Flow my rain, said the cat

Due dei prodotti di media-non-scritti che mi hanno colpito di più nel corso di quest’anno sono un film e un videogioco, che hanno sorprendenti tratti in comune.

Il film è Flow, opera d’animazione dell’autore/regista/animatore lettone Gints Zilbalodis. È stato anche un piccolo caso perché pur essendo prodotto da uno studio minuscolo, con risorse ridicole rispetto agli standard dell’industria, ha sbaragliato la concorreza di colossi come Disney e Pixar e si è aggiudicato Golden Globe e Premio Oscar. Una vera storia di underdog… o meglio, undercat, perché Flow (titolo originale: Straume) è un film con protagonisti un gatto, e personaggi soltanto animali. Non animali parlanti o antropomorfizzati: semplici animali, che si comportano e interagiscono come tali. Flow segue il gattino nero protagonista che cerca di mettersi in salvo da un diluvio che sembra sommergere tutto il pianeta, e trova rifugio su una barchetta su cui si accumulano come improbabili compagni di viaggio altri animali: un capibara, un lemure, un golden retriever, un serpentario.

Il videogioco è Rain World, anch’esso prodotto indipendente sviluppato da un piccolo studio nel 2017, che non ha avuto lo stesso riconoscimento di Flow ma che negli anni si è guadagnato un suo piccolo ruolo di cult. In Rain World il giocatore interpreta una piccola creaturina chiamata slugcat, quindi “gatto-lumaca” (che in realtà per quanto ne sappiamo è una sorta di piccolo roditore), che rimane isolato dalla famiglia e deve attraversare un mondo pieno di pericoli squassato periodicamente da piogge torrenziali che allagano tutta la superficie e annegano tutte le creatur che non hanno trovato rifugio. Anche qui non ci sono esseri umani (o l’equivalente della specie senziente su questo pianeta) e tutto si basa sull’interazione tra lo slugcat e l’ecosistema che lo circonda, di cui esso occupa uno dei gradini più bassi nella catena alimetnare.

Già vediamo quindi la premessa simile: un piccolo animaletto sperduto in un mondo senza padroni, in cui l’acqua rappresenta una minaccia costante. Ma ci sono punti di contatto più profondi tra queste due opere, che forse mostrano una sensibilità comune di fondo.

Una delle cose che stupisce di più in entrambi è il senso di scala tra il protagonista e l’ambiente. Gatto e slugcat sono animali minuscoli in un mondo enorme e misterioso, che mostra le tracce di un’antica civiltà che ormai non c’è più. In Flow vediamo le enormi statue e le città che affiorano dall’acqua, in Rain World il difficile percorso attraversa complessi industriali, antenne paraboliche, ferrovie sotteranee (… e supercomputer organici, ma questo è un altro disorso). Di questo mondo immenso e manipolato, i protagonisti non sanno nulla: sono solo animali, non hanno la capacità di comprendere e dedurre che cosa è successo. Siamo solo noi spettatori/giocatori a chiederci che cosa c’è stato prima, che cosa è successo a chi abitava questo mondo. Nessuno dei due ci offre risposte precise: sappiamo solo che gli umani da una parte e i “benefattori” dall’altra (c’è una ragione per chiamarli così, ma non approfondiamo) se ne sono andati, a un certo punto, per qualche ragione.

Entrambi si concentrano sull’ambiente e l’ecosistema, mostrando le complicate relazioni tra le creature di un mondo che ha perso il suo equilibrio. Mandire di cervi in fuga e stormi di serpentari con la loro gerarchia da una parte, avvoltoi biomeccanici e tribù nomadi di cacciatori appassionati di parle dall’altra. Entrare in questi mondi significa per i gatti protagonisti osservarne le dinamiche e prendere nota di quali sono i pericoli, di quando è sicuro muoversi e quando ci si deve nascondere, da chi si può solo scappare e a chi si può azzardare a concedere fiducia.

C’è poi una componente mistica, che risuona in sottofondo in entrambe queste storie. Sia in Flow che in Rain World c’è un modo di lasciare questo mondo di sofferenza, e si può ascendere, salendo verso il cielo o scendendo nelle viscere della terra. L’ascensione, la liberazione dal piano materiale, non è un obiettivo chiaro, e non è detto che sia la soluzione per tutti. Non si può comprendere, e non è necessariamente un lieto fine. Ci sono creature delle profondità, leviatani e vermi, che sembrano custodire il segreto del mondo-dopo-il-mondo, ma anche qui, siamo troppo limitati per poterli comprendere davvero.

Infine c’è il viaggio, che non è né una storia di formazione né un arco eroico, perché un gatto o uno slugcat non sono eroi. Non saranno loro a salvare il mondo, sono solo animali, semplici piccoli animali, in cerca di un posto sicuro in cui stare. Ed è sorprendente quanto la prospettiva di una creaturina sola e innocua possa essere rivelatoria. Non c’è niente da imparare dal loro viaggio, ma forse per questo sembra così autentico: è l’esperienza pura, senza sovrastrutture e ricerche pareidoliche di significato.

Probabilmente questi paralleli sono a loro volta un esercizio forzato di pattern recognition, che dice molto più dell’occhio di chi guarda che delle intenzioni dei loro autori. Non è detto che possano avere lo stesso impatto su chiunque le osservi. Ma vedere la fine del mondo dalla prospettiva di un esserino che non la merita, ma nonostante questo fa del suo meglio per rimanere a galla nel diluvio, è stato sorprendentemente catartico.

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Published on August 21, 2025 02:01
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Andrea Viscusi
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