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Mille splendidi soli
Mille Splendidi Soli
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Soli o Nubi?
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Fuori dalla finestra una nebbia fitta e intensa. Come un’onda di luce esausta confonde i profili delle case. Le foglie delle querce e dei castagni sembrano quasi irritare i loro caldi colori autunnali.
Mi soffermo a guardare e lei è ancora lì. Indugia.
Mi comunica torpore, malinconia, tedio, indolenza ma anche una rabbia lenta, contagiosa che non sa trovare pace né spiragli, costretta ad accumulare il suo grigiore e non sfruttare i suoi accumuli di energia.
Non sembra essere lì per caso. Suggestione? Forse… ma si presta bene ad assorbire le sensazioni che hanno accompagnato me e anche altri lettori leggendo l’ultimo libro scelto dal GdL "Chiave di Lettura" "Mille splendidi soli” di Khaled Hosseini. Decido di accogliere queste sensazioni per riflettere sulle parole e la storia di questo testo del 2007, il secondo successo dell'autore afghano dopo “Il Cacciatore di aquiloni” che lo aveva fatto conoscere al grande pubblico.
In verità, non è la prima volta che leggiamo un romanzo di questo scrittore e medico; ne avevamo già ammirato lo stile in “L’eco rispose” con «quella dote di oralità che sembra accorciare le distanza tra chi racconta e chi ascolta».
Hosseini, figlio di un diplomatico e di un'insegnante, dopo aver vissuto la sua infanzia a Kabul, dal 1980 ha ottenuto asilo politico in seguito all'arrivo dei sovietici, e oggi vive negli Stati Uniti.
“Mille splendidi soli”, trae il titolo dai versi del poeta Saib-Tabrizi che nel XVII sec. scrisse a proposito di Kabul:
«Non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti, né i mille splendidi soli che si nascondono dietro i suoi muri.»
Protagoniste del romanzo sono Mariam e Laila, due donne afghane. Mariam è una harami, figlia illegittima. Relegata in una capanna, nei dintorni di una desolante Herat, attende con ansia l’arrivo del padre facoltoso che una volta a settimana le parla di poeti e giardini meravigliosi, di film e razzi che atterrano sulla Luna. Non le viene permesso di andare a scuola e a soli quindici anni viene data in sposa a Raschid, un uomo molto più grande di lei. Condurrà una vita fatta di paura di annullamento totale dietro le grate del burqa. Laila che viene da una famiglia dalla mentalità aperta dopo varie sventure si ritroverà a vivere sotto lo stesso tetto di Mariam. Inizialmente fra le due donne ci sarà una profonda avversione, ma con il passare del tempo impareranno a convivere e a diventare indispensabili l'una per l'altra.
Mariam, dopo quasi una vita di soprusi e sofferenze ucciderà Raschid, venendo condannata a morte ma permettendo a Laila di trasferirsi insieme al suo amore d’infanzia in Pakistan e diventare così insegnante in un orfanotrofio.
Dietro le loro vicende si muove la storia dell’Afghanistan dagli anni Settanta. Hosseini ci fa conoscere l'occupazione dei sovietici e la loro ritirata, poi il regime dei mujadehhin e la presa del potere da parte dei talebani con il loro regime fondato sulla legge islamica e rigide regole (vietato ascoltare musica, vedere film, vietato far volare gli aquiloni, proibire ogni forma d'arte e in genere tutto ciò che proviene dall'Occidente). È davvero molto impressionante leggere i loro comunicati trasmessi su ogni pick up, nelle moschee e trasmesso alle radio sulle leggi dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan (cfr. pp. 288-289).
La Storia vera, quella con la S maiuscola, entra prepotentemente nel romanzo che termina con un Afghanistan invaso in seguito agli attentati dell'11 settembre 2001 e il rifiuto da parte dei talebani di consegnare Osama Bin Laden agli Stati Uniti d'America. La superiorità militare statunitense, come sappiamo, consentì di riconquistare Kabul e nell'arco di tre mesi di instaurare un governo di transizione guidato da Hamid Karzai.
Il romanzo, in fondo, termina con un messaggio di speranza in un futuro migliore, con le strade di Kabul brulicanti di risciò, camion delle Nazioni Unite, dove la gente ridipinge vecchie case e dove i gusci vuoti dei razzi dei mujaheddin diventano vasi per fiori.
Fuori dalla mia finestra, tuttavia, c’è ancora una nebbia fitta e intensa. Si trattiene dietro profili che non riconosco.
«Dopo il rapido raggiungimento di significativi guadagni territoriali nel luglio e nell'agosto 2021 il paese è stato dominato dal movimento islamista radicale talebano, che il 19 agosto 2021 ha dichiarato la creazione di una nuova unità statale - l'Emirato islamico dell'Afghanistan, senza riconoscimento internazionale da parte di altri Stati. L'ultimo centro della resistenza anti-talebana, la provincia del Punjir, dove opera il Fronte di resistenza nazionale, è stata conquistata dai talebani all'inizio di settembre 2021.» (Fonte Wikipedia)
Forse vuole ricordarmi di quanto l’Afghanistan terra senza sbocco sul mare, abbia ancora oggi fra le mani una storia fin troppo tormentata e che spesso sia abbandonata al proprio triste destino.
Basterà come dice Laila alla fine del romanzo, tirare avanti e sperare perché alla fine non c’è altro da fare?
Non so rispondere… posso solo augurarmi e augurarvi buona vita e ricordarvi il prossimo appuntamento con il nostro Gruppo di Lettura, lunedì 25 ottobre, per discutere insieme “Uccelli da gabbia e da voliera” di Andrea De Carlo, alle ore 20.30 presso la nostra Biblioteca San Valentino
Recensione a cura di Arianna Pascetta