Predator: Badlands
Regia – Dan Trachtenberg (2025)
Nell’ultima decina d’anni, o giù di lì, abbiamo vissuto lo strano paradosso per cui i grandi blockbuster diventavano ogni giorno più puerili, mentre mancava una vera e propria offerta, in un mercato saturo di supereroi, di cinema per ragazzi, animazione esclusa, ovviamente.
Non è un discorso nostalgico, il mio, ma è vero che, neanche troppo tempo fa, esisteva una grossa fetta di film dedicati a un pubblico molto giovane, godibili anche dagli adulti che fungevano da accompagnatori, e responsabili della formazione cinematografica di più di una generazione. Erano film d’avventura, film di fantascienza, a volte persino film dell’orrore, e servivano ai bambini ad avvicinarsi alla bellezza del grande schermo e a cominciare a riconoscere i generi cinematografici.
Mi sembra che un film come Predator: Badlands faccia parte di questa categoria che credevo estinta, e sono felicissima della sua esistenza.
Vi presento il nuovo film preferito di mio nipote, visto in una sala strapiena di ragazzini in una domenica pomeriggio di metà autunno.
Badlands racconta di un giovane Yautja, Dek (), più piccolo e meno forte rispetto agli esemplari tipici della sua razza, che se ne va sul cosiddetto “pianeta della morte”, Genna, per uccidere il Kalisk, orrida e letale creatura, e così dimostrare di essere all’altezza del suo clan, attraverso il rito della caccia, quello a cui abbiamo assistito in ogni film della saga dal 1987 a oggi. La differenza, in questo caso, è il cambio radicale di prospettiva: Dek è infatti il nostro protagonista, e tutto il film brilla per l’assenza dell’elemento umano.
Oltre ai vari mostri che Dek incontra durante il suo coming of age, lo Yautja si imbatte in Thia (), una sintetica della Weyland-Yutani rimasta danneggiata proprio mentre la sua squadra (tutta formata da altri sintetici) cercava di catturare il Kalisk. I due dovranno unire le forze per trovare la tana del Kalisk e contrastare i loschi piani della Weyland-Yutani e di Tessa, la “gemella” di Thia.
Continuando a parlare di cambio di prospettiva, la struttura di Badlands è abbastanza simile a quella di Prey, sempre diretto da Trachtenberg nel 2022: anche lì c’era una giovane aspirante guerriera, considerata debole e inadatta al ruolo da parenti e amici, che partiva per un viaggio iniziatico allo scopo di provare il proprio valore.
La differenza, in Badlands, sta tutta nella scelta, a mio parere di portata quasi rivoluzionaria per il futuro non solo del franchise, ma della fantascienza in generale, di far compiere il percorso di crescita e di acquisizione della consapevolezza a una creatura non umana, da sempre percepita dal pubblico come antagonista. Mi si potrebbe obiettare che, in effetti, gli alieni con le treccine hanno stipulato alleanze con noi umani, per quanto transitorie e fragili, nei due Alien vs Predator, e questo è senz’altro vero: da un lato, rende più semplice il posizionamento del predator nell’alveo dei “buoni”, perché lo abbiamo già visto collaborare con noi in altre circostanze; dall’altro, questa collaborazione è sempre avvenuta, al cinema, all’insegna di una lotta contro un nemico comune, il molto meno addomesticabile xenomorfo. Se gli Yautja possiedono un codice di comportamento, per quanto brutale e draconiano, lo xenomorfo è sempre rimasto quel perfetto organismo “non offuscato da coscienza, rimorsi, o illusioni di moralità” del 1979. Almeno fino ad Alien: Earth, ma questa è un’altra storia ed è tutta in divenire.
Insomma, Predator la possibilità di diventare qualcosa di diverso da un semplice assassino alieno ce l’ha sempre avuta in potenza; ci voleva però coraggio a metterla in pratica.
Trachtenberg lo ha fatto avvalendosi del linguaggio tipico del cinema d’avventura per ragazzi, con una spruzzata di buddy movie nella relazione tra Dek e Thia, e ricordando un piccolo capolavoro del cinema di fantascienza degli anni ’80, mai troppo celebrato, ovvero Il Mio Nemico, di Wolfgang Petersen (che compie 40 anni proprio nel 2025, auguri!). In quel film, due soldati di opposti schieramenti, un umano e un alieno, si ritrovavano dispersi su un pianeta ostile e dovevano superare le reciproche diffidenze per tirarsi fuori dai guai. Era, proprio come Badlands, un PG13 e credo che un regista nato nel 1981 come Trachtenberg lo abbia avuto ben presente nello scrivere la sceneggiatura di questo suo terzo film del franchise. Petersen aveva un tono più serioso, ma l’operazione dietro a Badlands è ancora più estrema, perché ci obbliga a guardare il mondo con gli occhi di un alieno e di una sintetica, senza controparti umane ad aiutarci nel processo di identificazione.
Aiuta anche Trachtenberg a inserire nel suo film un body count altissimo e a non cadere tra le maglie della censura, dato che i morti ammazzati sono tutti sintetici.
È un film che abbatte i confini tra live action e animazione, come fanno moltissimi blockbuster contemporanei, a dire il vero, anche se in questo caso è studiato, intenzionale e fatto con criterio; c’è un amalgama perfetto tra effetti pratici e in post produzione, a partire proprio dalla resa di Dek, un attore in carne e ossa con un costume e una maschera, i cui movimenti facciali sono poi stati aggiustati in sede di VFX, ma la cui presenza in scena è concreta e tangibile.
Trachtenberg e tutti i suoi collaboratori hanno fatto un enorme lavoro su personaggi e ambientazione: ogni creatura ha una sua personalità e il pianeta Genna è, a sua volta, un’entità viva che si merita pienamente l’appellativo di Pianeta della Morte.
Dek, anche a causa del suo tanto criticato design meno aggressivo e (vi giuro, l’ho letto con i miei occhi) “mascolino” rispetto ai Predator precedenti, è molto espressivo, senza tuttavia essere mai davvero antropomorfizzato in maniera eccessiva; Thia è una spalla eccezionale, con il suo entusiasmo e la sua curiosità nei confronti del mondo che la circonda, la sua continua ricerca di comunicazione, il suo sguardo privo di pregiudizio.
La dinamica da buddy movie tra i due protagonisti è il cuore del film, il suo centro emotivo, intorno al quale si salda tutto il resto.
Criticare Badlands per quella che è la sua natura, ovvero cinema per ragazzi, è del tutto lecito (ci sono persino gli animaletti carini che fanno le facce buffe con gli occhioni dolci): anche io preferisco Prey e Killer of Killers, perché alla mia età vado in cerca di narrazioni più mature. E tuttavia, a mio avviso, è anche pretestuoso, perché la ragion d’essere del film è quella di rivolgersi a un pubblico che, da un Predator tradizionale, verrebbe automaticamente escluso.
Non c’entra la Disney, perché anche Prey nasce sotto l’egida della Disney, c’entra la volontà precisa di espandere la portata di una saga molto amata, ma sempre rimasta un po’ in ombra. Se questo sia il metodo giusto ce lo diranno gli incassi, che fino a ora sono ottimi.
Per quanto mi riguarda, credo sia un bene se un film come Badlands fa avvicinare una nuova generazione a queste stupende creature, se la spinge a esplorare un cinema meno convenzionale e se le trasmette l’amore che Trachtenberg ha dimostrato nei confronti degli Yautja e della loro lore, rispettata con devozione maniacale, anche in questa incursione di Predator nei territori dei film per tutta la famiglia.
Se vogliamo sangue e sgozzamenti, ne abbiamo a profusione nei sei film precedenti; Badlands è un po’ diverso da ciò a cui siamo stati abituati con Predator, ma non è affatto una cosa negativa.
Recensione di Fabrizio: “È il film più bello che abbia mai visto, zia, e questo è il pomeriggio più bello della mia vita. Ma secondo te, Dek lo sconfiggerebbe Godzilla?”
Ai posteri l’ardua sentenza.


