Marco Manicardi's Blog

October 16, 2025

Šentalinskij (2)

E sempre in un libro che si chiama I manoscritti non bruciano (sottotitolo: Gli archivi letterari del KGB), del 1993, Vitalij Aleksandrovič Šentalinskij riporta alcune righe tratte dalla lettera di una prigioniera della Kolyma (nella Siberia nord-orientale) che dicono così:

L’amore si sussurra o si canta.
Per il dolore si grida o si digrignano i denti.
In onore degli uccisi si tace,
o si parla a piena voce…

(Dei versi che, è brutto da dire, fan fatica a invecchiare.)

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Published on October 16, 2025 08:59

October 15, 2025

Šentalinskij (su Platonov)

E in un libro che si chiama I manoscritti non bruciano (sottotitolo: Gli archivi letterari del KGB), del 1993, Šentalinskij (Vitalij Aleksandrovič), parlando del fascicolo del KGB su Platonov (Andrej Platonovič), dice che:

Egli trascorse gli ultimi anni della sua vita, già dopo la guerra, in condizioni di estrema povertà. Viveva nel cortile della palazzina che ospitava l’Istituto letterario, la culla dei futuri quadri letterari del paese. Molti di loro lo videro più di una volta spazzare il cortile sotto le sue finestre, e, dato il suo aspetto misero e il suo assoluto isolamento rispetto alla «grande letteratura», lo scambiarono per un guardiano. Uno di quegli studenti, che oggi è un noto scrittore, mi ha raccontato come una volta, spinto dalla fretta, avesse superato senza fermarsi quell’uomo con la scopa in mano che gli aveva chiesto da accendere:
«Non me lo perdonerò mai! Se avessi saputo che era Platonov!».

E poi racconta una storiella che fa così:

Nel cortile di un palazzo moscovita c’è un ragazzino che corre, gioca a pallone, grida, e disturba una signora del secondo piano che sta leggendo l’ultimo romanzo di Erich Maria Remarque.
Intanto Erich Maria Remarque è seduto su una sedia a dondolo nella sua villa svizzera e ripensa alla sua vita. «No», conclude, «non ho vissuto invano. Ho scritto qualche buon libro, mi son fatto conoscere in tutto il mondo, ho lottato contro il fascismo… Però Hemingway scrive meglio di me!».
Hemingway intanto è sulla sua barca nel mar dei Caraibi. Se ne sta coi piedi ben piantati sul ponte, il cappello sugli occhi, la pipa tra i denti, la canna da pesca rimane in attesa di qualche grossa preda. «Che il diavolo mi porti», pensa. «Ho vissuto come un vero uomo! Ho lavorato come un bue, ho lottato contro il fascismo, ho avuto molto di tutto, molta gloria, molte donne, molti soldi, ho dato la caccia agli elefanti e ai rinoceronti. Però… Però Platonov scrive meglio di me!».
Intanto Platonov corre con la scopa in mano nel cortile di un palazzo di Mosca per scacciare un ragazzino che gioca a pallone, grida e disturba una signora del secondo piano che sta leggendo l’ultimo romanzo di Erich Maria Remarque.

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Published on October 15, 2025 11:05

August 10, 2025

Paralipomeni al Tema: Alla Luna

È un po’ di tempo che volevo scrivere questa cosa e non trovavo mai l’occasione, adesso è agosto e sono a casa e mi ci metto (non che sia vitale per l’ordine naturale del mondo, ma insomma, qualcosa bisogna pur fare per riempire le giornate estive).
Anni fa, era giugno del 2010, su Barabba avevo scritto un pezzettino riguardante un tema di terza media; l’avevo poi messo anche qui sul blog, nove anni dopo, e forse avevo cambiato qualche parola ma senza stravolgerne il senso. Era questo qui (e può darsi che cambi qualche parola anche adesso, perché son fatto così, portate pazienza):

Tema: Alla Luna

Ero in terza media e mi piaceva la scienza, avevo già letto dei libri di cose spaziali e astronomiche, mio zio era un astrofilo dilettante e una volta mi aveva portato in un osservatorio in provincia di Reggio Emilia a vedere le stelle, Giove e la Luna, e poi guardavo tutti i giorni Star Trek: The Next Generation come un credente infervorato ascolta l’omelia del prete in chiesa. Ero fatto così, mi piaceva la scienza ed ero anche bravino in matematica. In italiano, invece, un po’ meno.
La prof di italiano non mi aveva in simpatia. Le rompeva un sacco dovermi dare dei voti alti nei temi, perché tutto sommato scrivevo abbastanza bene, e dei quattro o cinque agli orali perché non studiavo mai, visto che ero un ciclista e al pomeriggio ero sempre in giro ad allenarmi. In classe, poi, ero uno di quelli dell’ultimo banco che facevano sempre del casino; lei mi metteva in punizione nel banco di fianco alla cattedra e io facevo del casino anche lì. Mi odiava moderatamente, la prof di italiano. Però anche lei aveva i suoi bei difetti, tipo che era burbera, cattiva e un po’ stronza.
Mi ricordo ancora il suo nome, però qui non lo scrivo.

Insomma, avevamo appena fatto Leopardi, e Leopardi avevo scoperto che mi piaceva un bel po’, con tutte quelle sue teorie sull’Infinito, dentro e fuori, e “e il naufragar m’è dolce in questo mare” era una frase che ammiravo molto. Avevamo già letto e studiato e imparato a memoria un bel po’ di  sue poesie, e un giorno la prof d’italiano ci aveva dato un tema da scrivere in classe, era intitolato circa così: “Alla Luna: cosa pensi, tu, quando guardi la luna?”.

Eh, cosa penso, io? Mi ero chiesto. Mah. Mi ero messo lì nel banco di fianco alla cattedra con la biro in bocca e il foglio di brutta, e pensavo pensavo pensavo.
Cosa penso, io, quando guardo la Luna? Avevo pensato. Penso che è un satellite bellissimo, una palla bianca che gira gira gira ma noi vediamo sempre una faccia sola perché, guarda un po’, il suo periodo di rotazione sull’asse è uguale a quello di rivoluzione intorno alla Terra: una cosa straordinaria, una coincidenza di quelle che ti fanno venire il mal di testa.
E così, senza l’intenzione di offendere Giacomo Leopardi che, l’avevo scritto anche nel tema, mi piaceva molto e forse era il mio poeta preferito, quindi davvero senza intenzione d’offenderlo, per me invece, scrivevo, la Luna è un satellite bellissimo, con quella faccia bianca che sembra una faccia di una persona per via delle ombre sui crateri che ci sono sopra, una faccia col culo sempre al buio per la questione della rotazione e della rivoluzione che sono uguali. E poi noi ci eravamo anche stati, là, sulla Luna, così lontani, trecentomila chilometri, e degli uomini ci avevano appoggiato sopra i piedi e poi erano tornati indietro a raccontarlo; e non mi ricordavo chi me l’avesse detto o se l’avessi letto da qualche parte, ma sapevo che quel giorno, dal giorno in cui il primo uomo aveva camminato sulla Luna, qualcosa era cambiato nella testa delle persone: dal giorno dopo che l’uomo era stato sulla Luna lo spazio aveva perso una specie di magia e l’umanità era diventata piccolissima e allo stesso tempo importantissima, almeno concettualmente.
La Luna era un satellite stupendo, ecco quel che pensavo quando la guardavo. E queste cose le sapeva sicuramente anche Giacomo Leopardi, che tra una poesia e l’altra aveva scritto la Storia dell’Astronomia, anche se non l’avevo mai letta. E, insomma, era un bel tema, secondo me. Un bel tema per un argomento interessantissimo.

Mica tanto, secondo la prof d’italiano, che mi aveva guardato male dopo averlo corretto. Non ci ho neanche messo il voto, mi aveva detto. Adesso lo strappo in due e tu, a casa, stasera, ne fai un altro spiegando cosa pensi quando guardi la Luna. Non è possibile che guardando la Luna non ti vengano in mente dei pensieri fantastici e metafisici o non ti capiti mai di parlarci, con la Luna. Aveva detto così.
No, prof, io con la Luna non ci parlo, è un essere inanimato, avevo risposto.
Marco, sul serio, adesso tu questo tema lo rifai a casa tua. E così dicendo, arrabbiata, l’aveva strappato. AVEVA STRAPPATO IL MIO TEMA SULLA LUNA. Ma davvero, eh. Non mi sto inventando niente.

Quando ero andato a casa avevo cominciato a scrivere delle cose del tipo O tu, Luna, come sei bella, quando ti guardo la sera e penso a delle cose candide e ti chiedo spesso come sarà la vita, quaggiù, per me, quando mi sento tanto solo e sono triste, eccetera eccetera.
Avevo scritto che ci parlavo, con la Luna, e che la Luna era bellissima e un prodigio del pensiero, era magica. Avevo anche scritto delle cose alla Luna dandole del tu, ed ero incazzatissimo, ma dovevo farlo per forza.
Poi, la mattina dopo, avevo ridato il tema alla prof d’Italiano. Lei l’aveva messo nella borsetta e il giorno successivo me l’aveva riportato con su scritto “Sufficiente”.

Sufficiente?

Sì, Marco, è un tema molto ben fatto, scritto bene, ma hai dovuto riscriverlo a casa e più di Sufficiente non posso dartelo. Però, lo vedi che anche tu ci parli, con la Luna, quando vuoi?

Ci parlo un corno, volevo dirle, ma ero rimasto zitto, che andava bene così.
Avevo preso il mio Sufficiente in silenzio, le avevo chiesto se potevo fare una fotocopia del tema per portarlo a casa, poi l’avevo dato da leggere a mia mamma. Mia mamma l’aveva letto e mi aveva detto Bravo. Era contenta.

L’avevo guardata, avevo buttato fuori l’aria dal naso come fa un toro davanti al torero, scuotevo la testa ed ero arrabbiatissimo.
Ma bravo cosa? Le avevo risposto urlando. Bravo cosa? Che sono tutte balle!

***

Finiva così. Mi è sempre piaciuto.
Solo che, l’altro giorno, sempre per via del fatto che uno le giornate d’agosto a casa bisogna che le riempia in qualche modo, ho tirato fuori un libro che si chiama Lezioni americane (sottotitolo: Sei proposte per il prossimo millennio), del 1988, di Italo Calvino, dove nel primo capitolo, intitolato Leggerezza, Italo Calvino dice che:


Giacomo Leopardi a quindici anni scrive una storia dell’astronomia di straordinaria erudizione, in cui tra l’altro compendia le teorie newtoniane. La contemplazione del cielo notturno che ispirerà a Leopardi i suoi versi più belli non era solo un motivo lirico; quando parlava della luna Leopardi sapeva esattamente di cosa parlava,
Leopardi, nel suo ininterrotto ragionamento sull’insostenibile peso del vivere, dà alla felicità irraggiungibile immagini di leggerezza: gli uccelli, una voce femminile che canta da una finestra, la trasparenza dell’aria, e soprattutto la luna.
La luna, appena s’affaccia nei versi dei poeti, ha avuto sempre il potere di comunicare una sensazione di levità, di sospensione, di silenzio e calmo incantesimo. In un primo momento volevo dedicare questa conferenza tutta alla luna: seguire le apparizioni della luna nelle letteratura d’ogni tempo e paese. Poi ho deciso che luna andava lasciata tutta a Leopardi. Perché il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare. Le numerose apparizioni della luna nelle sue poesie occupano pochi versi ma bastano a illuminare tutto il componimento di quella luce o a proiettarvi l’ombra della sua assenza.


Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna.



O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l’anno, sovra questo colle
io venia pien d’angoscia a rimirarti:
e tu prendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.



O cara luna al cui tranquillo raggio
danzan le lepri nelle selve…



Già tutta l’aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
giù da colli e da tetti,
al biancheggiare della recente luna.



Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
contemplando i deserti; indi ti posi.


E, ecco, io, non dico a quattordici anni in terza media, ma a trentuno nel 2010 o, soprattutto, a quaranta nel 2019, queste cose qui le sapevo o comunque avevo tutti i mezzi e gli strumenti per capirle.
E quindi, adesso, non c’è altro da dire a parte che mi sento un po’ un coglione.

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Published on August 10, 2025 04:14

June 30, 2025

von Hofmannsthal (via Tondelli)

E in un articolo intitolato Vienna, dentro a un libro che si chiama Un weekend post-moderno (sottotitolo: Cronache dagli anni ottanta), del 1990, Pier Vittorio Tondelli cita un altro libro, che poi è una commedia in tre atti, che si chiama L’uomo difficile, del 1921, dove l’autore, Hugo von Hofmannsthal, dice che lui è:

un uomo che di un’unica cosa è convinto: che è impossibile aprire bocca senza suscitare le più disastrose confusioni! Ma piuttosto rinuncio al mio seggio ereditario e vita natural durante mi rintano come un gufo in un cantuccio fuori dal mondo. […] Tutto quel che si esprime è indecente. Il semplice fatto che si esprima qualcosa è indecente.

Ecco, e io, non lo so, ma è un periodo che sono abbastanza d’accordo.

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Published on June 30, 2025 09:13

May 31, 2025

Viganò

E in un libro che si chiama L’Agnese va a morire, del 1949, di Renata Viganò, dove si racconta della Resistenza nelle valli del Delta del Po, che si chiamano valli, ma sono acquitrini, paludi, bonifiche e canneti, a un certo punto c’è un matrimonio clandestino tra un partigiano e una staffetta, e lì ho trovato una delle frasi più belle e complete e stupefacenti che abbia mai letto in un libro scritto in lingua italiana, e la frase è questa qui:

Si sposarono una sera che un aereo inondava la valle di bengala.

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Published on May 31, 2025 01:57

February 7, 2025

Svegliandosi una mattina da sogni agitati

Marco Manicardi si trovò trasformato, nel suo letto, in un vecchio quarantaseienne.

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Published on February 07, 2025 02:33

February 5, 2025

London

E nell’introduzione di un libro che si chiama Il tallone di ferro, del 1908, Jack London, all’anagrafe John Griffith Chaney London, dice che:

L’ascesa dell’Oligarchia rimarrà sempre motivo di profonda meraviglia per gli storici e i filosofi. Altri grandi eventi storici hanno il loro posto nell’evoluzione sociale, e furono inevitabili. Si sarebbe potuto prevedere il loro avvento con la stessa sicurezza con cui oggi gli astronomi prevedono l’esito dei movimenti delle stelle. Senza questi altri grandi eventi storici l’evoluzione sociale non sarebbe andata avanti. Il comunismo primitivo, la schiavitù, la servitù della gleba, il lavoro salariato, sono stati passaggi necessari per l’evoluzione della società. Ma era assurdo affermare che il Tallone di ferro fosse a sua volta un passaggio necessario. Oggi viene invece giudicato come un passo indietro, in direzione della dittatura sociale che rese quel mondo primitivo un inferno, ma ciò fu tanto necessario quanto il Tallone di ferro fu inutile.

E poi dice che:

Per quanto oscuro, l’avvento del feudalesimo fu inevitabile. Cos’altro se non il feudalesimo avrebbe potuto seguire il crollo di quella grandiosa macchina di governo centralizzato nota come Impero romano? Non è stato così, naturalmente, con il Tallone di ferro. In un regolare processo di evoluzione sociale non avrebbe trovato una sua collocazione. Non fu necessario, né inevitabile. Resterà per sempre la grande stravaganza della storia: un capriccio, una fantasia, un’apparizione, un evento inaspettato e inimmaginabile; e dovrà servire da monito per quei teorici politici imprudenti che oggi parlano con certezza del progresso sociale.

E anche che:

Una volta fuori dal declino dell’egoismo capitalista, è stato sostenuto, sarebbe sbocciata l’età migliore, la Fratellanza dell’Uomo. Invece, provocando lo stesso sconcerto in noi che guardiamo indietro e in coloro che vissero allora, il disfacimento del capitalismo ha generato un frutto mostruoso, l’Oligarchia.

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Published on February 05, 2025 10:00

January 9, 2025

Scarpe rotte

(Oggi)
Oggi, settantacinque anni fa, alle Fonderie di Modena venivano ammazzati sei operai, e feriti altri duecento, dalla polizia. Mio nonno Corrado mi raccontava che oggi, settantacinque anni fa, l’avevano saputo quasi subito anche a Novi di Modena, quello che era successo, a trenta e passa chilometri di distanza.

(Dopodomani)
Dopodomani, settantacinque anni fa, mio nonno Corrado si metteva in marcia con un gruppetto di novesi: scioperavano, avevano messo su le scarpe nuove e ancor prima che spuntasse il sole si erano incamminati fino a Modena per i funerali. A Fossoli avevano tirato su altri gruppetti come loro, e via andare; a Carpi avevano fatto altrettanto, e via andare; lo stesso a Soliera, a Ganaceto, a Lesignana, a Ponte Alto, sempre dello stesso passo, senza rallentare, mi raccontava mio nonno Corrado, senza rallentare fino alle Fonderie di Modena, via, andare. Sempre dello stesso passo perché trenta e passa chilometri non sono uno scherzo per chi esce dal paese solo per le feste, magari col carretto e le scarpe nuove in spalla per andare a ballare alla Festa de l’Unità di Carpi, che dicevano che fosse la più bella di tutte e poi era così grande.

(Dopo)
Dopo, quando ormai era andato in pensione, ed era andato in pensione anche suo figlio, cioè mio padre, ed era diventato più o meno un uomo anche suo nipote, cioè io, a mio nonno Corrado delle scarpe non gliene fregava più granché. Si ricordava sempre di quella volta che era andato fino a Modena a piedi per lo sciopero generale, per i funerali dei morti nell’eccidio alle Fonderie. Ma quando si deve andare, mi raccontava, c’è poi anche da ritornare, e le scarpe si erano rotte. Ci volevano dei soldi per comprare delle scarpe nuove, una volta. Quelle scarpe nuove che, di solito, servivano una volta l’anno quando dovevi andare alla Festa de l’Unità di Carpi a ballare.

(E dopo ancora)
E dopo ancora, mi era toccato raccontare a mio nonno Corrado che poi le Fonderie erano diventate le Ex-Fonderie: una discoteca. E che io una volta, da ragazzino, anni prima, ci avevo ballato dentro. Gli avevo raccontato di quella volta che ero andato fino a Modena, a trenta e passa chilometri di distanza, in macchina con gli amici per ballare. Secondo me quella sera, anzi quasi sicuramente, almeno così mi ricordo, avevo delle scarpe nuove. Delle scarpe nuove per ballare.

(Oggi)
Oggi, settantacinque anni dopo l’eccidio delle Fonderie, e quindici anni dopo aver scritto questo pezzetto (un po’ diverso) per la prima volta su Barabba, mio nonno, Corrado, non c’è più: è morto all’inizio di gennaio di sette anni fa, aveva novantadue anni. Però lo so che, se ci fosse ancora, oggi mi racconterebbe, come se fosse la prima volta che me lo racconta, di quando era andato a Modena a piedi, tanti anni fa, e delle scarpe nuove che poi si erano rotte, eppur bisognava andare.

Musica:

(E anche questa è una cosa che posto tutti gli anni. Volevo smettere di postare le cose che posto tutti gli anni, in verità. Però come si fa?)

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Published on January 09, 2025 09:49

January 1, 2025

2024 in pictures

Nel 2024 ho usato un po’ meno del solito i socialcosi, e quindi le faccende davvero importanti che sono capitate nell’arco dell’anno, quelle belle o belline e quelle brutte o bruttissime, non ci sono in questo #bestnine sgranatissimo. Non che sia importante.

Ci sono però altre tre foto, di seguito. Nella prima e nella seconda ci sono mia sorella e mio padre che mangiano un kebab: è stato il nostro pranzo del 25 aprile, fuori dall’ospedale di Modena dove mia mamma era ricoverata in terapia intensiva dopo un’operazione a cuore aperto. Quest’anno la Liberazione è andata così.
Nell’ultima c’è mia mamma, un paio di settimane dopo, nella sua stanzetta d’ospedale, il primo giorno che si è potuta alzare in piedi e mettersi al tavolino per provare a mangiare da sola.
La cosa più strana che è successa in quei giorni di preoccupazione a mille e viaggi avanti e indietro per Modena in pausa pranzo è stata avere a che fare coi suoi follower preoccupati, che cercavano di contattare me e mia sorella per sapere come stesse la mamma (mia mamma è una piccola influencer di cuicina, se volete seguirla è anche simpatica: @francescaincucina1; e non so cos’altro aggiungere su questa faccenda).

E poi, niente, per il 2024 è tutto.
Ormai ho un’età che i propositi non li faccio più.
Buon Anno. Speriamo bene.

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Published on January 01, 2025 12:14

December 24, 2024

Come ogni anno

«Marley era morto, tanto per cominciare.»

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Published on December 24, 2024 02:09