Adele Vieri Castellano's Blog

August 16, 2019

Care lettrici vi invito a visitare il mio nuovo sito...



Care lettrici 
vi invito a visitare il mio nuovo sito al seguente link:

https://www.adeleviericastellano.com/
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Published on August 16, 2019 06:23

August 8, 2016

La Musica del Cuore, la novella dell'estate 2016!

HO DECISO DI FARE UN REGALO A TUTTE VOI, CARISSIME LETTRICI, PUBBLICANDO IN EBOOK LA NOVELLA "LA MUSUCA DEL CUORE", DISPONIBILE IN TUTTI GLI STORE DALL'8 AGOSTO. IL BREVE RACCONTO DA CUI È TRATTA ERA APPARSO QUALCHE ANNO FA IN UNA RACCOLTA CON IL MIO PSEUDONIMO GIULIA D’ALESSANDRO. IL RACCONTO SI È TRASFORMATO IN UNA ROMANTICA STORIA D’AMORE DA LEGGERE SOTTO L’OMBRELLONE. NON PERDETELA!



Titolo: La Musica del CuoreAutore: Adele Vieri CastellanoCasa editrice: AVC Historiae - self-publishingGenere: contemporaneoPagine ebook: 104 -  Pagine versione cartacea: 110Prezzo: ebook euro 2,49Prezzo: ed. Cartacea euro 5,99Formato: ebook & cartaceoData di uscita: 8 agosto 2016Ambientazione: USA, San Francisco Livello di sensualità: medio-alto

TRAMA: Katherine Arcangeli arriva a San Francisco col cuore spezzato ma ha il suo pianoforte, una sorella fantastica e la musica. È quest’ultima che le ha sempre dato la forza di andare avanti e affrontare con determinazione la vita e il futuro. Non sa se potrà amare ancora, ma lo spettacolo come sempre deve andare avanti. In quella meravigliosa città di vento e mare, di strade in salita e grattacieli che sfiorano l’azzurro, qualcosa accadrà, qualcuno entrerà nella sua vita proprio grazie a un pianoforte e a una Jaguar sfasciata. È questo il più stupefacente dei miracoli: che la speranza, l’amore, la rinascita, bussano sempre alla porta quando meno te lo aspetti…  *** Questa volta sono stupita persino io: La Musica del Cuore è una novella “inaspettata”, ovvero è stata una sorpresa anche per me. Milano, 16 luglio, per fortuna una giornata non troppo afosa. Ho appuntamento in centro per lo shopping dei saldi con un gruppo di amiche e affezionate lettrici che arrivano dall’Emilia Romagna e da Milano e dintorni.  Vetrine, a noi e tra una prova di abiti e scarpe (bellissime), arriviamo finalmente all'ora di pranzo. A quel punto le chiacchiere sono inarrestabili e, a un certo punto, faccio una domanda su uno dei miei libri ancora inediti. Si discute se debba uscire prima o dopo il seguito della serie Roma Caput Mundi (lo so, siete in attesa trepidante di Roma 50 d.C: Il Leone di Roma, il cui manoscritto è al momento in lettura in casa editrice…).  I pareri sono unanimi: sì, vogliamo un romance estivo! Ma… ma ecco che ci raggiunge in pizzeria una carissima amica e autrice molto apprezzata (non vi dico altro altrimenti scoprite chi è...) che argomenta il suo consiglio di pubblicare solo una novella con la razionalità e la saggezza che la contraddistinguono. Quindi? Quindi un regalo alle “lettrici del 16 luglio” lo dovevo comunque fare, tanto per non lasciarle con “il boccone amaro” del romanzo non pubblicato. La novella era la soluzione giusta, così sotto l’ombrellone potrete leggere una storia romantica, anche se breve.Spero sia per tutte voi un regalo gradito, per coloro che sono già in vacanza o partiranno in settembre (o sono già partite…). Un bacio alle “lettrici del 16 luglio” (è colpa loro, sappiatelo!), un grande abbraccio a #coleichenonsipuònominare perché è una cara amica che deve scrivere, scrivere... Buone vacanze a tutte!

Leggi un estratto della novella: Lui la stava osservando.«Lo so, sono uno sregolato. Per questo avrei bisogno di consulenza. Che ne dici se stasera ceniamo assieme e mi fai una lezione di cucina?»L’intenzione di tenerlo lontano vacillò, come un castello di carte in mezzo a due finestre spalancate.«Ottima proposta, dottore, ma stasera non posso.»Tentò di filarsela ma le rotelle dei carrelli, inspiegabilmente, si erano incastrate.«Peccato» fece lui senza aiutarla, appoggiandosi con gli avambracci al tubo di plastica che serviva a spingerli. «Per un attimo ho sperato in una risposta del tipo: “da te o da me?”»Thomas Victor Bherra colse la sua occhiata e sorrise, lei desiderò non l'avesse mai fatto. Avrebbe preferito non averlo lì davanti, non sotto quel neon che colpiva gli scaffali per mettere in risalto i prodotti e le permetteva di vedere quanto erano folte le sue ciglia e singolari le striature verdi dei suoi occhi. Che d'un tratto si fecero freddi, professionali. Allungò una mano e col pollice le sfiorò lo zigomo.«Hai un livido.»Lei rimase immobile e trattenne il respiro.«Non è niente, stavo mettendo i libri sugli scaffali, mi sono girata e ho preso uno spigolo di striscio.»«Qualche altro danno?»Katherine strinse le labbra. «No, per fortuna, solo muscoli indolenziti e un’altra botta sul ginocchio.»Lui stava per sorridere di nuovo. Oh no, no! Un altro sorriso l'avrebbe costretta a invitarlo a cena, al diavolo ogni scusa, al diavolo la prudenza, al diavolo Jeff. «Allora stasera niente cena, devi rilassarti» disse lui, comportandosi come se lei non avesse rifiutato. «L’ideale sarebbe un bel bagno di vapore.»«Vapore? Vuoi dire che sono stata con il ginocchio sotto l’acqua gelida per due ore per niente?»Thomas - se lo chiamava per nome solo nella sua testa non voleva dire niente, no? - cominciò a ridere e lei desiderò con tutta se stessa che non lo avesse mai fatto. Aveva una risata roca, profonda e denti bianchissimi.«Tranquilla, va bene anche il freddo. Prova ad alternarli per sciogliere i muscoli e fatti fare anche un massaggio, se puoi.»La sua lingua protestò, zittita dagli incisivi che la bloccarono prima che facesse danni irreparabili.In quell’istante, dopo l’ennesimo scossone, le ruote si divisero. Il suo carrello scivolò brusco in avanti.Lui l’afferrò per un braccio per impedirle di perdere l’equilibrio, Katherine si ritrovò con il volto a un soffio dalla punta del suo naso. Troppo vicino.Accidenti.La fissò con quello sguardo assorto che hanno gli uomini prima di fare qualcosa di avvincente o di illecito. Uno scintillio che sembrò accenderle il cuore nel petto.«Non pensarci nemmeno» le sfuggì e il brillio in quegli occhi si accentuò, le labbra si incresparono, circondate da rughe sottili.«Hai ragione, non adesso» rispose lui, serio. La raddrizzò, fece un passo indietro sempre guardandola fissa. «Oltretutto ho il turno di notte e sono un tipo preciso. Non mi piacciono le cose fatte di fretta, avrei bisogno di almeno un paio d'ore.»«Un paio d'ore?» Ancora la sua lingua. Avrebbe dovuto darsela a gambe invece di osservarlo imbambolata come se fosse un oracolo, pronto a svelarle il futuro.«Due ore,» le rivolse uno di quei lenti, pericolosi sorrisi che ormai lei aveva classificato come devastanti. «Forse tre, perché quando ti bacerò, finiremo entrambi senza vestiti.»Ah-ah. Figuriamoci.«Ci penserò, grazie del consiglio» rispose e per la seconda volta fuggì. Stava diventando un’abitudine.«Vigliacca» le parve di sentirlo dire alle sue spalle.Ma aveva ragione e quindi si eclissò.
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Published on August 08, 2016 06:37

July 3, 2016

Cosa mangiavano i romani?

Nell'antichità l'alimentazione rappresentava un'esigenza di primaria importanza per il benessere degli antichi Stati, la tenuta del potere politico poteva essere influenzata dal controllo della fornitura, distribuzione e consumo del cibo. L'approvvigionamento alimentare nell'antica Roma rappresenta un esempio in cui tale controllo raggiunse la massima espressione. A partire dalla Repubblica, il sistema dell'annona provvedeva a fornire ai cittadini un sussidio in grano e, più tardi, in olio e in carne di maiale. Tale sistema si fondava su una motivazione politica, in quanto la distribuzione di cibo alla cittadinanza era anche avvertita come necessaria al mantenimento dell'ordine pubblico. 
Per i miei libri ambientati nell'antica Roma, sono andata a disturbare Lucio Licino Lucullo, (117 - 56 a.C.) uomo politico e militare romano, che usò la grande fortuna accumulata durante le guerre in Oriente per trascorrere una vita nello sfarzo più sfrenato. Aveva splendidi giardini fuori dalla città di Roma (i famosi Horti di Lucullo, che "visiterete" nel mio nuovo libro della serie Roma Caput Mundi), così come ville a Tusculum e a Napoli. Quella nei pressi di Napoli era dotata di laghetti di pesci e di moli che si protendevano sul mare. Divenne così celebre per i suoi banchetti, tanto che ancora oggi esiste in lingua italiana l'aggettivo «luculliano» per indicare un pasto particolarmente abbondante e delizioso. 
Non solo lui, anche il gastronomo Marco Gavio Apicio (25 -37 d.C.), che a quanto pare era anche lui un godereccio e si suicidò, si dice disperato per non poter più mantenere l'alto tenore di vita a cui era abituato. Nel III o forse IV secolo fu compilata una raccolta di ricette a nome di Apicio, il De re coquinaria (L'arte culinaria), in dieci libri. Forse fu un rimaneggiamento di un antico ricettario proprio di Marco Gavio. Altra ipotesi è che l'autore di tale opera sia stato un certo Celio (il cui nome compare in alcuni codici dopo quello di Apicio), ma probabilmente il nome Celio appare un inserimento congetturale di epoca umanistica. Si tratta di appunti frettolosi e disordinati che costituiscono, tuttavia, la principale fonte superstite sulla cucina nell'antica Roma.
Quindi cosa mangiano i miei personaggi romani? L’alimentazione tipica del tempo, a base di verdura, frutta, cereali, legumi, formaggi, uova. L’uso del pane divenne di uso comune solo al principio del II secolo a.C. Nei primi secoli si usava il frumento che serviva a preparare la puls, una pappa molto densa. Il pane era di tre qualità: il pane nero, consumato dai poveri; il panis secundarius, più bianco ma non finissimo; il pane di lusso (panis mundus). Esso veniva cotto in forno o in recipienti speciali come il clibanus.
E i legumi? Fave, lenticchie, ceci; per gli ortaggi niente patate o pomodori, melanzane e peperoni, dovremo aspettare la scoperta dell'America. Ma c'erano lattughe, cicorie, cavolo, porri e si faceva gran consumo anche di erbe di campo lassative (malve, bietole, spinacini). Gli asparagi e il carciofo erano presenti solo sulla tavola dei più ricchi. Molti i funghi, usati anche spesso per avvelenare imperatori e avversari politici.

Gli agrumi fecero la loro comparsa intorno al IV secolo d.C., fino ad allora si mangiavano mele, pere, ciliegie, susine, uva e frutta secca in abbondanza: noci, mandorle, castagne. Dall’Armenia era arrivata l’albicocca che entrava persino in cucina in alcuni piatti, come negli arrosti. Molto comuni e apprezzati erano i datteri, che venivano importati dai paesi caldi come l'Egitto.
La preferita era la carne suina, salsicce, delle quali esistevano vari tipi: la più apprezzata era la lucanica, detta così dal nome della Lucania (oggi Basilicata), nei cui boschi pascolavano grandi quantità di suini selvatici. Nella lingua italiana il termine luganiga o luganega, oggi indica una salsiccia tipica del Veneto e della Lombardia. Le carni di maiale erano conservate sia affumicate sia salate, e fornivano anche ottimi prosciutti. A Roma, la macellazione dei bovini fu proibita a lungo, per non sottrarre questi animali al lavoro dei campi, ed era solitamente limitata agli animali vecchi e malati. Nei sacrifici agli dèi era regola abbattere bovini, ma le viscere venivano bruciate e le parti migliori andavano ai sacerdoti. Quello che restava, e cioè le parti scadenti veniva distribuito o venduto al pubblico. In età imperiale, il consumo di carne bovina si diffuse ma restò sempre piuttosto limitato: al manzo e alla vitella, i Romani continuarono sempre a preferire i capretti, gli agnelli e i porcellini. Abbondante era anche il consumo di pollame e di animali da cortile. 


Data la grande disponibilità di selvaggina la cucina romana faceva largo uso di cacciagione: fagiani, pernici, camosci, caprioli, cinghiali, carne di cervo, di asino selvatico, di ghiro e di uccelli, come il fenicottero, lo psittaco, la tortora e il pavone. 
Grande passione avevano i Romani per il pesce, dai pesciolini sotto sale, alimento del popolo, alle qualità più fini di pesce fresco. Non si trattava soltanto dei normali pesci mediterranei (orate, saraghi, cefali, merluzzi, spigole, tonni, triglie, sardine) ma anche di molluschi e di crostacei (aragoste, ricci, ostriche) e pesci come le murene, allevate in apposite vasche. Nei mari non inquinati le ostriche si riproducevano con rapidità: ne esistevano decine di specie e venivanoi che le consumavano crude e con l’aggiunta di qualche salsa. 

Tra i condimenti il più usato era l’olio di oliva. Un condimento molto amato era anche il garum, una salsa piccante preparata con interiora e pezzetti di pesce salato, ridotti in poltiglia e fatti fermentare al sole. I Romani ne erano appassionati e non esitavano a pagare prezzi altissimi per un prodotto di buona qualità.
Al primo posto tra le bevande vi era il vino, alle severamente proibito, perché l’ebbrezza era accomunata all’adulterio, la colpa più grave per una donna romana secondo la mentalità tradizionale. Esso non veniva quasi mai consumato puro perché di alta gradazione e a volte dal sapore sgradevole quindi veniva diluito in acqua e mescolato a spezie, erbe aromatiche o miele. Molto diffusa era la posca, una miscela di acqua e aceto.
Allora, pronte a gustare un panzetto a base di pane nero, lingue di fennicotteri e garum?
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Published on July 03, 2016 15:30

June 26, 2016

Massimo Valerio Messalla è esistito davvero?


Spesso noi scrittori di romanzi storici ci troviamo di fronte a un dilemma: inserire o meno personaggi realmente esistiti nella nostra trama immaginaria?  
Si è liberi nello scrivere di qualcuno che ha lasciato un’impronta indelebile nella Storia dell’umanità? Direi di sì, basta saperlo inserire e conoscere tutto di lui, come se fosse diventato un "caro amico".  
Napoleone Bonaparte nel mio libro Il Gioco dell'Inganno (ed. Leggereditore, 2013) ha un ruolo ben preciso, agisce, parla, si muove perché è parte integrante della vicenda narrata, la conquista della Serenissima Repubblica di Venezia da parte dei francesi nel 1796. Per inserirlo nella trama ho letto le memorie scritte di suo pugno durante l’esilio a Sant’Elena, e due biografie: Napoleone il Grande (Andrew Roberts, ed. Utet) e Napoleone, il Flagello d'Italia: le invasioni, i saccheggi, gli inganni (Antonio Spinosa Oscar Mondadori Storia Vol. 106) e qui ve ne cito solo due.
Nei libri della serie Roma Caput Mundi (ed. Leggereditore) sono "redivivi" gli imperatori Caligola e Claudio, Messalina e vari personaggi del tempo: storici, scienziati e  medici, tutti esistiti nel I secolo, epoca in cui si svolge ono le vicende narrate nei miei libri.
Quindi se volete far “rivivere” qualcuno, mi raccomando fatelo bene. Ovvero procuratevi materiale su di lui, meglio biografie scritte da autori greci e latini (Polibio, Senofonte, Plutarco; Tito Livio, Seneca, Cicerone, Sallustio, Tacito tanto per citare alcuni dei più famosi) o da autori riconosciuti come storici, saggisti, archeologi. Come forse vi ho già raccomandato in un altro articolo, non limitatevi a leggere solo romanzi a loro dedicati in cui potrebbero (il condizionale è d’obbligo) trovarsi errori o imprecisioni. 

In questo modo verrete a sapere di lui particolari essenziali: passioni, carattere, manie, idee reali e non filtrate e romazate da un altro autore. 
Voi mi chiederete: perché leggere dei libri per conoscere un personaggio di cui magari parlo in poche righe del mio romanzo? Perché faticare tanto quando le classifiche sono piene di storie che non hanno alcuna profondità? Risposta: perché entrerete nella Storia dell'epoca molto più facilmente, perché vi aiuterà anche nei vostri prossimi libr in modo indiretto, perché siete curiose e infine, per vostra cultura generale. Ma perché, in primis, una buona storia i lettori la riconoscono, una storia “vera anche se finta” alla fine vi ripaga di tutta la fatica.
Ipotizziamo che un giorno state scrivendo la bozza della vostra trama e a un certo punto, surfando sul web (questo web ormai irrinunciabile...), scoprite un personaggio storico realmente esistito e decidete che lo volete inserire nel vostro romanzo. Riuscite a trovare su di lui tantissime informazioni, biografie, scritti anche di suo pugno, in modo da inquadrarlo alla perfezione nella struttara con il suo pensiero e la sua personalità e avrà un ruolo importante. Bene, non abbiate dubbi: fatelo. L’ipotetico personaggio reale illuminerà di nuova luce il mondo che state edificando. Napoleone ha avuto un impatto positivo nel mio libro: ha reso il protagonista inventato del romanzo, il conte Jacopo Barbieri, più vivo e credibile.
Se usate un personaggio “vero” cercate di renderlo così come è vissuto o come avete dedotto realisticamente dai libri e dai documenti che avrete letto per questo scopo. Non cercate di falsarlo o di travisarlo: ne risulterebbe una caricatura distorta dalla realtà che molti criticherebbero e troverebbeo ridicola, tutto a discapito del vostro romanzo. 
Ricordate anche una regola principe della scrittura in generale: qualunque personaggio, anche un passante, va inserito nel vostro libro per un motivo preciso e non perché avete un po' di "spazio". Attenzione però, perchè il personaggio storico richiede un gradino di abilità e conoscenza in più e sorvegliate sempre la vostra scrittura, in ogni circostanza. 
Scrivere è sempre fatica e sudore e immaginare di inserire Napoleone, Garibaldi o Giulio Cesare sia astuto, facile e geniale “perché tanto tutti lo conoscono”, non è lo spirito giusto. La faccenda non sarà tutta in discesa e pensarlo, da parte vostra, sarebbe un grave errore.
Ma veniamo al mio prossimo libro: da quale personaggio storico ho preso spunto per creare il personaggio (inventato) di Massimo Valerio Messalla, protagonista di Roma 50 d.C. Il Leone di Roma, quinto libro della serie Roma Caput Mundi? Manius Valerius Maximus Messalla (III secolo a.C.) apparteneva alla Gens Valeria, figlio di Marco Valerio Massimo Corvino. Manio fu censore nel 252 a.C. con Publio Sempronio Sofo e divenne console per la Reppubblica romana, come suo padre, con Manio Otacilio Crasso nel 263 a.C.. 
Durante la prima guerra punica, i due consoli (a quel tempo i consoli comandavano anche l'esercito in caso di conflitti) scesero in Sicilia al comando di una legione ciascuno. I Fasti Trionfali (elenco annuale dei trionfi dei magistrati pubblicati nel 12 a.C.) riportano che Messalla conseguì grandi vittorie conquistando molte città tra cui Messina e Catania e sbaragliando i cartaginesi nella battaglia di Imera.

I siciliani, scontenti del governo dei cartaginesi e dei greci, non opposero resistenza all'arrivo dei romani e Gerone II di Siracusa offrì loro la propria alleanza. Messalla accettò l'offerta del tiranno facendogli firmare un trattato di pace, che limitò la sovranità siracusana alla Sicilia sud-orientale. Nonostante la coordinazione dei due consoli durante le operazioni belliche, i contemporanei ascrissero a Messalla il principale merito dei successi riportati, concedendo a solo a quest'ultimo il trionfo "De Paeneis et Rege Siculorum Hierone" (Fasti).

Al suo ritorno a Roma portò con sé la prima meridiana, presa a Catania, e la fece posizionare su una colonna nel Foro. Nella Curia Hostilia fece dipingere un affresco raffigurante la battaglia tenutasi a Imera, opera che venne considerata da Plinio come uno dei primi incoraggiamenti dell'arte pittorica a Roma.
Durante la sua censura degradò quattrocento equites e, nel suo De Brevitate Vitae, Lucio Anneo Seneca spiega che l'agnomen Messalla viene dalla storpiatura di Messana, il nome della città che il console liberò nel corso della sua spedizione in Sicilia. 
Divenuto un cognomen, esso contraddistinguerà la branca della gens Valeria discendente dal Messalla in questione per circa otto secoli e molti saranno nella storia i Manio, i Massimo e i Marco Valerio Messalla... (fonte principale Wikipedia, l'eciclopedia libera a questo link: Manio Valerio Massimo Messalla)

Book trailer - anteprima del prossimo libro serie Roma Caput Mundi Roma 50 d.C. Il Leone di Roma 
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Published on June 26, 2016 15:30

June 18, 2016

È uscita in cartaceo la raccolta di racconti La Legge del Lupo e altre Storie



"Nonostante Laura fosse arrivata alla tenuta decisa a dissuaderlo dai suoi propositi, si scoprì a deglutire e a sforzarsi per mantenere gli occhi fermi su di lui.
Suo cognato.
Non era preparata al suo aspetto.
Beatrice lo aveva sempre descritto come un cinico tiranno. Arrogante, irremovibile, dispotico.
Avrebbe dovuto trovarsi a fronteggiare un uomo dal volto rigido, segnato dalle rughe dell’astio, col corpo magro ingobbito dai conti e dal peso delle responsabilità. Un uomo imbruttito dalla tenacia, ripugnante nella sua spietatezza.
Niente di più sbagliato e Laura avrebbe fatto tesoro della lezione.
Era bello, così bello che al primo impatto con quella mascolinità arrogante e sensuale, era rimasta a corto di parole. E di fiato. Ogni donna sana di mente avrebbe dovuto aver paura di rimanere sola con lui."


Il racconto da cui è tratto questo breve passaggio è "Nemmeno questa Notte", uno dei cinque racconti che trovate nella raccolta La Legge del Lupo e altre Storie, già pubblicata in digitale e uscita il 14 giugno in versione cartacea con CreateSpace, solo su Amazon.
Vuoi leggere questa raccolta di racconti?
Clicca qui 


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Published on June 18, 2016 02:28

May 28, 2016

Storia e romanzo storico, alcuni consigli



Fare ricerca per i vostri romanzi. Una bella sfida, ma come si fa? Innanzi tutto vediamo l’origine del termine “ricerca”: viene dal tardo latino circāre (fare il giro di qualcosa, andare intorno a qualcosa), che a sua volta deriva dalla pratica, durante la caccia, di far fare ai cani cerchi sempre più ampi per scovare la selvaggina. Noi scrittori siamo quindi cacciatori e per trovare ciò che cerchiamo dobbiamo avere metodo (dal greco méthodos, dahodós che significa via e mèta, condurre oltre), ovvero scegliere il percorso migliore per arrivare a destinazione.


Alla narrativa, non solo ottocentesca, ai suoi modelli e alle tecniche narrative, non pochi storici hanno guardato sempre con notevole interesse. Perché i romanzi di Charles Dickens, Gustave Flaubert e Thomas Mann, per citarne solo alcuni, rappresentano per noi testi “storici” narrativi, composti da una miscela variabile di osservazione documentaria, di invenzione e di tecniche della narrazione. Il romanzo storico può essere testimone di un’epoca o di un evento reale, che viene poi filtrato e arricchito dalla fiction.


Se siete autori di romanzi contemporanei il compito è piuttosto facile. Se invece volete scrivere un romanzo storico e magari non siete in possesso di una laurea specialistica, allora il compito è più complesso. In ogni caso, il primo consiglio è di procedere comunque con un certo metodo, al fine di offrire al lettore un testo realistico e pertinente al contesto in cui svolge la vostra vicenda.


La ricerca casuale o fatta con superficialità può risultare imprecisa e poco realistica. Tutto quello che scrivete, a meno che non si parli di fantasy o fantascienza, deve avere un minimo di concretezza e credibilità. Tutto ciò si ottiene raccontando il vero o una “presunzione del vero”, basata su fatti, eventi e luoghi reali. Anche i personaggi storici possono essere utilizzati per i vostri fini, ma vanno rispettati e ricreati così come sono nel carattere, nell’aspetto, nelle idee.


Tanti e tanto diversi sono le fonti che selezionerete, i modi con cui cercherete di interpretarle, così come diverso sarà per ognuno il “montaggio” del romanzo.Quando si fa ricerca storica non ci sono prontuari, vademecum, guide di cui seguire le istruzioni ma esiste una regola: l’autore deve essere e rimanere un narratore e non deve mai diventare uno storico, perché il suo compito non è insegnare storia ma intrattenere il lettore.


La maggior parte dei romanzi storici ha una “grande storia”. Via col Vento ha una trama che si sviluppa durante la guerra civile americana in cui la sua eroina, Scarlett O’Hara che si batte per salvare la tenuta di famiglia. La vicenda inventata della giovane donna è in primo piano, quella storica è sullo sfondo e così deve sempre essere, in un romanzo.


Quando avrete scelto il vostro periodo, leggete quanto più possibile su di esso, a volte la lettura fornisce l’ispirazione. Ma attenzione: non si deve cercare tutto perché altrimenti il vostro romanzo non comincerà mai. Non annoiatevi, così non annoierete i lettori e non smettete di cercare mentre scrivete, la ricerca si fermerà solo alla fine del libro.


Un romanzo storico non può essere una interpretazione arbitraria della Storia. Non abbiamo il diritto di modificarla a nostro piacimento ma possiamo arricchirla con l’avventura, possiamo suggerire interpretazioni che un vero storico non potrebbe mai fare. Il nostro paese è ricco di documenti, i nostri musei sono pieni delle testimonianze del passato. L’Italia è un museo a cielo aperto, utilizzatela.


Ma quando del periodo storico si conosce poco come si fa? Di solito è preferibile lasciare alla fantasia la possibilità di strutturare la vicenda. Lo scrittore americano E.L. Doctorow dice che “Scrivere un romanzo è come guidare di notte. Puoi vedere solo fino a dove arriva la luce dei fanali, ma puoi fare l’intero viaggio in quel modo.” Un altro consiglio? Scrivete per scoprire cosa succede, a volte non avete idea di dove il libro stia andando, lo scoprirete piano piano.


Ma i personaggi storici come fanno a convivere con quelli fittizi? Bisogna renderli il più possibile credibili, utilizzando i dialoghi. E in un romanzo storico è meglio narrare in prima persona o in terza? Anche qui non esiste una regola precisa, né una scelta consapevole. Ricordiamoci solo che il grande svantaggio della prima persona è che non si può dare al lettore informazioni che l’eroe (o l’eroina) non sappiano da soli. Nella terza persona rischiate di annoiare alternando il punto di vista ma tutto è più facile: qui si possono mostrare eventi, personaggi, situazioni al lettore all’insaputa del vostro eroe/eroina e il vantaggio sarà quello di aumentare la suspense.


E le fonti? Come possiamo sapere se sono attendibili? Con il nostro giudizio, la nostra esperienza; se consultate un libro scritto da uno storico serio e pubblicato da un editore rispettabile, allora potrete fidarvi. Per i siti vale lo stesso discorso: se sono di un’università non dovrebbero esserci problemi se, al contrario, non conoscete chi scrive l’articolo allora fate un doppio o un triplo controllo su quel materiale.


È obbligatorio scrivere una nota storica alla fine del vostro romanzo, per svelare al lettore ciò che è avete inventato e ciò che invece è storicamente avvenuto? No, non lo è ma è preferibile. Il lettore potrebbe voler scoprire qual'è la parte reale e quale quella inventata e, chissà, magari dove trovare informazioni per approfondire la vicenda.
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Published on May 28, 2016 00:33

March 6, 2016

Auguste Maquet, il ghostwriter che non passò alla storia

"La storia del mondo è la storia di pochi privilegiati" scriveva Henry Miller e aveva ragione. Molti artisti conoscono un frettoloso oblio e la loro memoria scompare nel giro di poche generazioni. Perché? In genere questi artisti non scrivono libri memorabili, non dipingono quadri struggenti, né compongono melodie indimenticabili. Altri invece sono dimenticati perché il loro nome viene oscurato da un altro più famoso, una sorta di damnatio memoriae involontaria. 
Oggi vi racconto la vicenda di Auguste Maquet, autore poco noto nel panorama letterario internazionale, che trascorse la sua vita all’ombra di uno degli scrittori più celebri dell’Ottocento francese, Alexandre Dumas padre.
Sì, parlo proprio dell’autore de I tre moschettieri e del Il Conte di Montecristo, tanto per citare le sue opere più celebri. Ebbene pensate che, senza il prezioso contributo di Maquet, queste opere avrebbero potuto non vedere la luce. Ma procediamo con ordine.
Nato il 13 settembre 1813, Auguste Maquet venne educato alle “belle lettere” dal padre, un ricco industriale. Studiò al liceo lettere classiche e a sedici anni dava già lezioni di latino e greco, a diciotto insegnava come supplente retorica. Durante gli anni della scuola conobbe Gérard de Nerval e Théophile Gautier, due tra i maggiori autori del Romanticismo francese. Iniziò a comporre poesie e a scrivere racconti e novelle per alcuni quotidiani, frequentando nello stesso tempo i maggiori autori parigini e prese parte all'attività dei Bousingos, gruppo di letterati francesi della seconda generazione, scrivendo con lo pseudonimo di Augustus Mac-Keat. Frequentò anche  il gruppo bohème de la rue du Doyenné, che si riuniva nell’appartamento del pittore Camille Rogier. 
Qualche anno più tardi (1832) decise di dedicarsi esclusivamente alla scrittura, dichiarando: «Chiederò alla letteratura quello che l’insegnamento mi rifiuta: fama e profitto.»
Nel mese di novembre 1838, Maquet consegnò al suo amico Nerval il pezzo Una serata di Carnevale, ispirato dal Journal de la Régence di Jean Buvat, che non riusciva a far pubblicare. Nerval pensò che il pezzo dovesse essere riscritto e lo mostrò ad Alexandre Dumas, che lo rielaborò seguendo la traccia di Maquet, lo intitolò Bathilde e non lo firmò, lasciando a Maquet tutta la gloria.
Maquet, sentendosi in debito, offrì a Dumas un romanzo storico che non era riuscito a pubblicare per il semplice fatto che ancora non era famoso. Così, Bonhomme Buvat ou la Conspiration de Cellamare venne rielaborato da Dumas e pubblicato nel giornale Le Siecle, il 28 giugno del 1841 con il titolo di Chevalier d'Harmental. Il successo fu immediato e l'anno successivo Maquet consegnò un altro manoscritto a Dumas, Sylvandire che quest’ultimo firmò come unico autore, con l’assenso di Maquet. La loro collaborazione era ufficialmente iniziata.
Nel 1844, Maquet diede a Dumas i primi capitoli di un'avventura storica intitolata Le Memorie di D'Artagnan. Questo lavoro, che Dumas pubblicò a puntate su Le Siècle e poi in volume con l’editore Baudry, prese il titolo de I tre Moschettieri. Ma qualcosa accadde a minare le basi di questo sodalizio. Il seme della discordia germogliò nel 1845 partendo da un opuscolo scritto da Eugenio de Mirecourt, intitolato La Fabrique de romans maison Alexandre Dumas et Cie, in cui l'autore metteva in dubbio la paternità delle opere di Dumas. Dumas e Maquet deposero le denunce in tribunale, il primo per diffamazione e il secondo per essere stato citato in causa senza motivo.
Gli episodi giudiziari da quel momento in poi si susseguirono, Dumas cercava di proteggere i propri interessi e Maquet di ottenere il riconoscimento e il compenso per i suoi diritti d'autore. Dumas accettò di rinunciare alla paternità delle opere teatrali, ma rifiutò categoricamente di cedere la paternità dei romanzi, cercando in tutti i modi di mettere a tacere le pretese di Maquet.
La disfida tra i due autori degenerò negli anni successivi tra processi per insolvenza (Dumas non sganciava un centesimo) e accordi non rispettati e caratterizzarono la relazione tra i due scrittori fino al fallimento del Théâtre Historique, dove venivano rappresentate le loro opere teatrali, nel dicembre 1850. Da quel momento Maquet cominciò a pubblicare da solo. Tentò ancora un secondo processo, nel 1857, per recuperare una somma che Dumas gli doveva. 
Questa volta la giustizia considerò Maquet come un semplice creditore e gli concesse il 25% dei diritti d'autore, in cambio della sua rinuncia alla paternità dei libri scritti con Dumas. Il rimborso fu di 145.200 franchi. Nel corso dei vent’anni successivi due tentativi di riconciliarsi fallirono. Dumas cercò un’ultima volta di riavvicinarsi a Maquet nel 1868, proponendo di pagare i suoi debiti ma, ancora una volta, finì tutto con un nulla di fatto.
La rottura con Dumas non concluse la carriera di scrittore di Auguste Maquet. Anche lui pubblicò opere originali, calorosamente accolto dalla critica. Maquet fu, per più di dodici anni, presidente della Société des Auteurs et des Compositeurs Dramatiques e nel 1861 venne nominato Cavaliere della Legione d'Onore.
Fu nel suo castello di Sainte-Mesme, "acquistato con la mia singola penna" e dove si era ritirato, che egli morì l'8 gennaio 1888. Egli riposa nel cimitero di Père-Lachaise di Parigi, sotto un monumento ornato da un medaglione di bronzo. Intorno al suo ritratto, da una parte sono incisi i titoli delle opere pubblicate con il proprio nome e, dall'altro, quelle scritte con Dumas. L'affermazione della paternità di questi romanzi aveva anche preso un'altra forma, più discreta ma molto più amara: nella sua biblioteca conservava una copia de I Tre Moschettieri, che aveva fatto rilegare in marocchino rosso e sulla quale era scritto: I tre moschettieri, di Alexandre Dumas e A. Maquet. 
Al suo funerale, Alexandre Dumas figlio, impedito da alcune circostanze, non fu in grado di consegnare il discorso che aveva preparato per l'occasione. L'autore di La Signora delle camelie si concesse però l'illusione che il padre e Maquet si fossero riconciliati nell'aldilà, circondati dai personaggi di cui avevano narrato le avventure nei loro romanzi.
La Locandina del film La collaborazione tra i due scrittori ha ispirato un film, L’Autre Dumas (uscito in Francia nel 2010 tra numerose polemiche, con Gérard Depardieu nei panni di Dumas e Benoît Poelvoorde in quelli di Maquet), in cui viene esaltato il ruolo svolto dal ghostwriter ottocentesco. Il dibattito sul ruolo giocato da Maquet nella stesura dei capolavori di Dumas è ancora accesso e la controversa vicenda forse non giungerà mai a una soluzione.  
Ma ciò che possiamo affermare è che i due romanzieri si completavano alla perfezione, il genio di Dumas e il talento di Maquet generarono infatti romanzi davvero indimenticabili!
Ecco, se siete curiose, una lista delle opere di Maquet pubblicate con Dumas e le loro pièces teatrali:
I Romanzi: I tre moschettieri (1844), Vent'anni dopo (1845), Il conte di Montecristo (1844-1845), La regina Margot (1845), La guerra delle donne (1845-1846), La Signora di Monsoreau (1846), Le Chevalier de Maison Rouge (1846), Memorie di un medico Giuseppe Balsamo (1846-1849), Il Visconte di Bragelonne (1847-1850), La collana della Regina (1849-1950), Pitou (1850-1851), Il tulipano nero (1850) e La Comtesse de Charny (1852).
Le opere teatrali: I moschettieri (1845), La regina Margot (1847), Montecristo (1848), I giovani Tre Moschettieri (1849).
Qui il trailer del film mai distribuito in Italia:
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Published on March 06, 2016 15:30

February 19, 2016

Conti o... contadini?

Degli aristocratici parliamo spesso. Di duchi, marchesi e conti sappiamo vita, morte, miracoli e amori ma… gli altri? Per altri intendo la maggior parte della popolazione, quel novanta per cento che tutti dimenticano. Quando pensiamo a quell’epoca non immaginiamoci solo l'affollata sala da ballo di Almack's, soffermiamoci a pensare come doveva essere dormire abbracciati accanto alle pecore, alle galline o a essere sposate con un villico sdentato. Diamo un’occhiata agli strati più bassi della popolazione, tra coloro che vestivano di stracci e non di seta, coloro che non possedevano nulla se non un paio di scarpe sfondate e mangiavano pane raffermo, se mangiavano. Per una volta parliamo di poveracci e non di signori.

Tra il XVIII e il XIX secolo la situazione dei contadini era drammatica in tutta Europa. Non sarà un caso che la Rivoluzione del 17989 sia avvenuta a Parigi: nelle zone rurali della Francia avevano pensieri più pressanti di cui occuparsi, ad esempio sfamarsi e nemmeno loro con le brioches… 
Dal punto di vista temporale sono lontani i tempi dei servi della gleba del Medioevo ma, a tutti gli effetti, i contadini al tempo della Rivoluzione erano ancora una proprietà del latifondista, feudatario, visconte o vescovo che fosse. Nel ‘700 infatti, prima della svolta ideologica illuminista e dell'avvento borghese, la ricchezza era ancora basata sulla quantità di terre possedute. Dalla terra veniva il denaro e il signore riscuoteva periodicamente i suoi frutti privando i lavoratori non dell’extra, ma anche di quel poco che a stento avrebbe sfamato la famiglia (peraltro numerosa). 

Le case dei contadini (quelli più... abbienti) erano minimaliste. L’arredamento più consueto era costituito da stipi e armadietti a muro scavati nelle pareti. Di solito era strutturata su due piani,l'abitazione in basso e sopra il fienile, ed era edificata su rocce o muraglioni rocciosi quando possibile per non privarsi di un appezzamento, anche piccolo, in cui si potesse coltivare. Le rocce, inoltre, erano solide fondamenta e rendevano più stabile l'intera struttura. Il piano terra era destinato alle persone e agli animali, il sottotetto adibito a fienile o ripostiglio per le provviste, sempre che si avesse la fortuna di possederne. L'ingresso della casa era in terra battuta, per far passare anche gli animali.

Per riscaldarsi in casa spesso c’erano focolari scavati direttamente sul piano calpestabile, ma il loro potere calorifico era davvero scarso. La soluzione più pratica e a buon mercato era dividere l’abitazione con altri mammiferi, meglio se grossi e pelosi. Calma, calma fanciulle, non scatenate la fantasia: parlo delle pecore, allora quotatissime, non di mammiferi a due gambe!La stanza più importante della casa quindi era quella con gli animali. Lì soggiornavano tutti e si lavorava: le donne cucivano, ricamavano, filavano e tessevano la lana; gli uomini riparavano o costruivano gli attrezzi per il lavoro nei campi. 
Pensate: a quei tempi, le persone rimanevano confinate nelle mura domestiche dai sei ai sette mesi l'anno, quindi necessitavano di provviste e di tutto il necessario per sopravvivere, quasi fossero degli assediati. A primavera si contavano i sopravvissuti, si aggiornavano i registri della parrocchia e si celebravano i funerali perché in inverno, quando la terra è gelata, è impossibile scavare fosse. Immaginatevi chiuse in casa, in compagnia dei vostri parenti senza privacy né diversivi alle noiose serate. Niente televisione, radio, iPhone, ricetrasmittenti ecc., ecc... insomma nada de nada. Terribile, vero?

Ascoltare favole, racconti di guerra o pettegolezzi della contea era il massimo divertimento ma di certo, essere rinchiusi in una stanza così a lungo, rendeva difficili i rapporti, soprattutto tra donne. Esisteva una sorta di gerarchia tra loro: l'età, la data del matrimonio, il componente a cui si era sposate. La famigerata suocera aveva potere illimitato sulle nuore, per questo molte giovani donne maritate ponevano come condizione di non avere la madre di lui tra i piedi. Ma anche tra le nuore la rivalità era accesa. 

Difficile la vita dunque e non crediate fosse semplice neppure con le stagioni più miti. In primavera si piantavano segale, frumento, orzo; ortaggi nei campi, patate e granoturco, ma nessuna di queste culture avrebbe dato i suoi frutti prima dell'estate. Allora cosa portare in tavola? Ottima soluzione (economica) erano i vegetali selvatici: spinacio, cardo, ortica, dente di leone. Con questi ingredienti si preparavano piatti unici e zuppe. Piatti vitaminici, diremmo oggi, anche perché durante l'inverno ci si nutriva in gran parte con carne essiccata, castagne secche, polenta, formaggi e pane raffermo. Il pane si cucinava infatti solo due o tre volte l'anno e, una volta fatto indurire per conservarlo, si mangiava a fette ammollato nel brodo, nel latte, nel vino o in semplice acqua calda o fredda.

In genere i contadini possedevano un solo abito, per tutta la vita. Per le donne era uno scamiciato informe, piuttosto grezzo che doveva nascondere seno e curve; gli uomini, fortunati loro, portavano pantaloni, bolero, giacca e cappello. Spesso entrambi i sessi possedevano anche una camicia bianca, quella del giorno di festa per andare a messa, che aveva il pizzo anche sui polsini. 

La camicia si lavava una volta al mese, i più fortunati ne avevano due o tre, il vestito quando era troppo sudicio lo si tingeva con un colore più scuro. Lavarlo era impensabile: la stoffa si sarebbe rovinata o ristretta e avrebbe impiegato troppo tempo per asciugare e visto che non possedevano altri abiti con cui andare in giro.  

Essere inabili al lavoro era un dramma, gli anziani vivevano poco, le persone con problemi fisici o mentali non sopravvivevano a lungo, le malattie erano quasi tutte mortali e si passava a miglior vita (è proprio il caso di dirlo...) a volte anche per un banale raffreddore. Meglio nascere duca, nevvero?

E, se dopo tutto questo, qualcuno volesse vivere nel Settecento, prego alzi la mano!

 
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Published on February 19, 2016 01:22

December 28, 2015

Clare Darcy, le eroine Piaghe e Jane Austen...

Quando ero bambina conoscevo a memoria una filastrocca, Madama Dorè. Ai miei tempi si canticchiava in cerchio con altre bambine; una faceva la Madama al centro, un’altra fuori interpretava un messo reale. Madama Dorè era madre di molte belle figlie e, fiera, si compiaceve che il messo e il Re le trovassero fanciulle talmente per bene da volerle maritare a un buon partito. Il preambolo della filastrocca mi serve per parlarvi di una scrittrice di Romance: Clare Darcy, considerata come l’erede spirituale dell'osannata Georgette Heyer. Non è la sola però, visto che esiste un’altra “figlia putativa”, Barbara Cartland. Tutte autrici molto prolifiche della letteratura femminile, dagli anni ’20 fino agli anni ’80 del Novecento, che ripresero nei loro libri il filone delle eroine combina guai inaugurato dal romanzo gotico.

Ma chi era Clare Darcy? Vero nome Mary Deasy, nacque a Cincinnati (Ohio) nel 1914. Della sua famiglia e della sua vita privata si hanno poche notizie, ma abitò sempre in America e morì nel 1978. Produsse un gran numero di romanzi, documenti, ricerche, appunti e plot non terminati, che oggi sono conservati presso la Boston University. Nella collezione è di particolare interesse il materiale epistolare che scambiò con gli editori, dal 1936 all’anno della morte. Non si sa se lo pseudonimo scelto sia un omaggio a Mr. Darcy e a Jane Austen. Io opterei per il sì, anche considerando le storie che scriveva.

Della sua bibliografia, tradotta in molte lingue, ormai si stanno perdendo le tracce e, a meno di non avere bauli di libri nascosti in soffitta, è difficile reperirne i libri, salvo forse qualche raro esemplare nelle biblioteche di quartiere o nelle vendite di libri usati online. Oltre ad essere quasi sconosciuta, nonostante abbia avuto la sua fase di gloria letteraria una trentina di anni fa, ormai sta finendo nel dimenticatoio a dispetto del fatto che la Mondadori, nella collana Oscar, abbia riproposto qualche anno fa quasi tutti i suoi romanzi (ne mancano solo un paio). La Darcy scriveva Regency e, nonostante a me non piaccia lo stile, è una buona scrittura d'intrattenimento. Oggi i romanzi della Darcy sembrano più filastrocche che Romance veri e proprie posso dire che tra lei e Nora Roberts (una tra le mie autrici preferite) c’è un abisso.
Insomma, Romance un po’ datati, scrittura e plot per noi inabituali e ricordatevi: niente sesso siamo inglesi. Vi sono anche molti espedienti simili a una sit-com di serie B: gente che cade provvidenzialmente da cavallo storcendosi una caviglia, parenti (molte zie) chiacchierone e invadenti, gentiluomini tanto signorili e compiti che, se non fossero oggetto dell'amore appassionato delle protagoniste, sarebbero stucchevoli come stoccafissi. Stoccafissi di stirpe reale, però.

La Darcy non brilla certo per inventiva, i suoi libri finiscono per assomigliarsi un po’ tutti ma possono essere un diversivo per i pomeriggi piovosi, in cui ogni altra lettura vi pare uno sforzo mentale eccessivo. Nei romanzi della Darcy le cose vanno sempre allo stesso modo: una signorina perbene, nubile o zitella, più spesso vedova, si mette a curiosare dove non dovrebbe e scopre: una casa che non sapeva di avere; il mistero di una collana; un complotto internazionale con Napoleone; una montagna di debiti. 

In tutti i casi, anziché lasciare l'indagine alle opportune autorità, decide di investigare imbattendosi in uno gnokko da paura che, in qualche modo, riuscirà a coinvolgere nel suo piano suicida mettendo a rischio se stessa, lo gnokko e la patria e rischiando, all'ultimo stadio, di far scoppiare una crisi internazionale. A me ricordano come “ossatura” i romanzi di un’altra autrice americana, Jayne Ann Krentz, conosciuta anche come Jayne Castle, Stephanie James, Amanda Quick, Jayne Bentley, Amanda Glass e Jayne Taylor, californiana, classe 1948. Leggere per credere.
In seguito la nostra protagonista di turno scopre che: si trattava di una festa di compleanno a sorpresa e ha appena rovinato il party di King George; il marito/padre/fratello di lei era stato raggirato e non ha mai contratto tanti debiti; l'uomo di cui si è innamorata durante la vicenda ha le conoscenze adatte al Ministero della Guerra per metterci una pezza.
Grazie all’ingenuità di certe fanciulle di inizio secolo, questo tipo di eroina pare spopolasse nelle librerie. Io le ho soprannominate Piaghe. Piaga di solito è bella, spiritosa, interessante. A volte è un’ereditiera, a volte poverissima ma ciò non cambia il succo della vicenda. Spesso Piaga ha a che fare con sorelle esuberanti, desiderose di scappare sul continente con l'uomo sbagliato, infatti le storie sono tutte ambientate quando il Continente era invaso da Napoleone. Se Piaga non ha sorelle, ha qualche fratello stile Piccolo Lord, a cui deve garantire un futuro. Il primo passo di Piaga è di mettersi nei guai e, mentre è nei pasticci o cerca di uscirne, incontra Piaga 2, l'eroe, il Lui che stavamo aspettando.
Gli eroi della Darcy sono proprio d'altri tempi: non se ne fanno più (meno male). Sono avvenenti secondo il senso comune del primo Novecento, indossano abiti costosi, hanno due o tre titoli altisonanti, sono pettinati con raffinatezza. Insomma, eroi scavezzacollo che però, paragonati a Piaga, possiedono un po’ di buonsenso e istinto di conservazione. Piaga e Piaga 2, in qualunque situazione, si guarderanno negli occhi, prenderanno atto di dettagli irrilevanti (lei ha un neo sul lobo sinistro, lui una piccola abrasione al polso destro) e tra loro scatterà una scintilla più luminosa della pila di Volta. Magari accadrà dopo duecento pagine, ma il colpo di fulmine, vero protagonista silente dell'autrice, è immancabile: un nanosecondo e... zac! Piaga 2 è andato. Peggio del virus dell’influenza.
La parte del colpo di fulmine è un po' noiosa, la Darcy si perde in descrizioni inutili che, anziché pervadere la scena di romanticismo, portano il  lettore alla narcolessia e, a volte, mi fanno lo stesso effetto delle scene di canto e danza dei musical (che detesto): prego che finiscano il prima possibile.
Gli sguardi tra Piaga e Piaga 2 sono il massimo dell’intimità e non mi spiego il perché, visto che all'epoca scriveva pure D'Annunzio, che di perversioni non se ne lasciava scappare neanche una. Strano, vero? In ogni caso, grazie alla brillante cooperazione tra le due Piaghe, il guaio scelto nel plot viene risolto e alla fine convoleranno a giuste nozze, parentado schierato tra giubilo e tripudio per la coppia che, al culmine della gioia, si bacerà sotto un romantico arco di rose/portale di pietra/giardino cittadino/casa storica.
Questa è la trama dei circa quindici libri che la Darcy ha pubblicato in trent'anni di carriera. So che raccontata così sembra un'autrice mediocre, in realtà manca solo di fantasia ma credetemi, ho letto di peggio anche in libri più moderni. Un’ultima notazione da segnalarvi: le copertine dei suoi libri, a differenza di quelle moderne in computer grafica, con espressioni ebeti e pose innaturali, sono autentici capolavori, in particolare l'edizione americana della Darcy vanta splendide pitture di Allan Kass, una delle mie preferite è quella del libro intitolato Cressida. Da come ho descritto i suoi libri capisco che non siate entusiaste di leggerla ma va ascritta anche lei, con le sue opere, alla storia del Romance e alla sua evoluzione, e ci aiuterà a capire molto di ciò che si scrive oggi.




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Published on December 28, 2015 13:08

Clare Darcy, le eroine Piaghe e Jane Austin...

Quando ero bambina conoscevo a memoria una filastrocca, Madama Dorè. Ai miei tempi si canticchiava in cerchio con altre bambine; una faceva la Madama al centro, un’altra fuori interpretava un messo reale. Madama Dorè era madre di molte belle figlie e, fiera, si compiaceve che il messo e il Re le trovassero fanciulle talmente per bene da volerle maritare a un buon partito. Il preambolo della filastrocca mi serve per parlarvi di una scrittrice di Romance: Clare Darcy, considerata come l’erede spirituale dell'osannata Georgette Heyer. Non è la sola però, visto che esiste un’altra “figlia putativa”, Barbara Cartland. Tutte autrici molto prolifiche della letteratura femminile, dagli anni ’20 fino agli anni ’80 del Novecento, che ripresero nei loro libri il filone delle eroine combina guai inaugurato dal romanzo gotico.

Ma chi era Clare Darcy? Vero nome Mary Deasy, nacque a Cincinnati (Ohio) nel 1914. Della sua famiglia e della sua vita privata si hanno poche notizie, ma abitò sempre in America e morì nel 1978. Produsse un gran numero di romanzi, documenti, ricerche, appunti e plot non terminati, che oggi sono conservati presso la Boston University. Nella collezione è di particolare interesse il materiale epistolare che scambiò con gli editori, dal 1936 all’anno della morte. Non si sa se lo pseudonimo scelto sia un omaggio a Mr. Darcy e a Jane Austin. Io opterei per il sì, anche considerando le storie che scriveva.

Della sua bibliografia, tradotta in molte lingue, ormai si stanno perdendo le tracce e, a meno di non avere bauli di libri nascosti in soffitta, è difficile reperirne i libri, salvo forse qualche raro esemplare nelle biblioteche di quartiere o nelle vendite di libri usati online. Oltre ad essere quasi sconosciuta, nonostante abbia avuto la sua fase di gloria letteraria una trentina di anni fa, ormai sta finendo nel dimenticatoio a dispetto del fatto che la Mondadori, nella collana Oscar, abbia riproposto qualche anno fa quasi tutti i suoi romanzi (ne mancano solo un paio). La Darcy scriveva Regency e, nonostante a me non piaccia lo stile, è una buona scrittura d'intrattenimento. Oggi i romanzi della Darcy sembrano più filastrocche che Romance veri e proprie posso dire che tra lei e Nora Roberts (una tra le mie autrici preferite) c’è un abisso.
Insomma, Romance un po’ datati, scrittura e plot per noi inabituali e ricordatevi: niente sesso siamo inglesi. Vi sono anche molti espedienti simili a una sit-com di serie B: gente che cade provvidenzialmente da cavallo storcendosi una caviglia, parenti (molte zie) chiacchierone e invadenti, gentiluomini tanto signorili e compiti che, se non fossero oggetto dell'amore appassionato delle protagoniste, sarebbero stucchevoli come stoccafissi. Stoccafissi di stirpe reale, però.

La Darcy non brilla certo per inventiva, i suoi libri finiscono per assomigliarsi un po’ tutti ma possono essere un diversivo per i pomeriggi piovosi, in cui ogni altra lettura vi pare uno sforzo mentale eccessivo. Nei romanzi della Darcy le cose vanno sempre allo stesso modo: una signorina perbene, nubile o zitella, più spesso vedova, si mette a curiosare dove non dovrebbe e scopre: una casa che non sapeva di avere; il mistero di una collana; un complotto internazionale con Napoleone; una montagna di debiti. 
In tutti i casi, anziché lasciare l'indagine alle opportune autorità, decide di investigare imbattendosi in uno gnokko da paura che, in qualche modo, riuscirà a coinvolgere nel suo piano suicida mettendo a rischio se stessa, lo gnokko e la patria e rischiando, all'ultimo stadio, di far scoppiare una crisi internazionale. A me ricordano come “ossatura” i romanzi di un’altra autrice americana, Jayne Ann Krentz, conosciuta anche come Jayne Castle, Stephanie James, Amanda Quick, Jayne Bentley, Amanda Glass e Jayne Taylor, californiana, classe 1948. Leggere per credere.
In seguito la nostra protagonista di turno scopre che: si trattava di una festa di compleanno a sorpresa e ha appena rovinato il party di King George; il marito/padre/fratello di lei era stato raggirato e non ha mai contratto tanti debiti; l'uomo di cui si è innamorata durante la vicenda ha le conoscenze adatte al Ministero della Guerra per metterci una pezza.
Grazie all’ingenuità di certe fanciulle di inizio secolo, questo tipo di eroina pare spopolasse nelle librerie. Io le ho soprannominate Piaghe. Piaga di solito è bella, spiritosa, interessante. A volte è un’ereditiera, a volte poverissima ma ciò non cambia il succo della vicenda. Spesso Piaga ha a che fare con sorelle esuberanti, desiderose di scappare sul continente con l'uomo sbagliato, infatti le storie sono tutte ambientate quando il Continente era invaso da Napoleone. Se Piaga non ha sorelle, ha qualche fratello stile Piccolo Lord, a cui deve garantire un futuro. Il primo passo di Piaga è di mettersi nei guai e, mentre è nei pasticci o cerca di uscirne, incontra Piaga 2, l'eroe, il Lui che stavamo aspettando.
Gli eroi della Darcy sono proprio d'altri tempi: non se ne fanno più (meno male). Sono avvenenti secondo il senso comune del primo Novecento, indossano abiti costosi, hanno due o tre titoli altisonanti, sono pettinati con raffinatezza. Insomma, eroi scavezzacollo che però, paragonati a Piaga, possiedono un po’ di buonsenso e istinto di conservazione. Piaga e Piaga 2, in qualunque situazione, si guarderanno negli occhi, prenderanno atto di dettagli irrilevanti (lei ha un neo sul lobo sinistro, lui una piccola abrasione al polso destro) e tra loro scatterà una scintilla più luminosa della pila di Volta. Magari accadrà dopo duecento pagine, ma il colpo di fulmine, vero protagonista silente dell'autrice, è immancabile: un nanosecondo e... zac! Piaga 2 è andato. Peggio del virus dell’influenza.
La parte del colpo di fulmine è un po' noiosa, la Darcy si perde in descrizioni inutili che, anziché pervadere la scena di romanticismo, portano il  lettore alla narcolessia e, a volte, mi fanno lo stesso effetto delle scene di canto e danza dei musical (che detesto): prego che finiscano il prima possibile.
Gli sguardi tra Piaga e Piaga 2 sono il massimo dell’intimità e non mi spiego il perché, visto che all'epoca scriveva pure D'Annunzio, che di perversioni non se ne lasciava scappare neanche una. Strano, vero? In ogni caso, grazie alla brillante cooperazione tra le due Piaghe, il guaio scelto nel plot viene risolto e alla fine convoleranno a giuste nozze, parentado schierato tra giubilo e tripudio per la coppia che, al culmine della gioia, si bacerà sotto un romantico arco di rose/portale di pietra/giardino cittadino/casa storica.
Questa è la trama dei circa quindici libri che la Darcy ha pubblicato in trent'anni di carriera. So che raccontata così sembra un'autrice mediocre, in realtà manca solo di fantasia ma credetemi, ho letto di peggio anche in libri più moderni. Un’ultima notazione da segnalarvi: le copertine dei suoi libri, a differenza di quelle moderne in computer grafica, con espressioni ebeti e pose innaturali, sono autentici capolavori, in particolare l'edizione americana della Darcy vanta splendide pitture di Allan Kass, una delle mie preferite è quella del libro intitolato Cressida. Da come ho descritto i suoi libri capisco che non siate entusiaste di leggerla ma va ascritta anche lei, con le sue opere, alla storia del Romance e alla sua evoluzione, e ci aiuterà a capire molto di ciò che si scrive oggi.



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Published on December 28, 2015 13:08