CAPITOLO DIECI
La sveglia suona all’una della notte.
Mi strofino gli occhi e premo ripetutamente il dito sul tastino della sveglia, prima che il rumore fastidioso cessi. Sono andata a letto alle sette della sera, per dormire abbastanza, eppure mi sembra d’essermi addormentata da nemmeno cinque minuti.
Sbuffo e già immagino che Remo sia nel garage, ad aspettarmi e scaldare il motore. Figurati, non sarà nemmeno andato a dormire, abituato ai suoi ritmi serrati da imperturbabile sicario.
Mi giro e rigiro tra le coperte: devo presentarmi alle due nel garage, ho ancora qualche minuto per riposare gli occhi ed essere più carica. Forte di questo pensiero, mi rannicchio contro il cuscino e sorrido nel pensarmi più furba di Remo.
Devo essermi appisolata, però, più di qualche minuto, perché quando apro gli occhi la sveglia indica che mancano dieci minuti alle due. Impreco sottovoce e mi alzo di scatto, ritrovandomi stordita dal movimento brusco, mentre la testa inizia a girare come una trottola.
Sono proprio una stupida, contando sull’idea di non dovermi vestire in chissà quale modo particolare, o quanto meno elegante, ho creduto d’essere più intelligente.
Stupida, Tati, tuo padre non si perderebbe mai in queste sciocchezze…
“Fai con comodo, figurati”.
Sono così rimbambita che mi sembra perfino di sentire la voce di Remo.
Mi passo una mano sul viso e rimango ferma, per bloccare il mondo che gira nella stanza. Quando riapro gli occhi, una figura sfumata si delinea velocemente sulla poltrona davanti alla finestra e la luce del cielo, unita a quella della lampadina a parete, mi restituisce la figura di Remo, seduto a osservarmi con aria truce.
Sobbalzo e arretro di qualche passo, facendo scricchiolare le doghe di legno del pavimento sotto i piedi. “Cosa… come ti permetti?”
Che ci fa nella mia camera e con che faccia tosta è entrato senza nemmeno bussare. E, soprattutto, perché mi stava osservando e… da quanto tempo poi?
Remo si alza, sfiorando con i capelli il tetto a mansarda e per poco non picchia la testa sulle travi. Lascia scivolare sulla poltrona il cuscino che teneva sulle gambe e rimane lì, fermo, ad osservarmi. “Posso permettermi qualsiasi cosa, Tatiana. Ora preparati, la mia pazienza è capace di esaurirsi in pochi secondi”.
Lo guardo male. “Sono ancora in tempo per l’appuntamento delle due” ribatto indicando la sveglia sul comodino. “Se tu non fossi qui, adesso non avrei perso tutto questo tempo”.
Lui solleva il braccio e guarda l’orologio con tutta calma, quindi solleva un sopracciglio. “Allora sarebbe meglio non perdere un altro minuto, non trovi?”
Annuisco, però poi scuoto la testa rendendomi conto del suo tono. Vorrei rispondere allo stesso modo, almeno, ma non lo faccio o gliela darei vinta, sprecando solo del tempo prezioso e non voglio di certo deludere papà. Già so che Remo riferirà tutto, ovviamente.
Tanto vale cercare di recuperare agli errori.
Siccome immagino non sarà una prova facile, quella nella foresta, volevo almeno organizzarmi bene, indossare qualcosa di caldo e impiegare del tempo per evitare di stare male dopo, ma in fin dei conti nemmeno i cadetti di mio padre hanno tutto questo lusso, quindi perché io dovrei essere l’eccezione? Mi riduco ad affondare con tutto il corpo nell’armadio, mandandolo all’aria.
Non sono mai uscita di notte, o almeno non nella foresta. E immagino perfettamente quanta umidità e quanto gelo impregnerà l’aria.
Lancio un’occhiata a Remo per fargli capire che è meglio che si giri, visto che devo cambiarmi, ma lui rimane lì. Anzi, si accomoda nuovamente sulla poltrona, facendo cadere con assoluta calma e maleducata disinvoltura il cuscino sul pavimento, per poi sistemarsi comodo, stendendo addirittura le gambe avanti a sé.
“Potresti… uscire per favore?”
Lui mi fissa senza dire niente.
“Così che io possa cambiarmi?”
Remo sogghigna. “Credi che mi possa interessare il corpo della figlia del mio capo?”
La sua domanda mi lascia sospesa. Non capisco come reagire alle sue parole: sono indecisa se rimanere offesa o se lasciarmele scivolare di dosso. Non ci sarebbe motivo per offendersi, in fondo lui non è nessuno per me, eppure, una parte di me, reagisce a questo commento, sentendosi insicura, mediocre, invisibile.
“Sto tentando di insegnarti a spingerti oltre i tuoi limiti” aggiunge con voce serafica, come se fosse un rimprovero.
Deglutisco e lo fisso per qualche secondo: io non sono un sicario come lui, non ho bisogno degli stessi trattamenti che hanno riservato a lui. Non mi importa se è stato spogliato o meno di fronte a un teatro di persone per superare l’imbarazzo, a me non spetta il futuro da esecutrice. Ma quello di condottiero…
Però… ripensandoci… Sbuffo. Mio padre ha sicuramente ragione: devo essere forgiata e tutto questo fa parte della “recita”.
Remo si alza e viene verso di me. “Se non riesci a spogliarti di fronte a un uomo, cosa farai in una situazione in cui dovrai superare l’imbarazzo per salvarti?”
Arretro di qualche passo e gli lancio un’occhiataccia. “Non credo mi troverò mai in una situazione simile”.
Lui dà uno sguardo alla mia sveglia e sorride. “Stai perdendo tempo”. Sbuffa e si appoggia al muro, ficcando le mani nelle tasche dei pantaloni cargo. “Non credo che tuo padre sarà molto soddisfatto, quando domani gli dirò della tua mancanza di disciplina”.
Ha appena toccato un tasto dolente.
Sa benissimo che il mio rispetto nei confronti di papà è totale e che il suo onore per me è più importante di qualsiasi altra cosa. Lo sa perché vale lo stesso per lui. Glielo leggo negli occhi ogni volta che lo vedo eseguire un ordine di mio padre, o addestrare gli uomini al campo e nel capanno. Sono un ordine, quindi? Un compito da eseguire… non una persona capace di provare imbarazzo o emozioni.
Prima me lo metto in testa, meglio sarà per me.
Bene, a lui non interessa niente di me, quindi non gli interesserà niente del mio corpo, l’ha detto proprio poco fa.
Non ho mai provocato un uomo che non fosse il mio ragazzo. Non siamo cresciute per diventare delle dee fatali. Ma Remo ha ragione: perché non spingermi oltre il limite?
Faccio per levarmi la canottiera, quando mi blocco d’improvviso nel ricordarmi che alle mie spalle c’è Remo e che non indosso il reggiseno per dormire. Lo guardo di sottecchi da dietro la spalla e lui sbuffa, impaziente.
Quando mi sfilo la canottiera, ho i brividi sulla pelle. Socchiudo la bocca e fisso lo sguardo sul pavimento, mentre sento Remo alle mie spalle sistemarsi comodo. I miei capezzoli, per il freddo, si inturgidiscono e iniziano a tirare, consapevoli dell’imbarazzo che mi imporpora le guance.
Non so cosa voglio ottenere, forse voglio solo tentare di provocarlo.
Ma in ogni caso, tutto questo è tremendamente nuovo per me. Deglutisco, terrorizzata e sconvolta allo stesso tempo dalla mia audacia: sentire il suo sguardo nelle docce mi ha umiliata, poiché non gli avevo dato il permesso di guardarmi, ma ora sto quasi decidendo io.
Voglio procedere con questo mio gioco e allo stesso tempo fuggire via. Sia per la sensazione di freddo che per l’imbarazzo, mi tremano le mani mentre mi scosto i capelli e li lascio cadere in lunghi boccoli sui miei seni, fino a coprirli. Avverto il mio respiro incastrarsi nella gola, il gelo è caduto nella stanza e ora ha preso le sembianze di un mostro che mi strizza la gola.
Le mani non riescono a smettere di tremare e il cuore a battere, e impazzisce quando lascio cadere a terra anche i pantaloni del pigiama. I miei glutei, esposti a lui e coperti dal sottile strato delle mutandine, si contraggono quando percepisco lo sguardo di Remo su di me. Il gelo serra i suoi artigli intorno alle mie ossa e sussulto quando sento le doghe del pavimento scricchiolare.
Dei passi alle mie spalle… una presenza calda e massiccia sempre più vicina… il mio cuore accelera con la stessa potenza con cui continuano a scricchiolare le doghe di legno.
Il sangue mi pulsa nelle orecchie, corre nelle vene e una sensazione estrema, carnale, serpeggia tra le mie cosce e mi fa irrigidire. Non faccio in tempo a voltarmi, che le mani calde di Remo mi sfiorano la pelle della schiena, facendomi trasalire. Sgrano gli occhi nell’avvertirlo così vicino e presente, così caldo e umano contro di me. Le sue dita toccano la mia pelle mentre il mio respiro stride in un suono strozzato.
Non emetto una parola, sono completamente ammutolita dalla trappola che pensavo di riservargli, ma che mi si è ritorta contro. Rapita dal suo calore e dalla durezza delle sue mani, così tanto grandi e forti da potermi afferrare e ribaltare, mi sembra surreale quando i suoi palmi si aprono sulle mie braccia e le sue dita mi sfiorano la parte laterale dei seni.
“Madre Siberia”. Una preghiera sussurrata scivola dalle mie labbra e chiudo gli occhi, scongiurando silenziosamente Remo di lasciarmi andare. Aveva detto che non gli importa della figlia del capo clan, che il mio corpo non gli interessa.
E ora sono confusa dall’idea che la mia provocazione abbia sortito effetto…
Deglutisco e socchiudo le labbra, mentre curiosa, da sopra la spalla, lo osservo carezzarmi le braccia con tocco deciso. Le sue dita scivolano fino ai miei polsi e passa i polpastrelli sulle mie vene pulsanti, deliziandosi nel riconoscere che non sono affatto insensibile. Un respiro strozzato mi fa tremare il petto nel sentire che, con una mano, invece, risale fino a sfiorare di nuovo il seno e si ferma alla base del mio collo.
In un gesto repentino, mi fa voltare verso lo specchio sopra la cassettiera. I nostri corpi urtano il mobile e le matrioske sul ripiano tremano insieme a me, minacciando quasi di cadere. Un vortice di stelle e delirio mi gira intorno quando Remo serra la mano intorno al mio collo e mi obbliga a guardarci nel riflesso, mentre un sorrisetto scaltro si stampa sul suo volto.
“Sono capace di resistere a qualsiasi provocazione”. Le sue labbra si avvicinano al mio orecchio, ma il suo sguardo è incatenato al mio nello specchio. “Anche di fronte al corpo nudo di una bella donna”.
Inspiro profondamente ed emetto un lieve singulto. Il suo addome preme contro la mia schiena, le sue ginocchia sono piegate e mi obbligano quasi ad inginocchiarmi sul pavimento. È pronto a farmi il lavaggio del cervello.
Mi afferra il polso e lo posiziona bene sul mobile, spazzando via da un lato le matrioske a cui tanto tengo. Lo fa con cattiveria e per un attimo vorrei infuriarmi per la paura che si rompano, ma un’altra sensazione sopraggiunge, quella d’essere stata bloccata del tutto. Con il palmo premuto ancora contro la trachea, le dita mi afferrano il mento e mi tengono ferma.
Fa male. Ho dolore ovunque.
“Presto diventerai brava e obbediente, e presto non verrai più considerata un inutile oggetto per il diletto dell’uomo, ma una figlia onorevole e meritevole di questo posto nel clan”.
Corrugo la fronte: le sue parole mi squarciano il petto.
“E ora sbrigati, non ho più tempo da perdere”.
Addestramento siberiano
Mi strofino gli occhi e premo ripetutamente il dito sul tastino della sveglia, prima che il rumore fastidioso cessi. Sono andata a letto alle sette della sera, per dormire abbastanza, eppure mi sembra d’essermi addormentata da nemmeno cinque minuti.
Sbuffo e già immagino che Remo sia nel garage, ad aspettarmi e scaldare il motore. Figurati, non sarà nemmeno andato a dormire, abituato ai suoi ritmi serrati da imperturbabile sicario.
Mi giro e rigiro tra le coperte: devo presentarmi alle due nel garage, ho ancora qualche minuto per riposare gli occhi ed essere più carica. Forte di questo pensiero, mi rannicchio contro il cuscino e sorrido nel pensarmi più furba di Remo.
Devo essermi appisolata, però, più di qualche minuto, perché quando apro gli occhi la sveglia indica che mancano dieci minuti alle due. Impreco sottovoce e mi alzo di scatto, ritrovandomi stordita dal movimento brusco, mentre la testa inizia a girare come una trottola.
Sono proprio una stupida, contando sull’idea di non dovermi vestire in chissà quale modo particolare, o quanto meno elegante, ho creduto d’essere più intelligente.
Stupida, Tati, tuo padre non si perderebbe mai in queste sciocchezze…
“Fai con comodo, figurati”.
Sono così rimbambita che mi sembra perfino di sentire la voce di Remo.
Mi passo una mano sul viso e rimango ferma, per bloccare il mondo che gira nella stanza. Quando riapro gli occhi, una figura sfumata si delinea velocemente sulla poltrona davanti alla finestra e la luce del cielo, unita a quella della lampadina a parete, mi restituisce la figura di Remo, seduto a osservarmi con aria truce.
Sobbalzo e arretro di qualche passo, facendo scricchiolare le doghe di legno del pavimento sotto i piedi. “Cosa… come ti permetti?”
Che ci fa nella mia camera e con che faccia tosta è entrato senza nemmeno bussare. E, soprattutto, perché mi stava osservando e… da quanto tempo poi?
Remo si alza, sfiorando con i capelli il tetto a mansarda e per poco non picchia la testa sulle travi. Lascia scivolare sulla poltrona il cuscino che teneva sulle gambe e rimane lì, fermo, ad osservarmi. “Posso permettermi qualsiasi cosa, Tatiana. Ora preparati, la mia pazienza è capace di esaurirsi in pochi secondi”.
Lo guardo male. “Sono ancora in tempo per l’appuntamento delle due” ribatto indicando la sveglia sul comodino. “Se tu non fossi qui, adesso non avrei perso tutto questo tempo”.
Lui solleva il braccio e guarda l’orologio con tutta calma, quindi solleva un sopracciglio. “Allora sarebbe meglio non perdere un altro minuto, non trovi?”
Annuisco, però poi scuoto la testa rendendomi conto del suo tono. Vorrei rispondere allo stesso modo, almeno, ma non lo faccio o gliela darei vinta, sprecando solo del tempo prezioso e non voglio di certo deludere papà. Già so che Remo riferirà tutto, ovviamente.
Tanto vale cercare di recuperare agli errori.
Siccome immagino non sarà una prova facile, quella nella foresta, volevo almeno organizzarmi bene, indossare qualcosa di caldo e impiegare del tempo per evitare di stare male dopo, ma in fin dei conti nemmeno i cadetti di mio padre hanno tutto questo lusso, quindi perché io dovrei essere l’eccezione? Mi riduco ad affondare con tutto il corpo nell’armadio, mandandolo all’aria.
Non sono mai uscita di notte, o almeno non nella foresta. E immagino perfettamente quanta umidità e quanto gelo impregnerà l’aria.
Lancio un’occhiata a Remo per fargli capire che è meglio che si giri, visto che devo cambiarmi, ma lui rimane lì. Anzi, si accomoda nuovamente sulla poltrona, facendo cadere con assoluta calma e maleducata disinvoltura il cuscino sul pavimento, per poi sistemarsi comodo, stendendo addirittura le gambe avanti a sé.
“Potresti… uscire per favore?”
Lui mi fissa senza dire niente.
“Così che io possa cambiarmi?”
Remo sogghigna. “Credi che mi possa interessare il corpo della figlia del mio capo?”
La sua domanda mi lascia sospesa. Non capisco come reagire alle sue parole: sono indecisa se rimanere offesa o se lasciarmele scivolare di dosso. Non ci sarebbe motivo per offendersi, in fondo lui non è nessuno per me, eppure, una parte di me, reagisce a questo commento, sentendosi insicura, mediocre, invisibile.
“Sto tentando di insegnarti a spingerti oltre i tuoi limiti” aggiunge con voce serafica, come se fosse un rimprovero.
Deglutisco e lo fisso per qualche secondo: io non sono un sicario come lui, non ho bisogno degli stessi trattamenti che hanno riservato a lui. Non mi importa se è stato spogliato o meno di fronte a un teatro di persone per superare l’imbarazzo, a me non spetta il futuro da esecutrice. Ma quello di condottiero…
Però… ripensandoci… Sbuffo. Mio padre ha sicuramente ragione: devo essere forgiata e tutto questo fa parte della “recita”.
Remo si alza e viene verso di me. “Se non riesci a spogliarti di fronte a un uomo, cosa farai in una situazione in cui dovrai superare l’imbarazzo per salvarti?”
Arretro di qualche passo e gli lancio un’occhiataccia. “Non credo mi troverò mai in una situazione simile”.
Lui dà uno sguardo alla mia sveglia e sorride. “Stai perdendo tempo”. Sbuffa e si appoggia al muro, ficcando le mani nelle tasche dei pantaloni cargo. “Non credo che tuo padre sarà molto soddisfatto, quando domani gli dirò della tua mancanza di disciplina”.
Ha appena toccato un tasto dolente.
Sa benissimo che il mio rispetto nei confronti di papà è totale e che il suo onore per me è più importante di qualsiasi altra cosa. Lo sa perché vale lo stesso per lui. Glielo leggo negli occhi ogni volta che lo vedo eseguire un ordine di mio padre, o addestrare gli uomini al campo e nel capanno. Sono un ordine, quindi? Un compito da eseguire… non una persona capace di provare imbarazzo o emozioni.
Prima me lo metto in testa, meglio sarà per me.
Bene, a lui non interessa niente di me, quindi non gli interesserà niente del mio corpo, l’ha detto proprio poco fa.
Non ho mai provocato un uomo che non fosse il mio ragazzo. Non siamo cresciute per diventare delle dee fatali. Ma Remo ha ragione: perché non spingermi oltre il limite?
Faccio per levarmi la canottiera, quando mi blocco d’improvviso nel ricordarmi che alle mie spalle c’è Remo e che non indosso il reggiseno per dormire. Lo guardo di sottecchi da dietro la spalla e lui sbuffa, impaziente.
Quando mi sfilo la canottiera, ho i brividi sulla pelle. Socchiudo la bocca e fisso lo sguardo sul pavimento, mentre sento Remo alle mie spalle sistemarsi comodo. I miei capezzoli, per il freddo, si inturgidiscono e iniziano a tirare, consapevoli dell’imbarazzo che mi imporpora le guance.
Non so cosa voglio ottenere, forse voglio solo tentare di provocarlo.
Ma in ogni caso, tutto questo è tremendamente nuovo per me. Deglutisco, terrorizzata e sconvolta allo stesso tempo dalla mia audacia: sentire il suo sguardo nelle docce mi ha umiliata, poiché non gli avevo dato il permesso di guardarmi, ma ora sto quasi decidendo io.
Voglio procedere con questo mio gioco e allo stesso tempo fuggire via. Sia per la sensazione di freddo che per l’imbarazzo, mi tremano le mani mentre mi scosto i capelli e li lascio cadere in lunghi boccoli sui miei seni, fino a coprirli. Avverto il mio respiro incastrarsi nella gola, il gelo è caduto nella stanza e ora ha preso le sembianze di un mostro che mi strizza la gola.
Le mani non riescono a smettere di tremare e il cuore a battere, e impazzisce quando lascio cadere a terra anche i pantaloni del pigiama. I miei glutei, esposti a lui e coperti dal sottile strato delle mutandine, si contraggono quando percepisco lo sguardo di Remo su di me. Il gelo serra i suoi artigli intorno alle mie ossa e sussulto quando sento le doghe del pavimento scricchiolare.
Dei passi alle mie spalle… una presenza calda e massiccia sempre più vicina… il mio cuore accelera con la stessa potenza con cui continuano a scricchiolare le doghe di legno.
Il sangue mi pulsa nelle orecchie, corre nelle vene e una sensazione estrema, carnale, serpeggia tra le mie cosce e mi fa irrigidire. Non faccio in tempo a voltarmi, che le mani calde di Remo mi sfiorano la pelle della schiena, facendomi trasalire. Sgrano gli occhi nell’avvertirlo così vicino e presente, così caldo e umano contro di me. Le sue dita toccano la mia pelle mentre il mio respiro stride in un suono strozzato.
Non emetto una parola, sono completamente ammutolita dalla trappola che pensavo di riservargli, ma che mi si è ritorta contro. Rapita dal suo calore e dalla durezza delle sue mani, così tanto grandi e forti da potermi afferrare e ribaltare, mi sembra surreale quando i suoi palmi si aprono sulle mie braccia e le sue dita mi sfiorano la parte laterale dei seni.
“Madre Siberia”. Una preghiera sussurrata scivola dalle mie labbra e chiudo gli occhi, scongiurando silenziosamente Remo di lasciarmi andare. Aveva detto che non gli importa della figlia del capo clan, che il mio corpo non gli interessa.
E ora sono confusa dall’idea che la mia provocazione abbia sortito effetto…
Deglutisco e socchiudo le labbra, mentre curiosa, da sopra la spalla, lo osservo carezzarmi le braccia con tocco deciso. Le sue dita scivolano fino ai miei polsi e passa i polpastrelli sulle mie vene pulsanti, deliziandosi nel riconoscere che non sono affatto insensibile. Un respiro strozzato mi fa tremare il petto nel sentire che, con una mano, invece, risale fino a sfiorare di nuovo il seno e si ferma alla base del mio collo.
In un gesto repentino, mi fa voltare verso lo specchio sopra la cassettiera. I nostri corpi urtano il mobile e le matrioske sul ripiano tremano insieme a me, minacciando quasi di cadere. Un vortice di stelle e delirio mi gira intorno quando Remo serra la mano intorno al mio collo e mi obbliga a guardarci nel riflesso, mentre un sorrisetto scaltro si stampa sul suo volto.
“Sono capace di resistere a qualsiasi provocazione”. Le sue labbra si avvicinano al mio orecchio, ma il suo sguardo è incatenato al mio nello specchio. “Anche di fronte al corpo nudo di una bella donna”.
Inspiro profondamente ed emetto un lieve singulto. Il suo addome preme contro la mia schiena, le sue ginocchia sono piegate e mi obbligano quasi ad inginocchiarmi sul pavimento. È pronto a farmi il lavaggio del cervello.
Mi afferra il polso e lo posiziona bene sul mobile, spazzando via da un lato le matrioske a cui tanto tengo. Lo fa con cattiveria e per un attimo vorrei infuriarmi per la paura che si rompano, ma un’altra sensazione sopraggiunge, quella d’essere stata bloccata del tutto. Con il palmo premuto ancora contro la trachea, le dita mi afferrano il mento e mi tengono ferma.
Fa male. Ho dolore ovunque.
“Presto diventerai brava e obbediente, e presto non verrai più considerata un inutile oggetto per il diletto dell’uomo, ma una figlia onorevole e meritevole di questo posto nel clan”.
Corrugo la fronte: le sue parole mi squarciano il petto.
“E ora sbrigati, non ho più tempo da perdere”.
Addestramento siberiano
Published on December 28, 2022 09:35
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