho già qualche ideuzza in mente per il prossimo volume.Quanto aiuto hai ricevuto per la stesura del libro, qualcuno ha contribuito per le informazioni?Per Cuore sordo mi sono documentata moltissimo, proprio perché sono dell’idea che se si vuole scrivere di un certo argomento bisogna saperlo padroneggiare bene, è necessario studiare tanto.Le informazioni tecniche che ho descritto in Cuore sordo, tutte, non solo quelle riguardanti l’antropologia, sono oggetto di ricerche elaborate. Niente è inventato, o affidato al caso.Per farlo, quindi, mi sono servita di libri, articoli in internet, testimonianze vere e di consulti. In particolare, per quanto riguarda la figura del serial killer, ho chiesto aiuto a una mia compagna di master, la dott.ssa Elisabetta Venturi, criminologa. Lei, tempestivamente, mi ha inviato via mail il materiale che mi serviva. Come agisce un seriale? Come si può stilare un suo profilo? Perché sceglie le sue vittime?Inoltre, per il mito di Orfeo ed Euridice, ho fatto qualche domanda a mia cugina, Giulia Raiteri, laureata in lettere.Hai viaggiato molto prima di scrivere questo libro? Si nota molta precisione nelle descrizioni delle ambientazioni.A me piace viaggiare, moltissimo. Mi fa piacere si noti questa precisione nelle descrizioni perché è un aspetto cui io tengo molto. Quando ero ragazzina e leggevo qualsiasi libro rimanevo sempre affascinata dalle ambientazioni e dalle immagini che alcuni scrittori sanno evocare, mi sembravano pennellate di colore in un quadro. Ricordo che pensavo: “Come piacerebbe anche a me riuscire a descrivere tanto bene”. Così, anno dopo anno, mi sono messa d’impegno e ho cominciato a osservare tantissimo la natura, i luoghi, gli ambienti.Adesso non so se sono diventata brava, ma di sicuro mi piace e amo scrivere con precisione.Prima di scrivere il libro sono stata a Parigi, Roma, Laigueglia (dove si svolgono il prologo e l’epilogo di Cuore sordo). Non sono mai stata a Sant’Antioco (Sardegna), dove si trova il faro che Evangeline vede e di cui si innamora nel libro, ma per poterlo descrivere ho chiesto spiegazioni dettagliate a un’amica sarda e ho guardato immagini, video e fotografie per giorni e giorni.Hai già in progetto un altro libro?Sì, oltre alla serie con protagonista Lucia, di cui parlavo prima, ne sto già scrivendo un altro, che non è un thriller ma un mistery si può dire, o meglio un ibrido. La storia è ambientata in Cornovaglia e anche questa è strutturata su due livelli temporali: uno nel tempo presente e l’altro nel passato, nel periodo tra le due guerre mondiali. Il romanzo è costruito attorno a diversi segreti e misteri, racchiusi nel labirinto di un giardino di una grande villa.Si intitola Neve e lucciole.Infine, su Amazon si può trovare un altro mio libro, un thriller: Ombre dal passato.
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Published on January 21, 2019 05:56

January 6, 2019

Bentornati a Villa Paradiso, di Roberto Vallerignani: Analisi e Recensione

Eccoci ad una nuova recensione, questa volta dall’impronta giallastra. Non di un giallo acceso, come vi aspettereste, ma un giallo piuttosto tenue. Ho letto il libro di Roberto Vallerignani, “Bentornati a Villa Paradiso”: un giallo che tratta dell’omicidio di due amanti, in particolare le indagini si concentrano su quello della giovane donna, molto bella e i cui comportamenti scostanti interessano maggiormente gli inquirenti. Innanzitutto ho notato la tendenza di Vallerignani a concentrarsi sui dialoghi, un tipo di scrittura molto teatrale, e su questi ultimi devo dire che l’autore sembra averci messo tutto sé stesso. Il realismo delle interazioni tra i personaggi è quasi impressionante e sembra davvero di vedere qualcuno parlare su di un palcoscenico. La storia è volutamente diversa dal normale giallo e si incentra maggiormente sulla sfera privata dei personaggi. Ci sono state delle scene che mi hanno colpita: come quella dell’ispettore Antonelli alle prese con un’impiegata dell’INPS, molto divertente, e una delle scene finali in cui si vuole mettere in luce un lato delle indagini che in Italia è sempre stato mistificato, ovvero viene data ufficialmente la colpa a uomini di etnia differente per nascondere i veri colpevoli del duplice omicidio. Particolare il fatto che alla fine l’indagine sia risolta dall’ispettore, ma non diventi di dominio pubblico e il colpevole non venga arrestato. Mi è piaciuto come l’autore abbia descritto la vita stentorea, il travaglio di una persona diventata disabile e, allo stesso tempo, quello delle persone che se ne prendono cura ogni giorno ed empatizzano con questa a tal punto da impazzire. Si tratta di un giallo particolare, che consiglio di leggere a tutti per farsene un’idea, perché, esattamente come io l’ho trovato pesante da leggere, magari qualcun altro potrebbe smentirmi e trovarlo un libro interessante. Dopo aver specificato questo, non perderò altro tempo e farò un’analisi approfondita del libro per spiegarvi per quale ragione, nonostante mi abbia colpita, non mi sia piaciuto un granché.Analisi (attenzione SPOILER)“Bentornati a Villa Paradiso” è un libro molto lento da leggere, ma per i motivi sbagliati. Non aspettatevi un giallo veloce o ricco di investigazione. Vallerignani si è concentrato molto sulla caratterizzazione dei personaggi principali e sulla loro vita privata, tralasciando un po’ l’aspetto delle indagini. Tant’è che troveremo più descrizioni del bollettino meteo, dei sogni dei personaggi, di conversazioni private, di pranzi e di sequenze di azioni inutili ai fini della narrazione che piuttosto pezzi dedicati alla ricerca dell’omicida. Ci sono troppe divagazioni. In genere sono un’apprezzatrice di quei libri nei quali i protagonisti vengono studiati e caratterizzati nel dettaglio: ho amato “L’ombra del vento”, che si concentra moltissimo sui personaggi (non pochi) e riesce a gestirli in modo eccellente, rendendo comunque l’obiettivo principale del protagonista sempre vivo nella mente del lettore e incuriosendolo. L’errore che ha fatto l’autore è che, in un libro che dovrebbe essere un giallo, si è impegnato di più nella costruzione dei personaggi che nello sviluppo dell’indagine. Arriviamo a metà libro che ancora non si sa nulla della fantomatica Villa Paradiso, a parte che è un ricovero per disabili, una cosa che si intuisce piuttosto tardi. Il meccanismo con cui il libro crea suspense è troppo intricato: a fine capitolo compaiono dei pezzi in corsivo narrati in prima persona da un soggetto che già all’inizio si intuisce essere in qualche modo implicato nell’assassinio. Ho apprezzato, come scritto sopra, il modo in cui Vallerignani ha descritto il tormento di Luca, ospite della Villa, diventato disabile a causa di un incidente. Secondo me, sono proprio le ultime pagine del libro il pezzo forte. La descrizione della pena, della rabbia, della frustrazione, dell’odio che prova questo personaggio. L’atmosfera di amarezza resa dal libro poteva essere qualcosa di sublime che, almeno secondo me, avrebbe portato il libro a tutt’altro livello se i ritmi della narrazione fossero stati migliori. Si vede che Vallerignani ha una grande proprietà di linguaggio e una forte maturità stilistica, proprio per questo mi è dispiaciuto che il libro non fosse migliore nella sua interezza. Il problema si ritrova proprio nella definizione di “giallo”, perché fin da quando ci viene presentato il personaggio di Luca noi già intuiamo che sia implicato negli omicidi, perciò una volta arrivati a metà libro la noia regna sovrana. L’interesse viene giusto ravvivato quando finalmente ricominciano gli interrogatori e veniamo rinviati a quell’ “inferno” di Villa Paradiso.Volendo immaginare il bicchiere mezzo pieno, potremmo vedere questa lentezza come una rappresentazione scritta di quella che è vista come la tipica indagine italiana: ovvero, troviamo dei personaggi svogliati il cui primo scopo è andare in vacanza, o nel caso di Antonelli in pensione, che però sono costretti a lavorare a un caso che non potranno mai risolvere per davvero. Personaggi concentrati sulla loro vita privata ai quali non importa davvero delle vittime, infatti Antonelli empatizza con la ragazza unicamente perché gli ricorda sua figlia Nadia. Un menefreghismo che assume forma quando leggiamo le tristi parole di Luca alla fine del libro.L’ispettore Antonelli, il primo protagonista della storia, è un uomo anziano, con dei problemi di comunicazione e ingenuo. “Ingenuo?” vi chiederete voi. Ebbene sì. Un uomo che svolge la sua professione da anni riesce ad essere ingenuo e a balbettare nelle conversazioni più semplici. Vi trascrivo due esempi.(In questa scena Antonelli sta ponendo delle domande all’ingegner Tucci, uomo importante che ha avuto una relazione con la vittima. I pensieri sono scritti in corsivo e in genere sono quelli del personaggio protagonista del pezzo)- Abbiamo riscontrato…Quelle maledette parole! Metterle una dietro l’altra non era mica così facile.- Abbiamo… sì, abbiamo scoperto…Cosa diavolo hai scoperto, idiota, l’America?- Abbiamo accertato…- Che avevo una relazione con la ragazza.L’ispettore sbiancò. Pensò seriamente di svenire. Anzi, desiderò ardentemente di svenire. (Sul serio?)(Antonelli sta conversando con il professor Meucci, altro indagato)- Allora estenda i ringraziamenti a tutto il suo staff. Ma, mi dica, qual era la domanda che voleva pormi?L’ispettore Antonelli meditò per qualche secondo. Il solito problema della ricerca delle parole.- Nella sua lunga esperienza, - esordì infine, - le è mai capitato di… sì, insomma, di… voglio dire, un paziente che ha avuto un… cioè, le è mai capitato che qualcuno guarisse da un grave trauma che l’aveva portato a stabilirsi qua?(Tutto qua quello che dovevi dire? Sembrava essere qualcosa di molto imbarazzante)Il professor Meucci rise sonoramente, batté una mano sul tavolo come a dire che quella era grossa per davvero.La cosa che attutisce la mancanza di spina dorsale dell’ispettore è proprio l’autoironia con cui Vallerignani smorza questo comportamento così bizzarro. L’autore stesso dopotutto ha scelto di scrivere un personaggio che fosse l’antitesi del super-uomo descritto in genere nei libri gialli, o nelle serie poliziesche, rendendo la situazione piuttosto comica. Che poi il personaggio sia riuscito o meno, questo dipende dai punti di vista.La pesantezza del libro è dovuta anche a diversi piccoli dettagli. I dialoghi a volte sono confusionari e non si capisce esattamente se l’azione che segue sia di chi ha appena parlato, oppure dell’ascoltatore, perché a volte non viene specificato. All’inizio non pensavo che potesse diventare un problema nella lettura, perché si poteva quasi sempre intuire chi fosse ad agire, o perlomeno immaginarlo. Però in un testo in prosa è rischioso non specificare il soggetto quando hai una frase fraintendibile. A volte mi è successo di confondere l’interlocutore e di leggere i dialoghi in modo scorretto. L’autore ha dato davvero molto spazio ai dialoghi, forse troppo, tant’è che i pezzi in prosa a volte sembrano dei flussi di pensiero dei personaggi (con tanto di esclamazioni e domande indirette). Così si perde il distacco dai personaggi e, anche se ciò dovrebbe farci immedesimare in essi, alla fine rende tutto il resto ancora più confuso.Non esiste una vera e propria divisione del testo in capitoli, dei capitoletti ci sono ma sparsi qua e là senza una vera logica, e manca anche l’indice. Il testo è eccessivamente frammentato, ogni pezzo è diviso da tre asterischi. Vi sono dei continui cambi di punto di vista (a metà libro aumenta la frequenza a ogni pagina) e i personaggi per i quali lo abbiamo purtroppo non sono solo i protagonisti. A volte sono anche personaggi che non vengono specificati immediatamente nel testo e che, nel mio caso, non sono riuscita a comprendere chi fossero nemmeno nei paragrafi seguenti, perché non vengono nominati o descritti fisicamente. Lo stratagemma di nascondere un nome funziona quando il personaggio senza nome è uno solo, oppure quando compare subito dopo. In questo caso ce ne sono diversi e le loro storie sono disperse nel mare di momenti, perlopiù statici, che compongono questo libro. Si dà davvero troppa importanza a dei personaggi del tutto secondari nella storia. La frammentazione dei punti di vista risulta più leggibile quando i personaggi osservatori sono in minor numero (soprattutto se si tratta unicamente dei protagonisti), altrimenti si rischia di fare confusione. Ci sono scene di interrogatori in cui l’osservatore è l’interrogato, quindi noi possiamo leggere i suoi pensieri, che invece di creare suspense causano un’ulteriore confusione. Ci sono anche problemi a comprendere dove si svolgano le varie scene e questo è una delle mancanze peggiori. Spesso si ha la sensazione che i personaggi stiano su un palcoscenico vuoto, accompagnati solamente da qualche elemento scenografico: una poltrona, un tavolino, una sedia a rotelle, e così via.In conclusione, ogni pagina che leggevo speravo sempre più che le indagini andassero avanti in questo libro, o che si scoprisse perlomeno qualcosa di rilevante. Non mi importa della conversazione che hanno l’ispettore Antonelli e Baldi a tavola, io voglio conoscere i fatti rilevanti sul caso. La lentezza delle indagini sarà anche realistica, ma scritta in questo modo nuoce alla narrazione, perché tra una divagazione e l’altra finisci per perderti e non capire più nulla di quello che stai leggendo, a meno che tu non abbia una concentrazione ferrea. Il bello di un giallo è proprio che il lettore viene messo al corrente delle indagini e viene guidato alla scoperta del colpevole. All’inizio ero convinta che il vero protagonista fosse il colpevole. Sarebbe stata una soluzione molto interessante. Invece i protagonisti di questo libro non sono ben definiti, capiamo che Antonelli lo è unicamente perché il più dei momenti descritti sono suoi e perché il suo nome è scritto sul retro di copertina. Allo stesso modo però anche Luca è un protagonista, anche se è descritto narrativamente in modo diverso.Nel mio caso personale ho provato una profonda frustrazione all’idea che l’assassino non sia stato emarginato. Il finale mi è piaciuto anche per via di questo forte fastidio: sembra costruito per farti provare pena per l’assassino, ma allo stesso tempo fartelo odiare. Le parole finali “L’ispettore Antonelli doveva ancora perdonarsi gli errori e le numerose violazioni alla deontologia. Si era comportato da schifo, aveva lasciato libero un assassino. / Libero?” mi hanno lasciata spiazzata, perché sì, l’ispettore ha lasciato libero un assassino, un assassino pur sempre in grado di muoversi e potenzialmente pericoloso per altre persone. Queste ultime parole hanno distrutto la già scarsa compassione che provavo per il colpevole. Se questa persona è in grado di muoversi e addirittura di ferire con forza qualcun altro, allora va messo in una struttura specializzata, non lasciato in un posto in cui potrà aggredire qualcun altro per sfogare le proprie pulsioni, o i propri dolori. Non importa quanto la Villa possa essere un inferno. Chi può dire che non arriverà un giorno un’altra persona come Annarita (la vittima) e che non ferirà involontariamente i suoi sentimenti? Il menefreghismo da parte dell’ispettore è imbarazzante. Non so se fosse questo l’effetto che voleva ottenere l’autore. Se è così allora il finale gli è riuscito perfettamente e mi ha coinvolta molto più che tutto il resto del libro. Magari ci fossero stati più pezzi coinvolgenti come questo!Come al solito non mi astengo dal commentare il lavoro estetico visivo fatto sul libro. Di sicuro questo libro non attira dal punto di vista grafico. L’impaginazione è basilare, sembra quasi copiata dal testo su Word. La copertina non è per niente accattivante, manca di carattere: è spenta, troppo semplice, il font ricorda uno di quelli del vecchio WordArt, appare un riquadro con l’immagine troppo scura del ventre di una donna. Insomma, non c’è stata molta cura. Probabilmente hanno sottopagato, o non pagato per niente, qualcuno per lavorarci.Se dovessi esprimere un giudizio finale per questo libro, direi che è un libro scritto bene, che crea un’atmosfera cupa e coerente, stilisticamente accurato, ma narrativamente troppo confuso e troppo lento. Vi consiglio nuovamente di leggerlo, perché è comunque un libro che a suo modo lascia il segno. Purtroppo per me, il segno più vivido che mi ha lasciato è il tedio che ho provato leggendolo.
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Published on January 06, 2019 11:00

November 25, 2018

I Cartoni di Lui & Lei, di Lilletta Ely e Max Rambaldi: Recensione

Apprezzo molto i video di Lilletta Ely e Max Rambaldi, perciò mi sono lasciata trasportare con grande emozione dalla loro idea di creare un libro illustrato, dedicato integralmente ai cartoni animati che spopolavano negli anni Novanta. Come loro seguace, sono orgogliosa di essere riuscita a ottenere una delle rare copie, perciò ammetto che il mio giudizio potrebbe non essere del tutto oggettivo. Seguo da diversi anni queste ragazze su YouTube e ho sempre provato un profondo amore per le illustrazioni di Max (vi consiglio di dare una sbirciata ai loro canali, sono davvero brave). Lilletta (Elisabetta) ha provveduto alla stesura del libro in sé, mentre Max (Valeria) ha disegnato e impaginato il volume.“I Cartoni di Lui & Lei” è un libro dedicato ai fan e finanziato dai fan in un crowdfunding su Ulule, quindi in tiratura molto limitata. Un pezzo da collezione, insomma. Leggendo il testo si riconosce immediatamente la mano di Lilletta, perché ricorda il modo in cui vengono presentati i suoi video. Uno stile conciso e spiritoso, che lascerà sicuramente un sorriso a chi ha vissuto (anche solo in parte, come me) gli anni Novanta. Sono trattati perlopiù gli anime giapponesi famosi in quel periodo e le loro trasposizioni italiane: suddivisi in categorie ed elencati uno dopo l’altro, spesso in ordine cronologico. Il libro è scritto bene, a parte qualche trascurabile refuso, svolge bene il suo compito di presentare i cartoni animati e non è mai stancante, grazie alla combinazione micidiale dei riassunti divertenti di Lilletta e la marea di illustrazioni e grafiche di Max. Quest’ultima ha fatto probabilmente il grosso del lavoro e non oso immaginare i mesi che possa aver impiegato per creare tutti i disegni e i dettagli. Persino le scansioni di oggetti degli anni Novanta sono state modificate ad hoc per adattarsi allo stile del libro.Veniamo introdotti al libro da Lilletta, che ci guida alla lettura tramite il suo gattino Indiana (Indy), onnipresente anche nei suoi video su YouTube. Ogni disegno è caratterizzato dalla sua presenza, quasi sempre travestito da cartone. Indy ci accompagnerà per tutto il tempo, in illustrazioni colorate che riempiranno il libro (vi è almeno un’illustrazione ogni due pagine!). Al suo interno troviamo anche citazioni di svariato genere, nelle illustrazioni persino una intera lista di riferimenti ad altri youtuber e, dulcis in fundo, dei giochi da completare, studiati come se si trattasse effettivamente un diario scolastico. La cosa davvero bella di quest’opera è la cura del dettaglio, che lascia impressionati fin dalle prime pagine. Le illustrazioni non ti abbandonano mai e senti che ogni volta che girerai pagina ci sarà sempre qualcosa di nuovo da scoprire, così da soddisfare appieno la tua curiosità.Ho terminato questo libro molto velocemente, mi ha letteralmente incantata. Sono dispiaciuta che manchino all’appello alcuni cartoni (“Anna dai capelli rossi”, ad esempio) ma, giudicando dal lavoro svolto dalle due autrici, il libro risulta comunque soddisfacente e ben costruito. Purtroppo ne sono state stampate pochissime copie, perciò non posso indirizzarvi a nessuna pagina web per comprarlo, anche se lo consiglierei sicuramente a tutti i ragazzi cresciuti in quegli anni che vogliano rivivere per un attimo l’esperienza della loro infanzia.Ho fatto anche una breve lettura su Instagram di recente, date uno sguardo per farvi un'idea.
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Published on November 25, 2018 11:09

October 30, 2018

Lo spettro del passato

Disegno di Drawing Meido (@M_zwz) Storia di Miss Maggie PaperQuella sera uscii di casa. Avevo la luna storta e non la smettevo di lamentarmi per ogni stupidaggine. E il freddo di qua, e l’umidità di là. Ribadivo a me stesso quanto fosse triste l’autunno. “Non mi sorprende che Halloween sia in questa stagione”. Camminavo accostando il lato del marciapiede meno vicino alla strada. Non si può mai sapere. Se a qualche buontempone fosse venuto in mente di passare con la macchina proprio sulla pozzanghera vicino al sottoscritto avrei tirato giù tutti i santi dal cielo. Svoltando all’incrocio, imboccai la via che portava al centro città, quando con la coda dell’occhio notai un’agile ombra scivolare lungo il perimetro dell’edificio all’altro lato della strada. Aguzzai gli occhi e riconobbi la silhouette di un gatto dal pelo nero come la pece. Si era fermato al bordo della strada, là dove spuntavano le sfocate strisce pedonali. I suoi occhi mi scrutarono. Istintivamente mi fermai e ricambiai lo sguardo, per qualche ragione incuriosito da quel felino. Il suo pelo corto e scuro, delineato appena dalla calda luce dei lampioni, lo rendeva una creatura quasi spettrale. Mi sentii osservato, sporco, giudicato da quegli occhi maledettamente gialli. “È forse perché ho pensato male di Halloween?”, queste parole comparvero nella mia mente e, proprio a seguito di ciò, come se le avesse udite, il gatto smise di fissarmi e si spinse verso il ciglio del marciapiede. “Ahi, ahi. Gatto nero per strada. Non vorrà mica attraversare”, pensai ridendo tra me e me. Non ero una persona superstiziosa, ma scherzare in quel momento di particolare avvilimento mi confortava. Il felino si fermò nuovamente, sull’attenti, impegnato a guardare qualcosa di imprecisato sulla strada di cemento. Mi appoggiai a un’auto parcheggiata lì vicino. Volevo godermi lo spettacolo in prima fila. Piegai leggermente il collo, come se ciò potesse aiutarmi a capire che cosa avesse attirato la sua attenzione. Improvvisamente il micio fece un balzo indietro e fuggì come un razzo nella direzione opposta. “Toh, è finito qui il divertimento?”. Chi sa cosa ci avevo trovato di interessante in un gatto che si comportava da… gatto. Feci per voltarmi e riprendere la mia camminata da dove l’avevo lasciata, quando udii una sgommata e un forte tonfo. Girai indietro lo sguardo, sgomento. Temevo che qualcuno avesse fatto un incidente. Eppure la strada era vuota e nuovamente silenziosa. Mi gettai a verificare se fosse avvenuto qualcosa sulla strada perpendicolare alla mia. Nulla. Anzi, dalla parte opposta della strada passeggiava quieta una vecchietta, un passetto dopo l’altro. «Mi scusi! Signora!». L’anziana inizialmente non capì che mi stavo riferendo a lei e dovetti ripetere il richiamo altre due volte. «Dice a me?» «Sì signora. Lei sa per caso cosa fosse quel forte rumore di poco fa?». L’anziana mi guardò come se fossi matto. «Io non ho sentito nulla». Non mi fidai molto della sua affermazione, considerando quante volte avevo dovuto chiamarla poco prima. «Ne è proprio sicura?» «Certo, giovanotto. Non sono ancora così sorda, sa». Mi sembrò che mi avesse letto nel pensiero. «Caspita. Ero convinto che qualcuno avesse fatto un incidente». Udendo quell’ultima parola la vecchietta mi guardò negli occhi, come se si fosse riacceso un antico ricordo. «Oh» sospirò «Tanti anni fa ci fu un incidente, proprio su questa strada». Sgranai gli occhi. «Dice sul serio?» «Certo. Non racconto frottole» borbottò. Nei suoi occhi potei leggere una grande tristezza. «Mio marito… perse la vita qui. Non ho mai compreso la ragione: era in ottima salute, un ottimo guidatore, andava sempre adagio quando guidava…» dopo aver detto ciò divenne silenziosa. «Mi dispiace molto, signora». Fu quando la congedai e tornai sui miei passi che, fugacemente, pensai di nuovo a quel gatto spettrale. Sembrava proprio che stesse fuggendo da un fantasma.
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Published on October 30, 2018 17:40

October 16, 2018

“Siamo solo piatti spaiati” di Alessandro Curti: Recensione

Andrea è l’educatore perfetto, colui che sa sempre cosa dire nel momento giusto e che sa sempre reagire nel modo migliore a ogni evenienza. I ragazzi in comunità lo rispettano e lo vedono come un punto di riferimento. Adesso vi starete chiedendo per quale ragione io stia parlando di Andrea, anche se il protagonista della storia è Davide: un ragazzo problematico che, incastrato, si ritrova in comunità a dover imparare ad accettare i suoi errori. Ne parlo perché questo personaggio è in realtà una figura chiave dell’intero libro. È l’educatore che Alessandro Curti ha sempre desiderato essere, il suo modello ideale. Ho letto solo questo libro di Curti, ma che Andrea fosse molto importante per lui lo si evince fin dalle prime pagine. Il modo in cui si pone a persone adolescenti, sicuro, impenetrabile, senza mai sbagliare una sola virgola dei suoi discorsi, ci fa comprendere sia quanto c’è di Curti in lui, sia quanto di lui Curti vorrebbe ritrovare in sé stesso.Questo libro mi ha incuriosita molto, tant’è che l’ho finito in fretta per i miei tempi. Discuterò in seconda istanza delle cose che non mi sono piaciute per niente della pubblicazione di quest’ultimo. Ora come ora desidero esprimere le mie congratulazioni a Curti per aver scritto un libro così leggero e allo stesso tempo incisivo nel suo scopo. Il viaggio introspettivo che compie Davide è qualcosa che qualsiasi ragazzo, o ragazza, potrebbe vivere. Curti ha molta esperienza nel campo delle comunità e questo libro ne è la prova. Inizialmente, leggendolo ho avuto l’impressione che si trattasse di un racconto autobiografico per quanto è realistico e pieno di dettagli. Il giovane protagonista sta vivendo un dramma interiore, che lo spinge ogni volta a scaricare la colpa sugli altri, a non comunicare se non chiamato in causa, a isolarsi perché sono tutti colpevoli fuorché lui. Lui non ha fatto niente, è il mondo che ce l’ha con lui. Viviamo in primo luogo la maturazione di Davide, che accetta le sue colpe e la sua necessità di aiuto, in secondo luogo l’accettazione dello stesso autore del fatto che non potrà mai essere come l’ineccepibile Andrea. Questo viaggio è molto bello da vivere assieme a Davide, il diretto interessato, proprio perché egli ti permette di leggere ogni suo pensiero, ogni suo travaglio e di comprenderlo al meglio delle proprie possibilità.Passando a ciò che non mi è piaciuto, sicuramente la narrazione al tempo presente, ma si tratta di un pensiero soggettivo. Trovo che il tempo presente non sia buono per una narrazione in prosa e se viene utilizzato deve essere fatto con criterio. Penso però che il fatto che sia Davide stesso a narrare ciò che avviene dentro di lui sia una bella scelta narrativa. Nel libro ho trovato refusi, ripetizioni inutili, testi con iniziali maiuscole e corredati da corsivi, spesso degli a capo senza rigore logico, salti nel tempo che non sono distaccati dal resto del testo, così non comprendi se quello che stai leggendo è un flashback o il presente di Davide. Insomma, un disastro. Spesso vengono fatte citazioni appartenenti alla cultura giovanile, ma queste ultime non vengono spiegate, non tenendo in conto che molti possibili lettori di questo libro non le capiranno. Ad esempio, la citazione a Harry Potter, “Cento punti a Grifondoro direbbe la McGranitt.”, o quella a Call of Duty, “Come quando in Call of Duty non ti accorgi che il nemico sta arrivando alle tue spalle e la kill è cosa certa. E tu bestemmi tra te per essere stato così stupido.”. Per nessuna di queste viene effettivamente spiegato a cosa si riferiscano. Ci sono persone che non hanno idea di chi sia la McGranitt, e altre che non conoscono assolutamente l’ambito videoludico. Un errore da principianti. Non mi sento però di accusare totalmente l’autore, perché alla fine qualcuno l’ha editato e pubblicato questo libro. Parlando sempre dell’editing, sembra davvero che abbiano copiato e incollato il testo di Curti direttamente in InDesign, senza le dovute correzioni. In tal caso, visti i pochi refusi nel testo, mi complimento con l’autore per la precisione nella stesura. Questa è una cosa che non mi aspetterei mai da una casa editrice, che sia grande o piccola. Per non parlare dell’impaginazione e della copertina. Sembra che abbiano raccolto dalla strada un tizio a caso e lo abbiano piazzato davanti a Photoshop dicendogli “Ecco qua: devi ritagliare questi piatti e incollarli su questa pagina”, infatti gli elementi della copertina sono ritagliati malissimo, si vedono persino i bordi bianchi delle immagini originali. Anche i font sono male accostati. Una pessima pubblicità insomma, a un libro che riesce a trasmettere bene comunque il suo messaggio e che avrebbe avuto bisogno di molta più attenzione di quella che gli hanno effettivamente dato.Concludendo, il romanzo ha una trama interessante e un grande potenziale, ma è stato presentato al pubblico nel peggiore dei modi. Il libro mi è stato inviato per errore, ma ammetto che sono stata davvero felice di leggerlo e, se ne avrò l’occasione, leggerò anche i precedenti volumi della trilogia di Curti. Ho apprezzato molto la storia in sé e penso che meritasse maggiore cura di quella che gli è stata data dalla casa editrice.
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Published on October 16, 2018 05:42

October 5, 2018

"Avventura di un gatto" di Gaspare Burgio: Recensione

-Oh cavolo! Cos’è stato?--E’ la goccia che volevi afferrare-, spiegò con stranimento Joker.-Beh sì, suppongo di sì, che sia proprio quella. Oh perbacco!-, concluse, saltando ancora per lo spavento.-Un’altra goccia-. Joker iniziava a capire l’andazzo.“Avventura di un gatto” è un libro che non mancherà di farvi sorridere nemmeno alla sua apertura. Non senza criterio l’autore lo definisce “commedia felina”. Il protagonista che accompagnerà il lettore in questo divertente viaggio è Joker, un gatto di strada pronto a definirsi egli stesso “il re dei randagi”, ma che, dopo aver incrociato la sua strada con una giovane umana, riscopre un desiderio a lui nascosto da molto tempo: appartenere a qualcuno. Joker compie il suo viaggio alla ricerca di sé stesso, il suo viaggio per “raggiungere la luna”, per scoprire ciò che gli manca e ciò che lo renderebbe completo. Se c’è qualcosa che Gaspare Burgio riesce a trasmettere in questo breve libro è la continua contraddizione di Joker, che da una parte vorrebbe essere libero (quindi randagio), deluso dagli abbandoni subiti in passato, mentre dall’altra ancora spera di legare con qualcuno che lo comprenda e che possa essere la sua casa. Così mentre ridiamo dei comportamenti buffi dei felini che lo circondano, osserviamo l’avventura di un protagonista complesso, capace di offrirci quel lato umano che spesso tendiamo ad associare agli animali.-E’ arrivato il tuo cuscino, io vado a controllare che la lavatrice giri ancora in senso orario. E’ un brutto vizio che non riesco a farmi passare.-L’antropomorfizzazione della maggior parte dei personaggi felini è spesso caricaturale, tant’è che Joker spicca al confronto, con la sua umanità. Nel pezzo che ho trascritto all’inizio della recensione, abbiamo da una parte Leone, un gatto randagio che ha preso un po’ troppo sul serio la definizione scherzosa di “suddito” datagli da Joker, che è intento a osservare delle gocce d’acqua cadere al suolo. Un comportamento più collegabile alla sfera felina. Dall’altra parte c’è Joker, che lo osserva come farebbe un qualsiasi essere umano, quasi divertito dal ridicolo passatempo del compare. Il protagonista pare più un essere umano felinizzato, che un gatto umanizzato. Lo scrittore dipinge questa storia a tratti precisi ma che lasciano dello spazio per fantasticare sulle emozioni umane e quanto di queste possano effettivamente appartenere anche agli animali. Ogni spunto di riflessione è accompagnato sempre da comicità delicata e mai portata all’esagerazione, come su una tela coperta da sfumature tenui, ma impreziosita da un’ombreggiatura colorata e vivace.Nella storia, l’umanizzazione dei felini, viene a sua volta paragonata a quella dei cani. Compaiono solo due esemplari canini durante l’avventura di Joker e notiamo subito la marcata differenza, passando da un gatto capace di intavolare discorsi, ad un cane che si pronuncia ripetendo ad ogni suono “Ciao”. Un espediente divertente per chi conosce la differenza tra i due animali e ne ride proprio per questa ragione. I gatti sono i padroni del mondo, altrimenti non sarebbero i veri proprietari della Città eterna e non avrebbero convinto la lupa a nutrire Romolo e Remo. Tralasciando le battute, si tratta di una commedia breve, ma costruita con molta cura. Vi è persino un momento in cui Joker ha modo di conversare con dei topi socialisti, di comune accordo con un suo simile, che gli porta del cibo per non essere costretto a dare loro la caccia all’interno della magione del suo padrone.-Se gli porto io da mangiare non si mettono a rovistare per la villa e non devo dare loro la caccia.--E’ una forma di socialismo-, spiegarono i roditori. -No alla monarchia! Gatti e topi liberi contro le plutocrazie umane!-Con un po’ di fantasia si possono trovare anche dei riferimenti a storie famose, nel mio caso ho scovato una piccola citazione a “Il signore degli Anelli”. Qui Joker è costretto a sorbirsi la compagnia di un gatto imborghesito e un po’ cleptomane. È stato esilarante.-Volevo sapere se avevi cambiato idea riguardo quel gioiello che porti al collo.--Ti sembro il tipo da cambiare idea?--Però forse ti pesa, dopo tanto peregrinare. Che ne dici se ti sollevo dal fardello e porto io quel bagaglio per un po’?-Per non parlare dell’intervento da deus ex machina del piccione Roderigo, che salva la situazione con il garbo che si confà ad un piccione.Non intendo scendere ulteriormente nei dettagli di questo racconto, anzi vi consiglio di tutto cuore di leggerlo e di costruirvi una vostra idea in proposito. Per me è stato un viaggio divertente e appassionante. Mi capita di rado di leggere storie che riescano ad intrattenermi con la stessa delicatezza e che mi invoglino a continuare la lettura il prima possibile. È un libro breve, come ho già specificato, che potrete finire anche in due giorni. Spero che proviate lo stesso piacere nel leggerlo che ho provato io. Vi lascio il link ad Amazon qua sotto.Avventura di un gatto, commedia felina a Roma – di Gaspare Burgio
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Published on October 05, 2018 11:52

October 1, 2018

Aggiornamenti sui vecchi e nuovi progetti

Facendo un giretto in bici, respirando l'aria autunnale e lottando con la solita fastidiosa sinusite, mi sono resa conto che sono ferma da un po' di tempo con il mio lavoro. Mi sono presa una pausa piuttosto larga dal mio blog e la cosa mi ha fatta sentire in colpa, lo ammetto. Tengo molto a questo sito, perché è una effettiva parte di me. Ho trascorso un periodo abbastanza brutto della mia vita, ma non posso utilizzarlo come scusa per non fare più nulla. Non si dovrebbe mai cedere davanti alle difficoltà, anzi andare avanti e diventare più forti. Dopotutto è questo l'effetto che fanno le cicatrici, a parte renderti più attraente e intrigante. Ma sto perdendo il filo del discorso, che in realtà doveva essere una presentazione dei miei progetti futuri (as usual) e di ciò che sto facendo al momento. Sperando che questo serva da memorandum anche a me stessa.Partendo dalla scrittura, per ora ho diversi progetti da portare avanti e davvero poche stesure. Quello che in primis voglio concludere è il progetto della raccolta "Gnomi", della quale ho già scritto due racconti e devo concluderne il terzo. In tutto saranno cinque racconti con dei protagonisti bambini, illustrati da mia sorella. Il secondo scelto è il progetto del volume II di "La mappa per Shiajla". Per quest'ultimo ho intenzione di testare un metodo di stesura differente, ovvero non scrivere i capitoli uno dopo l'altro, ma scriverne le scene separatamente, quando ne ho una visione più piena ed evitando di trattenerle troppo nella mia mente (imitando la tecnica della mia amica Sarah Troullier). In questo modo ho già scritto un pezzo strappalacrime che mi tormentava da un po' di tempo e devo ammettere che mi ha dato una grande soddisfazione. Prima di continuare il primo volume, ricordo che decidetti di scrivere altro per allenare la mia scrittura (così nacquero "il richiamo di Morfeo" e "Il venditor di parole") e sono convinta che avrò bisogno di tempo, anche questa volta, prima di cominciare il nuovo capitolo della saga. Nessuno mi rincorre, siamo solo io e il caro David... o Penelope? (giusto per incuriosire gli affezionati).Parlando del booktrailer, sono davvero felice di poter dire che il lavoro è concluso e, ancora meglio, è piaciuto molto. Di recente ho fatto uscire sulle pagine membro del mio sito anche il video dei bloopers dedicato. Per vederlo dovrete effettuare la registrazione sul mio sito, cliccando su "Login" in alto a destra.In questi giorni mi sono dedicata a qualche esercizio di disegno. Mi piacerebbe molto ottenere la manualità giusta da creare qualcosa di bello che accompagni i miei scritti. Acquisire uno stile grafico e illustrativo sarebbe davvero bello per un'artista eclettica come me. L'esercizio, in ogni cosa è fondamentale e io sono consapevole di averne davvero bisogno.Infine sono stata contattata da un taccuino editoriale per recensire dei libri. Ne ho scelto uno tra quelli che più mi sembravano interessanti e azzeccati al tema del mio sito, ma se mi piacerà o meno sarà tutto da vedere. Sempre nell'ambito delle recensioni, sto pensando di scriverne una per il nuovo libro di Gaspare Burgio "Avventura di un gatto". Sono un'ammiratrice del suo stile di scrittura e lo apprezzo molto, benché sia l'esatto opposto del mio.Nel mio cuore spero sempre di avere la meglio sul mio istinto procrastinatore e riuscire a lavorare a questi progetti, ma è difficile lavorare senza una deadline prestabilita. Per questa ragione intendo sfruttare a pieno regime il NaNoWriMo di novembre e, inoltre, stabilire una deadline per ogni mio lavoro, di modo da spingermi a fare del mio meglio. Funzionerà? Lo scopriremo solo scrivendo.
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Published on October 01, 2018 03:15

Miss Maggie Paper

Margherita Aurora Terrasi
Il Nido in cui bubboliamo in libertà!
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