Federica D'Ascani's Blog
September 4, 2016
Sono solo un ricordo, un romanzo d'amore. Perché i sentimenti non conoscono genere o sesso
Dal blog di Babette legge per voi, C.K.Harp parla del suo romanzo d'esordio nella narrativa lgbt. Perché lo pseudonimo? Perché proprio ora? Cosa cambia, rispetto ai miei romanzi precedenti?
Ci sono storie che nascono in fretta, in un lampo. C’è l’idea, ci si dorme una notte sopra e tac: al mattino successivo tutto è chiaro, in ordine, predisposto. I personaggi parlano e tu, che sei il loro tramite – si dice – scrivi, narri.
Ma non tutte le storie sono così, non tutti i personaggi sono semplici da decifrare e delineare. Ci sono romanzi che impiegano anni per sedimentarsi, per prendere forma e senso. Ci sono romanzi, addirittura, che richiedono un lavoro interiore, un cambio di rotta, una rivoluzione copernicana.
Questo è ciò che è accaduto a me, proprio questo. E sono diventata C. K. Harp pur di dar vita a questo romanzo e a tanti altri che cercavano una chiave diversa da quella che finora ho utilizzato.
“Sono solo un ricordo” è nato quattro anni fa, nella sala della nuova casa da scapolo di mio nonno. Scapolo per forza, mia nonna era già andata via pochi anni prima, lasciandolo distrutto e desideroso di seguirla a breve. E in preda al Parkinson e alla demenza che galoppava neanche fosse un purosangue.
La storia di Ty e Richard non esisteva, allora, così come non esisteva del tutto la mia passione per la letteratura LGBT, ma c’era l’idea. Perché odiavo il fatto di non riconoscere più quella persona che giocava a carte con me sul tavolo dopo pranzo. Odiavo non ritrovare il suo cipiglio burbero. Mi spiazzava il fatto che mi chiedesse di tenergli la mano prima di dormire, o che fossimo io e mia madre ad accudirlo. O mia zia, o il badante… Mi divertiva quando lo sentivo “sbroccare” all’improvviso, lo ammetto, perché era una cosa talmente surreale che guardavo mia madre e non potevo fare a meno di ridacchiare. Si ride, a volte, quando non si riesce a spiegare la realtà…
Come quella volta in cui si girò e chiese a mia madre: “Te ricordi quanno annavamo a cercà l’oro a Villa Gordiani? C’avevo 5 anni e te me tenevi la mano”.
In quel periodo mi chiedevo spesso quanto fosse presente in lui la malattia, quanto invece la lucidità di sapersi infermo. Pensava al suo grande amore? Ripensava ai giorni in cui aveva incontrato mia nonna alla fontanella e aveva sentito “quer friccico ner core”?
L’idea, ripeto, c’era, ma la capacità di svilupparla, farne qualcosa di diverso da un racconto, no. E intanto riflettevo, vivevo, vedevo le parole sfumare e lo sguardo di mio nonno farsi più vacuo. Era la vita, ma era la prima volta che mi soffermavo a chiedermi come operasse fino in fondo.
Poi di Spartaco e Rosa non è rimasto che il ricordo, la forza, l’amore. Soprattutto l’amore, l’uno per l’altra. Per me è sempre stato impossibile pensare a uno senza considerare l’altra. Così continua a essere ancora adesso.
Volevo testimoniare quel sentimento, quel legame che valicava tempo e spazio, ma ero frustrata perché non trovavo la giusta chiave di lettura per interpretare il bisogno che sentivo dentro.
Sono passati anni, il pensiero è rimasto, ma le necessità di scrittura sono mutate, si sono piegate, hanno seguito linee a volte diverse da quelle che volevo. Insomma, sono andata avanti col tarlo che mi rodeva il cervello.
Poi ho scoperto la letteratura LGBT, le grandi storie d’amore tra uomini e tra donne, e in un colpo solo mi si è aperto un mondo. E la trama.
Ma non ero pronta, non ancora. Avevo bisogno di maturare, non potevo improvvisare. In fondo venivo da realtà completamente diverse, dove l’amore era amore, certo, ma stracolmo di cliché che mi andavano stretti e limitavano. Così ho iniziato a scrivere altro, è nato C.K.Harp, ho dato sfogo alla vena thriller che mi aveva sempre pungolata, ho preso una pausa.
Ho preso una pausa: lunga. Sono giunta sulla soglia della grande distribuzione, c’è una R, ora, sul mio curriculum, che non rinnego e che mi ha aperto porte insospettabili, ma… Ma non è quello che voglio. Ovvero, non come lo voglio.
E proprio da questa consapevolezza è nato “Sono solo un ricordo”, hanno preso forma Ty e Richard, si è sviluppata la loro storia, la loro unione.
Ho narrato l’amore, ma anche la vita, le sue complicanze, i suoi risvolti non sempre piacevoli, perché come cantava Mariella “Così è la vita, che ci sospende, con i suoi fili inconfondibili, il suo cuore palpitante, e il nostro sangue che si rapprende”.
La vita non è solo una fiaba rosa in cui immergersi, per quanto risulti bellissimo – anche per me – perdersi a volte in risvolti privi di drammi e pianti. Nella realtà c’è sempre un “ma”, e trovo che l’amore, quello vero, passi per sfide e colpi da sopportare e superare, e che non conosca colori o generi d’appartenenza, solo strade. Strade parallele che ogni tanto, per volere di qualcosa o qualcuno, si raccordano e uniscono.
Vuoi leggere Sono solo un ricordo? Collegati QUI e acquista la versione in ebook. Tra pochi giorni sarà disponibile anche il formato cartaceo.
Ci sono storie che nascono in fretta, in un lampo. C’è l’idea, ci si dorme una notte sopra e tac: al mattino successivo tutto è chiaro, in ordine, predisposto. I personaggi parlano e tu, che sei il loro tramite – si dice – scrivi, narri.
Ma non tutte le storie sono così, non tutti i personaggi sono semplici da decifrare e delineare. Ci sono romanzi che impiegano anni per sedimentarsi, per prendere forma e senso. Ci sono romanzi, addirittura, che richiedono un lavoro interiore, un cambio di rotta, una rivoluzione copernicana.
Questo è ciò che è accaduto a me, proprio questo. E sono diventata C. K. Harp pur di dar vita a questo romanzo e a tanti altri che cercavano una chiave diversa da quella che finora ho utilizzato.
“Sono solo un ricordo” è nato quattro anni fa, nella sala della nuova casa da scapolo di mio nonno. Scapolo per forza, mia nonna era già andata via pochi anni prima, lasciandolo distrutto e desideroso di seguirla a breve. E in preda al Parkinson e alla demenza che galoppava neanche fosse un purosangue.
La storia di Ty e Richard non esisteva, allora, così come non esisteva del tutto la mia passione per la letteratura LGBT, ma c’era l’idea. Perché odiavo il fatto di non riconoscere più quella persona che giocava a carte con me sul tavolo dopo pranzo. Odiavo non ritrovare il suo cipiglio burbero. Mi spiazzava il fatto che mi chiedesse di tenergli la mano prima di dormire, o che fossimo io e mia madre ad accudirlo. O mia zia, o il badante… Mi divertiva quando lo sentivo “sbroccare” all’improvviso, lo ammetto, perché era una cosa talmente surreale che guardavo mia madre e non potevo fare a meno di ridacchiare. Si ride, a volte, quando non si riesce a spiegare la realtà…
Come quella volta in cui si girò e chiese a mia madre: “Te ricordi quanno annavamo a cercà l’oro a Villa Gordiani? C’avevo 5 anni e te me tenevi la mano”.
In quel periodo mi chiedevo spesso quanto fosse presente in lui la malattia, quanto invece la lucidità di sapersi infermo. Pensava al suo grande amore? Ripensava ai giorni in cui aveva incontrato mia nonna alla fontanella e aveva sentito “quer friccico ner core”?
L’idea, ripeto, c’era, ma la capacità di svilupparla, farne qualcosa di diverso da un racconto, no. E intanto riflettevo, vivevo, vedevo le parole sfumare e lo sguardo di mio nonno farsi più vacuo. Era la vita, ma era la prima volta che mi soffermavo a chiedermi come operasse fino in fondo.
Poi di Spartaco e Rosa non è rimasto che il ricordo, la forza, l’amore. Soprattutto l’amore, l’uno per l’altra. Per me è sempre stato impossibile pensare a uno senza considerare l’altra. Così continua a essere ancora adesso.
Volevo testimoniare quel sentimento, quel legame che valicava tempo e spazio, ma ero frustrata perché non trovavo la giusta chiave di lettura per interpretare il bisogno che sentivo dentro.
Sono passati anni, il pensiero è rimasto, ma le necessità di scrittura sono mutate, si sono piegate, hanno seguito linee a volte diverse da quelle che volevo. Insomma, sono andata avanti col tarlo che mi rodeva il cervello.
Poi ho scoperto la letteratura LGBT, le grandi storie d’amore tra uomini e tra donne, e in un colpo solo mi si è aperto un mondo. E la trama.
Ma non ero pronta, non ancora. Avevo bisogno di maturare, non potevo improvvisare. In fondo venivo da realtà completamente diverse, dove l’amore era amore, certo, ma stracolmo di cliché che mi andavano stretti e limitavano. Così ho iniziato a scrivere altro, è nato C.K.Harp, ho dato sfogo alla vena thriller che mi aveva sempre pungolata, ho preso una pausa.
Ho preso una pausa: lunga. Sono giunta sulla soglia della grande distribuzione, c’è una R, ora, sul mio curriculum, che non rinnego e che mi ha aperto porte insospettabili, ma… Ma non è quello che voglio. Ovvero, non come lo voglio.
E proprio da questa consapevolezza è nato “Sono solo un ricordo”, hanno preso forma Ty e Richard, si è sviluppata la loro storia, la loro unione.
Ho narrato l’amore, ma anche la vita, le sue complicanze, i suoi risvolti non sempre piacevoli, perché come cantava Mariella “Così è la vita, che ci sospende, con i suoi fili inconfondibili, il suo cuore palpitante, e il nostro sangue che si rapprende”.
La vita non è solo una fiaba rosa in cui immergersi, per quanto risulti bellissimo – anche per me – perdersi a volte in risvolti privi di drammi e pianti. Nella realtà c’è sempre un “ma”, e trovo che l’amore, quello vero, passi per sfide e colpi da sopportare e superare, e che non conosca colori o generi d’appartenenza, solo strade. Strade parallele che ogni tanto, per volere di qualcosa o qualcuno, si raccordano e uniscono.
Vuoi leggere Sono solo un ricordo? Collegati QUI e acquista la versione in ebook. Tra pochi giorni sarà disponibile anche il formato cartaceo.
Published on September 04, 2016 12:04
July 3, 2016
L'angelo giustiziere, disegni di Arces, è il settimo fume...
L'angelo giustiziere, disegni di Arces, è il settimo fumetto della D'Ascani ed esce su Lanciostory numero. 2149 del 13 giugno.
Published on July 03, 2016 23:50
May 12, 2016
Sette anni di Facebook
Oggi il caro Zuck mi ricorda che sono esattamente sette anni che abbiamo fatto la reciproca conoscenza, ringraziandomi del mio desiderio espresso nel momento in cui ho voluto far parte della sua comunità. Certo, se il gettone d'entrata fosse stato pari a un quarantesimo di quello che tira su lui ogni anno, grazie a noi, sarei stata più contenta, ma forse devo gioirne ugualmente.
Sette anni fa feci il tentativo di aprirmi al mondo, di fare capolino da una finestra che fino a quel momento era rimasta chiusa. Riuscendoci.
Sette anni iniziai, molto lentamente, a rompere alcune delle catene che mi tenevano nascosta ai più, cominciando a scrivere per davvero, interagendo, ridendo con persone diverse da quelle che ero costretta a frequentare. Le limitazioni erano tante, dal punto di vista mentale, ma il coraggio insospettabile, lo stesso che poi mi ha permesso di attuare la mia rivoluzione, era lì e usciva fuori nel momento opportuno.
Avevo un sorriso spento, di plastica, finto quanto poteva esserla la mia felicità, ma non l'ho mai cancellato del tutto. Volevo esserci, volevo vivere, nonostante tutto. Quando parlo così sembro una "survivor", ma credetemi se vi dico che a volte mi sento proprio così.
Posso dire di essere rinata grazie a questo social? Non lo so, ma è fuor di dubbio il fatto che grazie al suo avvento io sia cambiata, sentendomi finalmente più libera, respirando aria nuova e fresca; essere su internet ha determinato l'inizio di un rapporto che sul serio ha stravolto la mia esistenza, portandomi a essere quella che sono ora.
La realtà è che sette anni fa c'era lui, sempre e solo lui, il mio incubo giornaliero, e destreggiarmi tra il desiderio di evasione e la sudditanza psicologica che piegava ogni mio tentativo, era sfiancante, avvilente. All'epoca, ricordo, c'erano i forum e io già tramite quello di Virgilio avevo dato vita alla Federica social, a quella che viveva una vita parallela e appagante, a quella che scriveva poesie cupe, ma che era pronta a riderci su. Perché quella Federica conosceva l'inferno, ma non lo ammetteva neanche a se stessa, donandosi all'horror perché era la scelta naturale di un animo in continuo tormento.
Ho conosciuto tanta gente, sette anni fa -bon, facciamo anche otto- e alcuni ancora fanno parte della mia vita, con mia grande soddisfazione. Loro sanno, pur non sapendo. Conoscono ciò che ero, pur non rendendosene conto. C'era gente presente al mio delirio, che mi apprezzava per come ero, nonostante tutto.
Se non avessi avuto facebook avrei faticato a riallacciare i rapporti con quello che poi è diventato mio marito, avrei fatto i salti mortali per giungere a una consapevolezza di me stessa come quella che attualmente ho, avrei solo sognato il piccolo Attila che gira per casa e rallegra ogni istante dei miei giorni.
Devo dire grazie a Zuck? Oggi credo proprio di sì.
Internet sa essere una giungla, ma anche un mezzo per avvicinare le masse, per farle sentire a casa, per proteggerle dalle brutture della vita quotidiana. Forse non è "normale", ma di certo è realtà.
Cristallo senza l'era social non sarebbe mai stato concepito; la mia scrittura, forse, sarebbe rimasta acerba e cristallizzata a quel periodo, così come la mia vita.
Sette anni fa c'era lui e solo lui.
Oggi ci sono io, la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro.
Oggi respiro. Oggi sorrido.
Oggi vivo.
PS. Se a Zuck je serve uno spot, io so perfetta!
Cristallo è in vendita su Amazon e su tutti gli stores online
Sette anni fa feci il tentativo di aprirmi al mondo, di fare capolino da una finestra che fino a quel momento era rimasta chiusa. Riuscendoci.
Sette anni iniziai, molto lentamente, a rompere alcune delle catene che mi tenevano nascosta ai più, cominciando a scrivere per davvero, interagendo, ridendo con persone diverse da quelle che ero costretta a frequentare. Le limitazioni erano tante, dal punto di vista mentale, ma il coraggio insospettabile, lo stesso che poi mi ha permesso di attuare la mia rivoluzione, era lì e usciva fuori nel momento opportuno.
Avevo un sorriso spento, di plastica, finto quanto poteva esserla la mia felicità, ma non l'ho mai cancellato del tutto. Volevo esserci, volevo vivere, nonostante tutto. Quando parlo così sembro una "survivor", ma credetemi se vi dico che a volte mi sento proprio così.
Posso dire di essere rinata grazie a questo social? Non lo so, ma è fuor di dubbio il fatto che grazie al suo avvento io sia cambiata, sentendomi finalmente più libera, respirando aria nuova e fresca; essere su internet ha determinato l'inizio di un rapporto che sul serio ha stravolto la mia esistenza, portandomi a essere quella che sono ora.
La realtà è che sette anni fa c'era lui, sempre e solo lui, il mio incubo giornaliero, e destreggiarmi tra il desiderio di evasione e la sudditanza psicologica che piegava ogni mio tentativo, era sfiancante, avvilente. All'epoca, ricordo, c'erano i forum e io già tramite quello di Virgilio avevo dato vita alla Federica social, a quella che viveva una vita parallela e appagante, a quella che scriveva poesie cupe, ma che era pronta a riderci su. Perché quella Federica conosceva l'inferno, ma non lo ammetteva neanche a se stessa, donandosi all'horror perché era la scelta naturale di un animo in continuo tormento.
Ho conosciuto tanta gente, sette anni fa -bon, facciamo anche otto- e alcuni ancora fanno parte della mia vita, con mia grande soddisfazione. Loro sanno, pur non sapendo. Conoscono ciò che ero, pur non rendendosene conto. C'era gente presente al mio delirio, che mi apprezzava per come ero, nonostante tutto.
Se non avessi avuto facebook avrei faticato a riallacciare i rapporti con quello che poi è diventato mio marito, avrei fatto i salti mortali per giungere a una consapevolezza di me stessa come quella che attualmente ho, avrei solo sognato il piccolo Attila che gira per casa e rallegra ogni istante dei miei giorni.
Devo dire grazie a Zuck? Oggi credo proprio di sì.
Internet sa essere una giungla, ma anche un mezzo per avvicinare le masse, per farle sentire a casa, per proteggerle dalle brutture della vita quotidiana. Forse non è "normale", ma di certo è realtà.
Cristallo senza l'era social non sarebbe mai stato concepito; la mia scrittura, forse, sarebbe rimasta acerba e cristallizzata a quel periodo, così come la mia vita.
Sette anni fa c'era lui e solo lui.
Oggi ci sono io, la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro.
Oggi respiro. Oggi sorrido.
Oggi vivo.
PS. Se a Zuck je serve uno spot, io so perfetta!
Cristallo è in vendita su Amazon e su tutti gli stores online
Published on May 12, 2016 05:57
May 3, 2016
Cristallo: come tutto ha avuto inizio
Il 1 maggio è uscita la seconda edizione di Cristallo, romanzo con il quale sono rientrata, tre anni fa, di nuovo in pista con la scrittura. Certo, lo avevo fatto in febbraio con l'Inferno di Rebecca, molto simile per tematiche, in realtà, ma era Cristallo il testo che davvero mi rendeva libera.
Rimettersi in gioco dopo sei anni non era facile, soprattutto al pensiero di aver mollato quando avevo tutte le carte in regola per arrivare molto prima a un traguardo voluto. Ma sentivo di doverlo fare, di volerlo fare. Perché avevo mollato? Ne parlo spesso, ma non spiego mai.
Lasciai tutto, nel 2009, e fu per vivere il calvario descritto in Cristallo. Non tutto, certo, ma una buona parte. Tra il 2013 e il 2014 ho scritto la prima versione Cristallo, oggi esco con la seconda edizione. Più matura, più realistica, ben più forte. Prima non ero pronta, adesso sì.
Scrivere per me era davvero un sogno, come per tutte le ragazzine che coltivano il desiderio di raccontare storie, e il giorno in cui mio padre entrò in ufficio con la copia del mio primo libro, Dacon, facendomi una sorpresa inattesa, ricordo che mi illuminai. Per poco, sì, ma lo feci. Perché avevo visto l'amore e la fierezza negli occhi di chi davvero mi voleva bene. Capirlo era praticamente impossibile, ma percepirlo invece sì. La realtà era che il mio cuore, la mia testa, cercavano altro: altre conferme, altrui festeggiamenti. Una stima rincorsa nel tempo, un'accettazione di quella che ero per come ero.
Che non arrivarono.
Mai.
Chi scrive sa quanto sia importante il sostegno della propria famiglia. Se non altro, del partner, quando si ha (e quando non si ha, in alcuni casi, è molto meglio, credetemi). Se quello che si riceve, specialmente durante i primi passi nella scrittura, è disprezzo e invidia, per quanto la passione sia forte, si tenderà a mollare tutto, a tralasciare le proprie inclinazioni, a credere di non valere nulla, di non fare, in fondo, chissà cosa.
Ora so, a distanza di anni, che la ritrosia di chi mi era accanto, che sperimentai sulla mia pelle, fu soltanto la proiezione di un'invidia cocente, della sensazione di inferiorità che ha portato poi a tutto ciò che ho vissuto... Inferiorità non mia, ma di chi mi faceva sentire tale. Allora, però, non lo sapevo, non lo capivo, non volevo accettarlo. Nella prima versione di Cristallo si parla di "una nota stonata in fondo a quella melodia che sembrava amore" ed è proprio così che andavano le cose. Sapevo, ma non volevo vedere, ascoltare, sentire, accettare.
Quando uscii con Astri di paura la situazione era già peggiorata ed erano trascorsi solo pochi mesi dalla pubblicazione di Dacon. Avevo perso ogni slancio, ogni desiderio, e seppur riscontrassi i miglioramenti, le critiche positive, una popolarità insperata, la vita mi portava altrove.
Lui mi portava altrove. E Cristallo cominciava a scrivere le proprie pagine, in maniera autonoma, come uno spettro che segue ogni tuo passo, in silenzio, delineando per te una strada impervia.
I sei anni che seguirono furono l'incubo, il baratro, l'inferno. Non me ne vergogno più, ora, ma non lo avrei mai ammesso prima. Non me ne vergogno perché non voglio vergognarmene, non perché ci sia l'istinto reale, in me, di rivalsa o accettazione. Ci faccio i conti ogni giorno, ormai il cristallo infranto dei miei 20 anni è parte di me, si ricompone pezzo pezzo andando avanti.
Ma c'è un pensiero che mi pungola e che non mi lascia in pace, ed è lo stesso che mi ha spinta a scrivere il romanzo che racconta una storia uguale a tante altre, inascoltata perché inutile per molti.
Vedere i miei genitori arrabattarsi per trovare una soluzione ai miei cambiamenti, all'epoca, mi logorava, mi deprimeva, mi faceva infuriare. Non è facile per chi vive l'inferno, non è facile per chi ne è spettatore inerme.
Questo pensiero non mi abbandona, nonostante siano trascorsi anni, perché vedo che la storia si ripete di continuo, in case estranee, in famiglie lontane chilometri, in quella del vicino...
Eppure io ho vissuto tutto questo: ho una responsabilità, no?
Come posso far capire, io, cosa significhi annullarsi e aspettarsi, nel contempo, il salvataggio? Come posso spiegare cosa sia l'essere in balia di una persona e desiderare ancor più violenza, amore, disprezzo, tregua... pace?
L'unico mezzo che ho trovato per fare tutto questo è stato scrivere parte della mia storia,mescolarla ad altre, mantenendo il file rouge dei miei pensieri, delle mie sensazioni. Perché ora non sono più una ragazzina, adesso sono una donna, sposata, con un bambino. Sono madre. Ho un bagaglio di esperienze, sulle spalle, tale da consentirmi un coming out responsabile.
Eppure sono sempre Federica, la ragazzina di 20 anni che, nel suo monolocale, davanti al computer, cercava una maniera per tirare fuori i propri mostri senza riuscirci. Perché i mostri erano quelli della sua anima, non quelli fittizi di una pagina di fumetto.
E ci sarebbe tanto altro da dire... Ma Cristallo è lì che vi aspetta ed è un buon punto di inizio per cominciare un serio dialogo, se volete. Se vorrete.
Clicca qui per acquistare Cristallo
Clicca qui per leggere la presentazione del romanzo tra le pagine di Babette
Rimettersi in gioco dopo sei anni non era facile, soprattutto al pensiero di aver mollato quando avevo tutte le carte in regola per arrivare molto prima a un traguardo voluto. Ma sentivo di doverlo fare, di volerlo fare. Perché avevo mollato? Ne parlo spesso, ma non spiego mai.
Lasciai tutto, nel 2009, e fu per vivere il calvario descritto in Cristallo. Non tutto, certo, ma una buona parte. Tra il 2013 e il 2014 ho scritto la prima versione Cristallo, oggi esco con la seconda edizione. Più matura, più realistica, ben più forte. Prima non ero pronta, adesso sì.
Scrivere per me era davvero un sogno, come per tutte le ragazzine che coltivano il desiderio di raccontare storie, e il giorno in cui mio padre entrò in ufficio con la copia del mio primo libro, Dacon, facendomi una sorpresa inattesa, ricordo che mi illuminai. Per poco, sì, ma lo feci. Perché avevo visto l'amore e la fierezza negli occhi di chi davvero mi voleva bene. Capirlo era praticamente impossibile, ma percepirlo invece sì. La realtà era che il mio cuore, la mia testa, cercavano altro: altre conferme, altrui festeggiamenti. Una stima rincorsa nel tempo, un'accettazione di quella che ero per come ero.
Che non arrivarono.
Mai.
Chi scrive sa quanto sia importante il sostegno della propria famiglia. Se non altro, del partner, quando si ha (e quando non si ha, in alcuni casi, è molto meglio, credetemi). Se quello che si riceve, specialmente durante i primi passi nella scrittura, è disprezzo e invidia, per quanto la passione sia forte, si tenderà a mollare tutto, a tralasciare le proprie inclinazioni, a credere di non valere nulla, di non fare, in fondo, chissà cosa.
Ora so, a distanza di anni, che la ritrosia di chi mi era accanto, che sperimentai sulla mia pelle, fu soltanto la proiezione di un'invidia cocente, della sensazione di inferiorità che ha portato poi a tutto ciò che ho vissuto... Inferiorità non mia, ma di chi mi faceva sentire tale. Allora, però, non lo sapevo, non lo capivo, non volevo accettarlo. Nella prima versione di Cristallo si parla di "una nota stonata in fondo a quella melodia che sembrava amore" ed è proprio così che andavano le cose. Sapevo, ma non volevo vedere, ascoltare, sentire, accettare.
Quando uscii con Astri di paura la situazione era già peggiorata ed erano trascorsi solo pochi mesi dalla pubblicazione di Dacon. Avevo perso ogni slancio, ogni desiderio, e seppur riscontrassi i miglioramenti, le critiche positive, una popolarità insperata, la vita mi portava altrove.
Lui mi portava altrove. E Cristallo cominciava a scrivere le proprie pagine, in maniera autonoma, come uno spettro che segue ogni tuo passo, in silenzio, delineando per te una strada impervia.
I sei anni che seguirono furono l'incubo, il baratro, l'inferno. Non me ne vergogno più, ora, ma non lo avrei mai ammesso prima. Non me ne vergogno perché non voglio vergognarmene, non perché ci sia l'istinto reale, in me, di rivalsa o accettazione. Ci faccio i conti ogni giorno, ormai il cristallo infranto dei miei 20 anni è parte di me, si ricompone pezzo pezzo andando avanti.
Ma c'è un pensiero che mi pungola e che non mi lascia in pace, ed è lo stesso che mi ha spinta a scrivere il romanzo che racconta una storia uguale a tante altre, inascoltata perché inutile per molti.
Vedere i miei genitori arrabattarsi per trovare una soluzione ai miei cambiamenti, all'epoca, mi logorava, mi deprimeva, mi faceva infuriare. Non è facile per chi vive l'inferno, non è facile per chi ne è spettatore inerme.
Questo pensiero non mi abbandona, nonostante siano trascorsi anni, perché vedo che la storia si ripete di continuo, in case estranee, in famiglie lontane chilometri, in quella del vicino...
Eppure io ho vissuto tutto questo: ho una responsabilità, no?
Come posso far capire, io, cosa significhi annullarsi e aspettarsi, nel contempo, il salvataggio? Come posso spiegare cosa sia l'essere in balia di una persona e desiderare ancor più violenza, amore, disprezzo, tregua... pace?
L'unico mezzo che ho trovato per fare tutto questo è stato scrivere parte della mia storia,mescolarla ad altre, mantenendo il file rouge dei miei pensieri, delle mie sensazioni. Perché ora non sono più una ragazzina, adesso sono una donna, sposata, con un bambino. Sono madre. Ho un bagaglio di esperienze, sulle spalle, tale da consentirmi un coming out responsabile.
Eppure sono sempre Federica, la ragazzina di 20 anni che, nel suo monolocale, davanti al computer, cercava una maniera per tirare fuori i propri mostri senza riuscirci. Perché i mostri erano quelli della sua anima, non quelli fittizi di una pagina di fumetto.
E ci sarebbe tanto altro da dire... Ma Cristallo è lì che vi aspetta ed è un buon punto di inizio per cominciare un serio dialogo, se volete. Se vorrete.
Clicca qui per acquistare Cristallo
Clicca qui per leggere la presentazione del romanzo tra le pagine di Babette
Published on May 03, 2016 09:22
April 26, 2016
La strega Vampiro
Published on April 26, 2016 08:05
Chicago Zombie Army.- PT 2
Esce con Lanciostory numero 2140 la seconda parte di Chicago Zombie Army.
Testi D'Ascani- Disegni Arces
Testi D'Ascani- Disegni Arces
Published on April 26, 2016 08:02
April 8, 2016
Volevo essere Sailor Moon!
Dite che la D'Ascani si è impazzita? Delirio da troppi fumetti? Forse...
Il fatto è che sono pronta per presentarvi il mio piccolo ultimo nato di casa Rizzoli.
Per la collana only digital You Feel esce il 14 Aprile (ma è già in pre order su amazon)
You Feel - Mood ironicoVolevo essere Sailor Moon, romanzo d'amore mood ironico. Non poteva essere altrimenti, d'altronde...
Dunque, di seguito vi lascio la sinossi e la copertina megagalattica! Sarà che io me ne sono innamorata subito... Aspetto le vostre prime impressioni e... anche i commenti post lettura, obviously!
Perché a volte per trovare il principe azzurro servono i poteri magici!
Bea sarebbe una ragazza solare. Ma lavora per i quattro malvagi delle tenebre, è fidanzata da anni con Emiliano, ha una vita grigia e piatta quanto può esserlo un pollo ai ferri, e la sua amica Daniela non perde occasione di rimarcarlo. Però a Bea basta parlare al telefono con Simone, il nuovo collega della sede di Rimini, perché il suo cuore batta impazzito. Il Tuxedo Mask romagnolo, con la voce roca e il temperamento esplosivo, sembra uscito direttamente da un sogno, e quando finalmente Bea lo incontra dal vivo è magia. Non importa che gli occhi di Simone non siano azzurri come quelli del bel Cavaliere della Luna… Bea ne subisce il fascino come fosse Sailor Moon: tredicenne, imbranata, innamorata. Ma la vita reale è lì che incalza, con le figuracce sul lavoro, il fidanzato sbiadito, la canasta a Natale, e un’amica che nasconde qualcosa di grosso… eppure forse è proprio in un momento così che bisogna trovare il coraggio di fidarsi di un cavaliere misterioso. E liberare la guerriera impacciata ma grintosa che si nasconde dietro alla maschera dell’impiegata seria e posata.
Dall'autrice di “L’istinto di una donna” e “Splendido come il sole di Tulum”, una commedia brillante e audace, magica e appassionata, e sorprendentemente divertente. Com’è l’amore quando è quello vero.
"D’un tratto sentì una macchina inchiodare e fare retromarcia in maniera folle. Si voltò e per poco quella non la investì. Saltò quasi oltre il guardrail e strabuzzò gli occhi. Se nella macchina c’era qualcuno intenzionato ad aiutarla, non stava facendo un ottimo lavoro. Deglutì, improvvisamente spaventata. E se si fosse trattato di un serial killer? Si portò una mano alla bocca, il cuore a tremila.
«Ma sei normale? Dov’è che vai in mezzo alla strada? Hai deciso che vuoi morire proprio oggi?» la apostrofò una voce fin troppo familiare. Il cuore le fece una capriola in petto, ma ignorò quel salto da acrobata e si inviperì. «E tu hai deciso di finire il lavoro che non ho portato ancora a termine? Cos’è, volevi mettermi sotto, per caso?» gli urlò contro, rossa in volto. «Mi è scappato il volante» tentennò Simone. «Ti ho vista all’ultimo momento e ho inchiodato. In ogni caso, che stai facendo?» tornò a chiederle riacquistando il suo cipiglio battagliero. Bea dovette ammettere che non lo ricordava così bello. Lo vide accostare, scendere dall’auto e fare il giro per andarle incontro. Era vestito tutto di scuro, fatta eccezione per una sciarpa, che sembrava meravigliosamente calda e morbida, grigio chiaro. Un modello, se non fosse stato per l’altezza non proprio statuaria."
Il fatto è che sono pronta per presentarvi il mio piccolo ultimo nato di casa Rizzoli.
Per la collana only digital You Feel esce il 14 Aprile (ma è già in pre order su amazon)
You Feel - Mood ironicoVolevo essere Sailor Moon, romanzo d'amore mood ironico. Non poteva essere altrimenti, d'altronde...Dunque, di seguito vi lascio la sinossi e la copertina megagalattica! Sarà che io me ne sono innamorata subito... Aspetto le vostre prime impressioni e... anche i commenti post lettura, obviously!
Perché a volte per trovare il principe azzurro servono i poteri magici!
Bea sarebbe una ragazza solare. Ma lavora per i quattro malvagi delle tenebre, è fidanzata da anni con Emiliano, ha una vita grigia e piatta quanto può esserlo un pollo ai ferri, e la sua amica Daniela non perde occasione di rimarcarlo. Però a Bea basta parlare al telefono con Simone, il nuovo collega della sede di Rimini, perché il suo cuore batta impazzito. Il Tuxedo Mask romagnolo, con la voce roca e il temperamento esplosivo, sembra uscito direttamente da un sogno, e quando finalmente Bea lo incontra dal vivo è magia. Non importa che gli occhi di Simone non siano azzurri come quelli del bel Cavaliere della Luna… Bea ne subisce il fascino come fosse Sailor Moon: tredicenne, imbranata, innamorata. Ma la vita reale è lì che incalza, con le figuracce sul lavoro, il fidanzato sbiadito, la canasta a Natale, e un’amica che nasconde qualcosa di grosso… eppure forse è proprio in un momento così che bisogna trovare il coraggio di fidarsi di un cavaliere misterioso. E liberare la guerriera impacciata ma grintosa che si nasconde dietro alla maschera dell’impiegata seria e posata.
Dall'autrice di “L’istinto di una donna” e “Splendido come il sole di Tulum”, una commedia brillante e audace, magica e appassionata, e sorprendentemente divertente. Com’è l’amore quando è quello vero.
"D’un tratto sentì una macchina inchiodare e fare retromarcia in maniera folle. Si voltò e per poco quella non la investì. Saltò quasi oltre il guardrail e strabuzzò gli occhi. Se nella macchina c’era qualcuno intenzionato ad aiutarla, non stava facendo un ottimo lavoro. Deglutì, improvvisamente spaventata. E se si fosse trattato di un serial killer? Si portò una mano alla bocca, il cuore a tremila.
«Ma sei normale? Dov’è che vai in mezzo alla strada? Hai deciso che vuoi morire proprio oggi?» la apostrofò una voce fin troppo familiare. Il cuore le fece una capriola in petto, ma ignorò quel salto da acrobata e si inviperì. «E tu hai deciso di finire il lavoro che non ho portato ancora a termine? Cos’è, volevi mettermi sotto, per caso?» gli urlò contro, rossa in volto. «Mi è scappato il volante» tentennò Simone. «Ti ho vista all’ultimo momento e ho inchiodato. In ogni caso, che stai facendo?» tornò a chiederle riacquistando il suo cipiglio battagliero. Bea dovette ammettere che non lo ricordava così bello. Lo vide accostare, scendere dall’auto e fare il giro per andarle incontro. Era vestito tutto di scuro, fatta eccezione per una sciarpa, che sembrava meravigliosamente calda e morbida, grigio chiaro. Un modello, se non fosse stato per l’altezza non proprio statuaria."
Published on April 08, 2016 10:30
April 4, 2016
Chicago Zombie Army
Ed è con il numero 2139 di Lanciostory che vede la luce il primo episodio di Chicago Zombie Army, fumetto a due puntate. Disegni di Vincenzo Arces - Testi della D'Ascani
Published on April 04, 2016 03:58
Il contratto di Belial
Uscito con Skorpio 2038 Il contratto di Belial - Disegni di Andrea Modugno - Testi della D'Ascani ;)
Published on April 04, 2016 03:51
February 5, 2016
Sexy Bomb all'Oberjack
Al buio dell’abitacolo, le luci dei fari che intervallavano l’oscurità, si portò una nocca alle labbra, osservando la strada sdrucciolevole fuori dal finestrino. Il tassista era stato clemente, scegliendo di non sostenere alcuna conversazione priva di senso. Non era un gran chiacchierone, almeno finché non entrava in pista. Ma lì erano solo i corpi a doversi esprimere, non certo le menti. Che di brillanti non sempre se ne trovavano, oltretutto. La pioggia cadeva fitta, quella sera, ma a lui non importava sul serio, non quanto aveva dato a intendere a Jack prima di uscire. Billy, che adorava il vicino, non aveva fatto altro che guaire guardandolo passeggiare oltre la siepe e l’attenzione del vecchio non era stata così difficile da catturare. Quell’ammasso di pulci adorava lo strambo soldato claudicante che abitava poco distante da loro e Dre proprio non capiva come mai e quando, soprattutto, fosse nato l’amore viscerale che li legava. Si mordicchiò la pelle morbida del dito, ascoltando distrattamente una canzone jazz in filodiffusione tramite le casse posteriori. Cristo, odiava il jazz! A dire il vero odiava anche i taxi, ma non aveva potuto fare a meno di chiamarne uno, quando aveva appurato che l’acquazzone non sarebbe cessato a breve. Vestito di nero, dai pantaloni regular fit alla maglia in cotone stretch, aveva tagliato i capelli ancora più corti di come li portava di solito, complice il caldo asfissiante che aveva iniziato ad alitargli sul collo con troppa energia; rovinare la sua mise per un po’ d’acqua gli avrebbe mandato il sangue al cervello, invece del punto in cui ne aveva bisogno per divertirsi. Era sabato sera e non poteva permettersi di perdere un fine settimana per via della pioggia. Seppure quel clima gli stesse comodo come un paio di pantofole in pieno inverno. Eppure non era sempre stato così, c’era stato un tempo in cui aveva adorato la neve, odiando l'acqua dal cielo, ma ormai…«Arrivati a destinazione. Sono trenta dollari» proruppe l’autista distraendolo. Cristo, trenta bigliettoni per quindici minuti in macchina era un furto! Con il treno avrebbe speso meno della metà…«Tenga» e scordati il fottuto resto, col cazzo che te lo lascio. Quello sarebbe stato il sottotitolo, se la voce di sua madre non fosse intervenuta prontamente a mettere un freno a quella testa calda che si ritrovava sulle spalle. «Calma, Dre, non fare il solito cazzone intransigente e burbero…» Trenta dollari… Da non crederci! Dre scese dall’auto scuotendo la testa, contento soltanto di sbattere la portiera in faccia a quella musica di merda che ancora gli fischiava nelle orecchie. Si leccò i denti, alzando lo sguardo, mentre la pioggia riprendeva a chiamarlo, sollecita, ricordandogli il perché di quei fottutissimi dollari ormai al semaforo assieme al loro nuovo proprietario.«Cazzo» sbraitò correndo verso l’entrata dell’Oberjack. Appena giunto sulla soglia, lanciò un’occhiata a Phil che lo lasciò passare senza neanche prestargli attenzione, troppo preso a limitare la folla accalcata contro il suo stomaco prominente. Erano finiti i tempi in cui era stato costretto alla stessa trafila, durata in ogni caso meno di quanto avrebbe scandito i sabato sera dei nuovi frocetti in trasferta dal Quince. Le vacanze al caldo col culo ancora gelido dell’inverno americano… Sorrise, suo malgrado, ripensando al freddo nelle vene che si era portato in valigia quando con Rachel era emigrato a Melbourne, poi si guardò intorno ben deciso a non incupirsi.
Le luci psichedeliche avevano già iniziato a roteare sul soffitto, mentre la musica prendeva il sopravvento addirittura sui pensieri. Meglio, non avrebbe dovuto riflettere. Era tardi, sicuramente, e il traffico che avevano incontrato sulla strada non aveva giovato a rendere il viaggio più veloce. Trenta dollari… Inspirò l’aria satura di testosterone e allargò i polmoni mentre con la lingua si leccava le labbra per nulla secche, ma pronte. Pronte e frementi. Il sabato sera era per lui una liberazione: il completo stordimento dopo una settimana di finzione. Si inoltrò nella pista, insinuandosi tra i corpi in movimento, dondolando sulle gambe, a tempo con i bassi, strizzando le chiappe di questo o quello. Prese lentamente confidenza con le onde sonore, facendosi aderire addosso la voce del vocalist, gli odori acri, il divertimento e la promiscuità che era parte di lui. Lui era quel dannato posto e quel dannato posto era il suo specchio. Sam Sparro prese a martellare nelle case, strisciando sotto pelle con quel tono maschio capace di indurirgli le palle e confondergli i pensieri. E chiuse gli occhi, alzando le braccia e trascinandosi in una danza fatta di corpi e dita. D’un tratto avvertì una lingua tra le labbra e, senza vedere neanche di chi fosse, tirò fuori la sua in un gioco di crescente eccitazione. Poi una mano, calda, vigorosa, gli strinse l’uccello con così tanta forza che aprire gli occhi fu istintivo e automatico. La lingua ancora intenta a stoccare promesse di sesso, osservò gli occhi aperti di quell’energumeno in camicia bianca, e l’uccello gli si fece ancora più duro, marmo nei pantaloni ormai troppo stretti. Capelli corti e neri, occhi chiari, di colore indefinito, collo taurino e fisico possente... Fattibile. Il crescendo della musica assecondò quella che in breve divenne una sega al di sopra della stoffa, finché Dre, incontenibile, ringhiò mordendo le labbra dello sconosciuto, afferrandogli il culo con una mano e spingendosi quello che sperava essere un cazzo enorme contro il bacino. Prese a ondeggiare, strofinandosi contro la coscia dello sconosciuto che non faceva altro che infilargli la lingua nel timpano, scendendo sul collo, succhiandogli avido il pomo d’adamo e risalendo lungo il mento.
«Te lo succhio» gli disse a un tratto nell’orecchio, la canzone alle ultime battute su un cazzo ormai gonfio. Senza dire una parola, Dre lo prese per mano e, sgomitando per aprirsi un varco in quell’intrico di corpi e lingue, si incamminò verso i bagni. Non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di esservi entrato perché, l’uccello già fuori dalle mutande, la lingua dell’uomo gli si avviluppò intorno alla cappella restituendogli una scarica di adrenalina che si irradiò per tutto il corpo, persino nelle dita. Prendere per i capelli quel tipo facendolo affondare tra i suoi peli, spingendogli in gola la sua erezione fino a sentirlo mugolare d’approvazione, fu il minimo che riuscì a fare prima di venirgli in bocca con un rantolo sommesso. Ansimante, la musica della pista talmente potente da battere contro la porta chiusa, Dre guardò il soffitto, sorridendo. Era solo l’inizio ed era cominciato col botto.
Le luci psichedeliche avevano già iniziato a roteare sul soffitto, mentre la musica prendeva il sopravvento addirittura sui pensieri. Meglio, non avrebbe dovuto riflettere. Era tardi, sicuramente, e il traffico che avevano incontrato sulla strada non aveva giovato a rendere il viaggio più veloce. Trenta dollari… Inspirò l’aria satura di testosterone e allargò i polmoni mentre con la lingua si leccava le labbra per nulla secche, ma pronte. Pronte e frementi. Il sabato sera era per lui una liberazione: il completo stordimento dopo una settimana di finzione. Si inoltrò nella pista, insinuandosi tra i corpi in movimento, dondolando sulle gambe, a tempo con i bassi, strizzando le chiappe di questo o quello. Prese lentamente confidenza con le onde sonore, facendosi aderire addosso la voce del vocalist, gli odori acri, il divertimento e la promiscuità che era parte di lui. Lui era quel dannato posto e quel dannato posto era il suo specchio. Sam Sparro prese a martellare nelle case, strisciando sotto pelle con quel tono maschio capace di indurirgli le palle e confondergli i pensieri. E chiuse gli occhi, alzando le braccia e trascinandosi in una danza fatta di corpi e dita. D’un tratto avvertì una lingua tra le labbra e, senza vedere neanche di chi fosse, tirò fuori la sua in un gioco di crescente eccitazione. Poi una mano, calda, vigorosa, gli strinse l’uccello con così tanta forza che aprire gli occhi fu istintivo e automatico. La lingua ancora intenta a stoccare promesse di sesso, osservò gli occhi aperti di quell’energumeno in camicia bianca, e l’uccello gli si fece ancora più duro, marmo nei pantaloni ormai troppo stretti. Capelli corti e neri, occhi chiari, di colore indefinito, collo taurino e fisico possente... Fattibile. Il crescendo della musica assecondò quella che in breve divenne una sega al di sopra della stoffa, finché Dre, incontenibile, ringhiò mordendo le labbra dello sconosciuto, afferrandogli il culo con una mano e spingendosi quello che sperava essere un cazzo enorme contro il bacino. Prese a ondeggiare, strofinandosi contro la coscia dello sconosciuto che non faceva altro che infilargli la lingua nel timpano, scendendo sul collo, succhiandogli avido il pomo d’adamo e risalendo lungo il mento.
«Te lo succhio» gli disse a un tratto nell’orecchio, la canzone alle ultime battute su un cazzo ormai gonfio. Senza dire una parola, Dre lo prese per mano e, sgomitando per aprirsi un varco in quell’intrico di corpi e lingue, si incamminò verso i bagni. Non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di esservi entrato perché, l’uccello già fuori dalle mutande, la lingua dell’uomo gli si avviluppò intorno alla cappella restituendogli una scarica di adrenalina che si irradiò per tutto il corpo, persino nelle dita. Prendere per i capelli quel tipo facendolo affondare tra i suoi peli, spingendogli in gola la sua erezione fino a sentirlo mugolare d’approvazione, fu il minimo che riuscì a fare prima di venirgli in bocca con un rantolo sommesso. Ansimante, la musica della pista talmente potente da battere contro la porta chiusa, Dre guardò il soffitto, sorridendo. Era solo l’inizio ed era cominciato col botto.
Published on February 05, 2016 00:49


