Andrea Viscusi's Blog: Unknown to Millions

November 22, 2025

Rapporto letture - Ottobre 2025

Sto leggendo meno del solito, perché per una serie di ragioni che hanno principalmente a che fare con Pharloom il mio interesse è stato diretto ad altro nell’ultimo periodo. Comunque il mio bottino l’ho portato a casa, anche se sono letture iniziare e protratte dai mesi prima.

Iniziamo con Spin che in realtà è un DNF, perché ho mollato questo libro circa a pagina 230, dopo averlo tenuto in ballo per un po’ con l’idea che lo avrei ripreso, e poi invece non l’ho più fatto e sto bene così. Avevo sentito parlare già da tempo di questo romanzo di Robert Charles Wilson, primo di una trilogia, che era uscito diversi anni fa per un editore che non aveva trovato grande fortuna e aveva interrotto la pubblicazione. Ripreso adesso da Urania, che pubblicherà anche i sequel, è stato un piccolo fenomeno, e sapevo di gente entusiasta per questo libro. Non è stato così per me. Anche se il concept è interessante, con la Terra che viene isolata all’interno di una “bolla temporale” mentre l’universo all’esterno invecchia a una velocità vertiginosa, la resa della storia e la scrittura monocorde mi hanno annoiato in maniera irreparabile. Interi capitoli costruiti solo per una minuscola nuova informazione, con un protagonista voce narrante che appare completamente privo di emotività, e continui depistaggi rispetto alla parte interessante della storia. Per curiosità sono andato a informarmi anche sulla soluzione del fenomeno spin, e la risposta mi ha irritato solo a saperla, figuriamoci se me la fossi trovata come un climax. Quindi per me rimane lì, abbandonato, e arrivederci.

Le malelingue dicono che io ce l’ho con Urania e dicono bene, però poi alla prova dei fatti ti leggo due Urania uno di seguito all’altro, e allora where is your god now? Da settembre in poi mi sono iniziato a leggere anche l’antologia Tecnologie del futuro perché visto che mi ci hanno pubblicato e si faceva delle presentazioni allora mi è parso opportuno. Come ho fatto quindi per tutte le precedenti “antologie italiane annuali” (tranne l’ultima, quella ancora non mi ci è rientrata sorry) procedo a lasciare un commento veloce per tutti i racconti. Quello di Paolo Aresi è un racconto gradevole anche se poco coinvolgente, e un sapore piuttosto retro anche nel modo in cui i personaggi interagiscono. Marco Passarello (anche curatore della raccolta) propone una piccola detection story con una coppia umano-robot che ricorda i racconti di Asimov, anche se c’è decisamente più azione e intesa tra i protagonisti, che funzionano molto bene. Wandercity di Lukha Kremo forse promette più di quanto mantiene, propone un concept interessante con le città semoventi, ma poi limita molto lo sviluppo della storia a una semplice fuga con tragedia. Serena Barbacetto ha usato forse una delle idee più interessanti, anche se lo svolgimento è un po’ farraginoso, e a volte i dettagli utilizzati per descrivere delle semplici azioni si protraggono in frasi lunghissime a bassa densità di informazioni; mi sarebbe piaciuto che spingesse più sulla parte umana della storia piuttosto che quella tecnica. Fabio Aloisio ha scritto probabilmente il mio preferito, una storia di colonizzazione nel futuro remoto con radici nel nostro presente e questioni morali profonde, con un potente nucleo emotivo. Franci Conforti propone un racconto un po’ ironico, che è una buona idea per un’antologia del genere, anche se forse manca una certa concretezza della storia, che si basa interamente su persone che parlano in stanze, nella miglior tradizione asimoviana. Cade nel passato la pioggia mi ha irritato dall’inizio alla fine, il racconto di Franco Ricciardiello mi è parso particolarmente inconcludente (anche rispetto allo spunto di ricerca su cui avrebbe dovuto basarsi), con un protagonista che è il re dei poser glocal chic, e che, naturalmente, se le scopa tutte. Fortuantamente Irene Drago rialza il tiro con il racconto più criptico della raccolta, che però riesce a declinare il rapporto tra arte, amore e perdita. Salvatore Sanfilippo è uno degli “esterni” al giro della scifi italiana (nonostante un romanzo pubblicato ascrivibile alla hard scifi) e paradossalmente il suo racconto mi ha ricordato proprio Spin di cui sopra per la costruzione e qualche affinità del concept, credo sia anche il più lungo della raccolta; nel complesso direi buono ma anche qui avrei gradito un po’ di personalità in più oltre a gente-che-spiega-cose. Dario De Marco, l’altro “esterno” tenta un esperimento metanarrativo con un racconto e un commento al racconto, e l’idea sarebbe buona, visto che riesce a concludersi anche con un twist gustoso, se non fosse che la parte iniziale, strutturata come chat tra due interlocutori, è fin troppo lunga e artificiosa, e anche se ha senso nell’economia della storia, rende comunque poco coinvolgente tutta la parte iniziale, rischiando di lasciare una brutta prima impressione. Poi c’è Alessandro Forlani, che vabbè, che te lo dico a fà, confeziona una storia angosciante sulla perdita della memoria e il tempo che ti si disfa tra le mani, che è comunque materia a lui molto affine visto che questa frammentazione della realtà si trova in molte sue storie. Infine, saltando l’infame Viscusi, si chiude con Alessandro Vietti che usa la formula delle interviste per raccontare vita e opere di un tizio qualunque col cuore luminoso, che sembra una cosa da niente, ma lui riesce a costruirci una parabola molto umana e credibile. Se devo dare un giudizio finale alla raccolta, comprese anche le interviste ai ricercatori, mi pare che il livello sia comunque buono, e dire che questa è forse la seconda migliore raccolta delle antologie italiane pubblicate da Urania negli ultimi anni (al netto di quella che non ho letto, che però ho sentito non essere granché). Bravə tuttə.

Sono l’unico autore Urania che commenta onestamente gli altri autorə Urania, mi merito la tua iscrizione, che dici?

La differenza tra amore e tempo si collocherebbe benissimo nel Tingleverse perché è la storia d’amore tra una donna e un concetto, in questo caso il continuum spazio-temporale, che si manifesta in diverse forme umane e non in diverse epoche nella vita della protagonista. Era il libro di cui avevo bisogno in questo periodo? Decisamente no. Ma sono riuscito ad apprezzare il messaggio di fondo, e anche l’ironia di Catherynne M. Valente, che invece mi era sembrata fuori fuoco ai tempi di Space Opera. Struggente quanto basta, confortevole senza cadere nella stucchevolezza. Alla fine mi ha fatto bene. Voto: 7.5/10

Elisabetta Venuti è un’autrice al suo primo romanzo pubblicato con Piuma, che ha voluto mandarmelo per farmelo leggere, attirandomi con la promessa di uno young adult con animali antropomorfi protagonisti, e io ci sono cascato. Disnomia è una storia per ragazzi molto classica, con la protagonista che vive in uan distopia (con la T) ma non se ne rende conto, e quando è costretta a lasciare i confini della sua città perfetta scopre il mondo esterno e le verità che le erano state precluse. Forse manca un po’ di agency nella parte centrale, in cui la protagonsita viene trascinata qua e là ma non ha un suo obiettivo, ma il messaggio di autodeterminazione e la scrittura efficace lo rendono comunque un buon libro per il suo target di pubblico. I riferimenti alla cultura giapponese mi hanno un po’ disorientato perché non sono così familiare con tutti i termini, ma d’altra parte era lo stesso effetto che hanno sulla protagonista, quindi ha funzionato. La storia non è completa, uscirà un sequel in cui, ho saputo, ci sarà finalmente un necessario title drop. Voto: 7/10

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on November 22, 2025 10:35

November 17, 2025

Strength in mind, in care, in claw

Non ho passato un bel periodo ultimamente. Dalla fine di agosto in poi, per questioni personali, fatica e frustrazione professionali, percepita impotenza di fronte ai mali del mondo, mi sono un po’… lasciato andare. Niente di grave, periodo di bassa marea, solo una delle più basse registrate. Qualcuno potrebbe aver notato che ho ridotto sensibilmente la mia presenza sui vari social: non pubblico su Youtube da mesi, e su Tiktok dove di solito mettevo due video al giorno, sono arrivato a uno-due a settimana.

Sto meglio ora, e tra i fattori che mi hanno aiutato a recuperare un po’ di stabilità ce n’è anche uno che non mi aspettavo: Silksong. Il sequel di Hollow Knight uscito provvidenzialmente il 4 settembre e che è stato per oltre due mesi il fulcro di ogni mia giornata. Hornet mi ha accompagnato, sostenuto, il viaggio in Pharloom mi ha aiutato a fare pace con alcune cose, e a trovarne altre nuove. Per questo ne vorrei parlare, non tanto del gioco in sé (di questo mi occuperò altrove) ma del mio rapporto con esso.

Da qui in poi potranno essere presenti spoiler su Silksong e Hollow Knight. Se avete intenzione di giocare uno o entrambi questi giochi, non proseguite oltre.

Silksong è un videogioco metroidvania, cioè un’avventura basata su esplorazione, platforming e combattimanto, sviluppato negli ultimi sette anni da uno studio composto da due sole persone. In quanto sequel dell’acclamatissimo Hollow Knight, da cui riprende ambientazione e protagonista, c’era grande aspettativa su questo titolo, che infatti è stato così richiesto che all’uscita ha fatto crashare per varie ore tutti i server degli store di videogame. In Silksong interpretiamo Hornet, principessa protettrice del regno di Hallownest, che avevamo conosciuto come boss/npc nel primo gioco, e che qui è stata rapita e portata nel vicino regno di Pharloom, e dopo essersi liberata dai rapitori cerca di scoprire chi l’ha cercata e cosa vuole da lei. Il gioco è molto lungo, vasto, e anche parecchio difficile, per spostamenti e combattimenti richiesti per avanzare. Molti giocatori (che forse non avevano nemmeno giocato a HK prima di questo) si sono lamentati di una difficoltà eccessiva, per alcuni insuperabile, e hanno abbandonato il gioco.

Io invece ho continuato proprio per questo.

Non ne faccio una questione di tenacia, e non mi considero migliore di chi l’ha mollato. Ognuno ha le sue aspettative sull’esperienza che deve ricavare da un gioco ed è libero di decidere quando è soddisfacente e quando frustrante. Per quanto mi riguarda però, la difficoltà di Silksong è stata quel tipo di sfida di cui avevo bisogno, perché non si trattava di una barriera inattaccabile, ma di un ostacolo che poteva essere affrontato con pazienza e determinazione, abbandonando la paura di fallire. Non è la prima volta che affronto giochi di questo tipo, e ne parlavo solo poco tempo fa in riferimento a Rain World, che è considerato a sua volta un gioco difficilissimo e spietato (a ragione, e direi molto più di Silksong). Quello che è successo qui per me è di sentirmi ricompensato per la mia calma e la curiosità: molte delle sezioni più difficili, che sono state accusate di essere barriere insormontabili, io le ho trovate sfidanti ma ragionevoli, perché le ho raggiunte con conocenze, esperienze e abilità che avevo accumulato nelle ore precedenti di gioco. E a parte un paio di casi, tutte le parti più difficili (fossero boss da battere, arene di nemici da superare, o sezioni di platform da attraversare) mi sono sembrate affrontabili, al punto che ogni volta che fallivo (morivo, cascavo, sbagliavo un salto) sapevo perfettamente qual era l’errore e avevo voglia di riprovarci. La mia dedizione e la mia capacità di apprendimento sono state valorizzate, e mi hanno portato a superare ostacoli che a prima vista mi erano sembrati impossibili per le mie abilità. (NB: io non sono un gamer professionista né particolarmente bravo, ho i tempi di reazione di una vongola, infatti ci ho messo 134 ore per arrivare al true ending col 99% di completamento; eppure, pure io ce l’ho fatta).

Questo per quanto riguarda il gameplay. Rispetto alla costruzione del gioco, ambientazioni, personaggi e musiche sono stati capaci in più di un’occasione di provocarmi delle scariche emotive pazzesche. Il viaggio in ascesa in questo regno in rovina, che parte dalle grotte muschiose, passa per miniere e paludi, montagne e foreste, bivacchi e villaggi, fino alla città santa con le sue sale e gallerie, mi ha coinvolto e trascinato, mi sono trovato spinto a scoprire e indagare, godermi i colori e i suoni, al punto che a volte rimanevo semplicemente fermo a osservare intorno e ascoltare la musica. Il fatto che la stessa musica sia diegetica e faccia parte in maniera organica del gioco aggiunge un livello di profondità che mi ha fatto sentire ancora di più la grandiosità di questo mondo di insettini. Non c’è spazio per per parlare dei personaggi incontrati e di come le loro storie mi hanno spinto a proseguire (lo farò nel video di analisi che uscirà sul canale), ma faccio una lista di alcuni dei momenti che mi si sono piantati nella memoria e che penso mi rimarranno:

Il suono della campana centrale di ogni regione, che all’inizio non sembra niente di che ma quando inizia a ricorrere ti rendi conto che stai facendo qualcosa di importante.

Il momento in cui Garmond è sceso in battaglia per affrontare il mostro lanciando il suo grido “zanzibaaaaao!”

La solenne serenità del Monte Fay, una scalata solitaria, senza nemici, solo tu contro l’ambiente, che mi ha inevitabilmente ricordato Celeste (soprattutto il quarto livello).

Il primo ingresso nella cittadella, con la musica Choral Chambers che riecheggia nei corridoi vuoti.

La melodia degli Architetti, con le luci che si accendono sullo sfondo.

La prima apparizione di Grand Mother Silk con il suo urlo e la musica che esplicita il tema Dies Irae che ricorreva per tutto il gioco.

Il canto funebre per la maestra di Shakra.

La risalita dagli abissi.

L’intervento della Bell Beast per uccidere il parassita e il momento successivo in cui impariamo la sua canzone.

Scoprire Verdania, e tutta la tragica storia del suo principe.

La battaglia finale per salvare Lace, perché alla fine si tratta di questo: salvare qualcuno, una creatura imperfetta negletta dal suo creatore.

Il ricordo di Hornet, con le tre regine che l’hanno cresciuta.

Ed è qui che volevo arrivare, perché è stato probabilmente il momento più significativo di tutta l’esperienza. Poco prima della fine, Hornet ripercorre i suoi ricordi, perché sta cercando qualcosa nel suo passato. Parla con le tre madri/mentore della sua vita, tutte regine di regni diversi: la Tessitrice che l’ha generata, ma che subito dopo l’ha lasciata per assolvere il suo compito di sognatrice guardiana (questo fa parte della trama del primo gioco), che le raccomanda di scegliere da sola il proprio ruolo; l’ape regina che l’ha addestrata, che la prepara a essere pronta a difendersi da chi vorrà approfittarsi di lei; la madre-albero adottiva, moglie di suo padre, che l’ha cresciuta e le rivela che il suo compito è dure e lei la ricorderà come spietata, ma che il sacrificio è necessario. Qui Hornet però la sorprende, dicendole che comprende adesso, che tutto quello che le regine hanno fatto per lei è renderla forte. Ma non parla di una forza che vuol dire solo potenza e abilità nel battere gli altri. Dice questo:

Forza nella mente, nella cura, nell’artiglio. Forza sufficiente perché possa vivere in un mondo migliore del nostro, o costruirne uno come lo desidero.

Quello che Hornet ha imparato è dirigere la sua forza nelle tre direzioni: ragione, sentimento, fisico. E questo lo abbiamo vito nel corso del gioco, perché all’inizio Hornet vuole solo trovare chi l’ha imprigionata e vendicarsi, ma esplorando il mondo e dimostrando di essere legati alle creature più deboli di quelle terre martoriate, allora invece di finire a usurpare il posto della dea dormiente che tormenta il regno, si apre la possibilità di un’altra via, con quello che è il true ending del gioco. E la battaglia finale infatti non consiste nel distruggere o eliminare, ma nel salvare qualcuno, qualcuno che si era perso nel buio ma può ancora uscirne. Questo è il tema profondo di Silksong, quello che mi ha risuonato più di tutti.

Quando ho finito Silksong ho pianto per dieci minuti. Certo, la potenza degli ultimi minuti era enorme, ma non così tanto da farmi crollare in quel modo. È stato un momento catartico, un po’ per come il messaggio mi aveva toccato, un po’ perché quel viaggio durato due mesi era arrivato alla fine, e insieme a Hornet avevo (re)imparato a importarmi delle cose, delle idee, delle persone. Accompagnare Hornet nel suo viaggio di comprensione e apertura ha avuto lo stesso effetto su di me. Sicuramente mi trovavo in un momento fragile in cui ero particolarmente ricettivo a un messaggio del genere, ma mi è rimasto impresso dentro.

Sono ben consapevole che si tratta di first world problems, che non avevo bisogno di essere salvato da niente e i veri problemi sono ben altri e dovrei essere grato di non averli. Lo so. Ma avevo bisogno di qualcosa e l’ho trovato in Silksong. Per questo, anche se a differenza di altri giochi non ha cambiato qualcosa della mia percezione del mondo, sono sicuro che conserverò per sempre l’esperienza, e gli sarò grato per avermi condotto fuori dal mare di vuoto.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on November 17, 2025 15:41

October 20, 2025

Rapporto letture - Settembre 2025

L’estate ha avuto un certo peso, e tra il lavoro di scrittura (tipo il libro che è uscito l’altroieri) e un generalizzato senso di apatia non ancora metabolizzato, la lettura non è stata tra i miei interessi principali. Anche percé il 4 settembre è uscito Silksong e ciao mondo. Questo per dire che sia il rappoto letture attuale che il prossimo probabilmente saranno piuttosto scarni e forse anche un po’ svogliati. Così va la vita.

Il primo libro letto a settembre mannaggia a me è Negli universi (pubblicato da Mercurio), da cui mi aspettavo una storia d’amore alla Sliding Doors con i protagonisti che si perdono e si ritrovano in versioni alternative del mondo. Non è esattamente così però, perché Emet North fa qualcosa di più articolato e imprevedibile. Vediamo effettivamente la protagonista Brit in mondi diversi, ma anche la sua vita e le sue relazioni cambiano molto, e non si trova soltanto a inseguire la sua anima gemella in tutti questi, ma instaura rapporti complessi con altri personaggi ricorrenti. I mondi prendono via via una piega decisamente weird, come quelli in cui gli animali sono posseduti da un virus alieno che li fa diventare violenti, o quello in cui quando le donne partoriscono si frantumano in un sciami/stormi/nugoli di animali (???), per arrivare poi al… paradiso? Insomma una lettura molto più spiazzante di quanto mi aspettavo, che mostra anche uno spettro di sentimenti piuttosto ampio. Voto: 7.5/10

Ho letto poi Mezzafaccia per la mia fase estiva dedicata agli zombie, il romanzo di Luca Cristiano pubblicato da Del Vecchio, e anche qui sono rimasto piuttosto spiazzato. La storia inizia con una situazione già piuttosto anomala ma comprensibile: dopo un’epidemia zombie la minaccia è stata contenuta, e a Roma i non-morti sono stati confinati nella metropolitana. Tra questi troviamo il protagonista, che racconta in prima persona la sua storia e la passione per i libri, che lo distingue dagli altri zombie che a malapena riescono a parlare, e lo fa diventare l’elemento preferito di un’associazione per i diritti degli zombie. Già qui ci sarebbe parecchio materiale, ma la narrazione poi si interrompe, e si inseriscono altri narratori, linee narrative e prospettive che lanciano la storia in territorio metanarrativo, onirico, psichedelico, ergodico. Insomma, a un certo punto non ci si capisce nulla, ma è del tutto intenzionale, è l’autore stesso che fa a pezzi la storia, il mondo e la scrittura stessa per rendere qualcosa di inaspettato, che si riavvolge su sé stesso. Un libro davvero insolito e denso, sicuramente un dei più sorprendenti italiani letti di recente. Per me è un voto 8/10, ma intnto se volete un assaggio della scrittura di Cristiano, potete anche leggere il suo racconto su Specularia Dicarta numero 5, dove lo abbiamo pubblicato e illustrato.

Infine mi sono riletto un libro che avevo già letto forse dieci anni fa o anche di più, ma che ho voluto rinfrescare in vista di un evento con l’autore a Stranimondi. Lungo i vicoli del tempo è stato Premio Urania nel 2001 e in seguito il romanzo di Lanfranco Fabriano è stato ripubblicato da Delos (insieme ai sequel). Si tratta come è facile immaginare di un libro sui viaggi nel tempo, in cui seguiamo il vicedirettore dell’UCCI, l’agenzia italiana che si occupa di sorvegliare lo scorrere della Storia. La cosa curiosa di questo libro è che il viaggio nel tempo è quasi secondario, e la parte principale della storia e dell’interesse dei protagonisti è per le macchinazioni, i complotti e il controspionaggio rivolto sia all’interno per le lotte di successione al ruolo di direzione, sia all’esterno verso le agenzie degli altri paesi, tutte impegnate a distorcere la Storia a proprio favore (o fingere di farlo per distrarre gli avversari). Insomma il viaggio nel tempo viene estremamente trivializzato, e sembra che i personaggi abbiano a che fare con qualcosa di molto più mondano, che trattano con la tipica cialtroneria degli uffici pubblici. Peraltro di questo libro avevamo parlato anche in un episodio del podcast insieme ad altri che hanno a loro volta una burocratizzazione del viaggio nel tempo:

Reading Wildlife Reading Wildlife #85 - La burocrazia del viaggio nel tempoPoul Anderson - La pattuglia del tempo… Listen now5 months ago · 2 likes · Wildlife Culture Collective, Andrea Viscusi, and Angela Bernardoni

C’è da dire che a rileggerlo oggi si nota la scrittura piuttosto invecchiata e una certa misoginia del narratore, che non perde occasione per dare della puttana a qualunque donna gli compare davanti. Se riuscite a sopportare questo, rimane comunque abbastanza gradevole per come rappresenta il lavoro delle istituzioni italiane. Voto: 6.5/10

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on October 20, 2025 03:07

October 10, 2025

Anatomia della fantascienza

L’anno scorso di questo periodo iniziavamo a parlare di Fantascienza - Storia delle storie del futuro, la miniguida tascabile che insieme ad Angela Bernardoni abbiamo pubblicato con Armillaria. Il grande segreto che abbiamo tenuto per tutto questo tempo è che contemporaneamente stavamo lavorando anche a un altro volume, più ampio e con un taglio diverso, che adesso è in uscita per Lumien.

Vi presento Anatomia della fantascienza, della premiata ditta Bernardoni-Viscusi.

Anatomia aka AFS è un volume di oltre 450 pagine in cui abbiamo riversato tutte le nostre nozioni (e opinioni?) sul genere di cui parliamo da decenni. Dopo la pubblicazione di Anatomia del fantasy di Gloria Bernareggi e Sephira Riva, che abbiamo trovato abbastanza in linea con i nostri scopi e la nostra visione del fantastico, abbiamo proposto alla casa editrice di pubblicare questo libro e loro si sono dimostrati entusiasti del progetto. Si tratta di un’operazione diversa e complementare rispetto a FSSF, perché in questo caso abbiamo privilegiato un taglio tematico rispetto a quello storico, con un focus più preciso su sottogeneri, argomenti e topoi. In questo caso quindi non sarà tanto un perocrso storico-critico della storia della fantascienza (anche se inevitabilmente si potranno trarre elementi anche in questo senso) ma una trattazione più enciclopedica.

In particolare, il libro è diviso in cinque parti:

Inquadrare la fantascienza - Definizioni, critiche e nozoni di base del genere

Mappare la fantascienza - Sottogeneri e filoni principali (tanti…)

Scomporre la fantascienza - Archetipi, topoi e tropi ricorrenti nel genere

Frequentare la fantascienza - Localizzazione, premi e convention

Scrivere fantascienza - Compendio per chi vuole scrivere con particolare attenzione alle criticità specifiche del genere

Appendici - Bibliografia, sitografia, opere citate, glossario, indice analitico

Oltre a tutto ciò, sono presenti anche i contributi di vari autor+ e specialist+ che abbiamo consultato su temi specifici. Dopo la prefazione di Nicoletta Vallorani, abbiamo anche (in ordine di come mi vengono in mente): Mattia Manfredonia e Chiara Esposito, Giuliana Misserville, Roberto Paura, Silvio Sosio, Danilo Zagaria, Francesco Verso, Daniela Barisone, Gloria Bernareggi e Sephira Riva.

Insomma, parecchia roba. È stato faticoso e snervante, ma di questo parleremo in un altro momento (basta che mi offrite una birra e parte il rant). Nel frattempo, AFS è preordinabile sul sito di Lumien, e sarà in anteprima a Stranimondi questo weekend, dove domenica alle 12:20 faremo anche la prima presentazione ufficiale.

Dopodiché magari torno a scrivere raccontini, che dite?

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on October 10, 2025 00:07

September 23, 2025

Rapporto letture - Agosto 2025

Si ritorna a scrivere i rapporti letture sul filo del cambio mese, ma passando a substack mi ero ripromesso che non sarei finito a fare i resoconti bimestrali quindi nonostante l’overwhelm generale di questi giorni, eccomi qui. Agosto è stato forse uno dei mesi peggiori di quest’anno, ma a livello di letture non ce la siamo cavata male, quindi alè.

Iniziamo con un’inaspettata ucronia pubblicata da un inaspettato editore: Tahiti: Utopia è un romanzo di storia alternativa di Michal Hvorecky pubblicato da Wojtek. Racconta di come dopo la fine della Grande Guerra il popolo slovacco, vessato dalle prepotenze dell’Ungheria e circondato dall’indifferenza delle altre nazioni europee, si impegna in una migrazione di massa per raggiungere le isole di Tahiti e ricostruire lì la propria casa. A guidare l’impresa c’è l’eroe nazionale Milan Rastislav Stefanik, che conduce il suo popolo alla nuova libertà. Lo spunto è sicuramente interessante, anche perché si concentra sulla storia di un paese di cui in genere conosciamo molto poco. Tuttavia per com’è strutturato il libro, con una parte consistente che narra proprio l’esodo attraverso l’Europa degli anni 20, mi è rimasta molta voglia di conoscere meglio la nuova Slovacchia Tahitiana dei giorni nostri, così come l’assetto mondiale differente in questo corso alternativo della storia. Voto: 6.5/10

Puntavo Wonderbook da parecchio tempo, e solo un paio di mesi fa mi è venuta l’idea di cercarlo su vinted, e l’ho trovato a un prezzo davvero ridicolo (anche se un po’ usurato, ma chissenefotte). Avevo già visto e sentito parlare di questa “guida illustrata per scrivere imaginative fiction” scritta da Jeff Vandermeer con i contributi di molti altri autori (Le Guin, Gaiman, Valente, Martin, Cisco e un’altra decina) ed ero molto curioso, anche perché conoscendo la scrittura di Vandermeer mi aspettavo qualcosa di tutt’altro che banale. Come tutti i manuali di scrittura di autori famosi, le nozioni tendono a essere aneddotiche, e non tutto quello che viene proposto è replicabile in contesti diversi, comunque ho trovato diversi spunti interessanti. Può darsi che ne parli meglio sul canale prima o poi, in ogni caso vista la ricchezza delle illustrazioni è sicuramente un bell’oggetto da avere in casa per uno scrittore.

Iscriviti ora

Per una sospetta coincidenza, Charles Yu è uno degli autori presenti in Wonderbook e il suo romanzo How to Live Safely in a Science Fictional Universe viene citato con tanto di copertina. Io non mi ricordo nemmeno come ero venuto a sapere di questo libro, ma lo volevo leggere da un po’ e l’ho recuperato, forse proprio nel momento in cui ha potuto farmi più male. La storia segue il protagonista-narratore che fa il riparatore di macchine del tempo, e si ritrova incastrato in un loop generato dal suo proposito di ritrovare il padre scomparso decenni prima, che incidentalmente è anche l’inventore del viaggio nel tempo. Da qui la storia si espande in un gioco metanarrativo in cui il libro stesso diventa intradiegetico e il confine tra universi reali e narrativi si confonde. Una fantascienza intima, calda, che gioca con i topoi consapevole di non poter fare niente di originale a partire dalle solite premesse. Voto: 8/10

Infine, siccome alla fine del mese avevo bisogno di un bel reset mentale, ho fatto come altre volte e mi sono letto un libro di déclic. Spunti sunti è una raccolta di testi dello scrittore/fantasista Massimo Gerardo Carrese, che più che raccontare storie gioca con le frasi, le parole e le situazioni assurde che queste possono suggerire. Il paragone più facile che si può fare è con Gianni Rodari, ma senza intento pedagogico e con un target decisamente più ansioso. Una lettura che mi ha fatto snoffare in più di un’occasione, ma che non credo sia adatta a chi non apprezza giochi di parole e nosense.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on September 23, 2025 10:43

August 21, 2025

Flow my rain, said the cat

Due dei prodotti di media-non-scritti che mi hanno colpito di più nel corso di quest’anno sono un film e un videogioco, che hanno sorprendenti tratti in comune.

Il film è Flow, opera d’animazione dell’autore/regista/animatore lettone Gints Zilbalodis. È stato anche un piccolo caso perché pur essendo prodotto da uno studio minuscolo, con risorse ridicole rispetto agli standard dell’industria, ha sbaragliato la concorreza di colossi come Disney e Pixar e si è aggiudicato Golden Globe e Premio Oscar. Una vera storia di underdog… o meglio, undercat, perché Flow (titolo originale: Straume) è un film con protagonisti un gatto, e personaggi soltanto animali. Non animali parlanti o antropomorfizzati: semplici animali, che si comportano e interagiscono come tali. Flow segue il gattino nero protagonista che cerca di mettersi in salvo da un diluvio che sembra sommergere tutto il pianeta, e trova rifugio su una barchetta su cui si accumulano come improbabili compagni di viaggio altri animali: un capibara, un lemure, un golden retriever, un serpentario.

Il videogioco è Rain World, anch’esso prodotto indipendente sviluppato da un piccolo studio nel 2017, che non ha avuto lo stesso riconoscimento di Flow ma che negli anni si è guadagnato un suo piccolo ruolo di cult. In Rain World il giocatore interpreta una piccola creaturina chiamata slugcat, quindi “gatto-lumaca” (che in realtà per quanto ne sappiamo è una sorta di piccolo roditore), che rimane isolato dalla famiglia e deve attraversare un mondo pieno di pericoli squassato periodicamente da piogge torrenziali che allagano tutta la superficie e annegano tutte le creatur che non hanno trovato rifugio. Anche qui non ci sono esseri umani (o l’equivalente della specie senziente su questo pianeta) e tutto si basa sull’interazione tra lo slugcat e l’ecosistema che lo circonda, di cui esso occupa uno dei gradini più bassi nella catena alimetnare.

Già vediamo quindi la premessa simile: un piccolo animaletto sperduto in un mondo senza padroni, in cui l’acqua rappresenta una minaccia costante. Ma ci sono punti di contatto più profondi tra queste due opere, che forse mostrano una sensibilità comune di fondo.

Una delle cose che stupisce di più in entrambi è il senso di scala tra il protagonista e l’ambiente. Gatto e slugcat sono animali minuscoli in un mondo enorme e misterioso, che mostra le tracce di un’antica civiltà che ormai non c’è più. In Flow vediamo le enormi statue e le città che affiorano dall’acqua, in Rain World il difficile percorso attraversa complessi industriali, antenne paraboliche, ferrovie sotteranee (… e supercomputer organici, ma questo è un altro disorso). Di questo mondo immenso e manipolato, i protagonisti non sanno nulla: sono solo animali, non hanno la capacità di comprendere e dedurre che cosa è successo. Siamo solo noi spettatori/giocatori a chiederci che cosa c’è stato prima, che cosa è successo a chi abitava questo mondo. Nessuno dei due ci offre risposte precise: sappiamo solo che gli umani da una parte e i “benefattori” dall’altra (c’è una ragione per chiamarli così, ma non approfondiamo) se ne sono andati, a un certo punto, per qualche ragione.

Entrambi si concentrano sull’ambiente e l’ecosistema, mostrando le complicate relazioni tra le creature di un mondo che ha perso il suo equilibrio. Mandire di cervi in fuga e stormi di serpentari con la loro gerarchia da una parte, avvoltoi biomeccanici e tribù nomadi di cacciatori appassionati di parle dall’altra. Entrare in questi mondi significa per i gatti protagonisti osservarne le dinamiche e prendere nota di quali sono i pericoli, di quando è sicuro muoversi e quando ci si deve nascondere, da chi si può solo scappare e a chi si può azzardare a concedere fiducia.

C’è poi una componente mistica, che risuona in sottofondo in entrambe queste storie. Sia in Flow che in Rain World c’è un modo di lasciare questo mondo di sofferenza, e si può ascendere, salendo verso il cielo o scendendo nelle viscere della terra. L’ascensione, la liberazione dal piano materiale, non è un obiettivo chiaro, e non è detto che sia la soluzione per tutti. Non si può comprendere, e non è necessariamente un lieto fine. Ci sono creature delle profondità, leviatani e vermi, che sembrano custodire il segreto del mondo-dopo-il-mondo, ma anche qui, siamo troppo limitati per poterli comprendere davvero.

Infine c’è il viaggio, che non è né una storia di formazione né un arco eroico, perché un gatto o uno slugcat non sono eroi. Non saranno loro a salvare il mondo, sono solo animali, semplici piccoli animali, in cerca di un posto sicuro in cui stare. Ed è sorprendente quanto la prospettiva di una creaturina sola e innocua possa essere rivelatoria. Non c’è niente da imparare dal loro viaggio, ma forse per questo sembra così autentico: è l’esperienza pura, senza sovrastrutture e ricerche pareidoliche di significato.

Probabilmente questi paralleli sono a loro volta un esercizio forzato di pattern recognition, che dice molto più dell’occhio di chi guarda che delle intenzioni dei loro autori. Non è detto che possano avere lo stesso impatto su chiunque le osservi. Ma vedere la fine del mondo dalla prospettiva di un esserino che non la merita, ma nonostante questo fa del suo meglio per rimanere a galla nel diluvio, è stato sorprendentemente catartico.

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on August 21, 2025 02:01

August 11, 2025

Rapporto letture - Luglio 2025

Mesata di letture mediamente poco impegnative, sempre per riprendermi dalla lettura del premio Mondofuturo (adesso lo posso dire, visto che sono usciti i finalisti), ragione per cui ho anche evitato la fantascienza, perché per un po’ basta vi prego.

Ho iniziato Bim Bum Bam Ketamina nel giorno in cui è uscito il nuovo romanzo di Claudia Grande, sempre pubblicato da Il Saggiatore. Avevo delle aspettative per questo libro, che non definirei “alte” ma comunque condizionate dal fatto di seguire l’autrice sul suo profilo instagram per i suoi memi a tema lettratura/attualità e straightup trash. Mi aspettavo quindi qualcosa di fresco, irriverente, moderno, e invece ho trovato qualcosa di un po’ superato, sia per temi che per vicende, un po’ Bukowski ma fuori tempo massimo e un po’ Palahniuk ma senza la stessa audacia. Fosse un libro uscito negli anni 90 sarebbe stato perfetto, ma nel 2020+ leggere al centro del dibattito dei media di un concorrente a un quiz televisivo e un regista di snuff movie è pericolosamente al limite dell’umarel. Inoltre ho tutta l’impressione che questo libro avrebbe dovuto essere semplicemente una raccolta di racconti tra loro indipendenti, perché il tentativo di intrecciare le storie con un narratore che partecipa a tutte, spesso in modo del tutto marginale, aggiunge un livello di fragilità a dei racconti che già hanno brusche virate di tono dal grottesco al tragico. Ci ho scorto anche una sottotraccia di grassofobia, dato che in ogni storia c’è sempre un personaggio obeso che viene rappresentato solo come tale e poiché è grasso è anche schifoso e cattivo. Un libro che promette più di quello che mantiene, anche se magari le promesse me le ero immaginate io. Voto: 6.5/10

Di contro, Jason Pargin fa qualcosa che non avevo mai trovato e che considero un grande limite della narrativa contemporanea, cioè ignorare il “mondo virtuale” perché “la vita vera è altrove”. Naturalmente non tutte le storie hanno bisogno della loro controparte social, ma se come in I’m Starting to Worry About This Black Box of Doom si tratta di un road trip attraverso gli USA con un carico misterioso che potrebbe essere una bomba atomica da far saltare nella capitale durante la cerimonia del 4 luglio, allora è impossibile che nel 2020+ questo non attiri le attenzioni del popolo del web. Infatti una buona parte di questo libro si concentra proprio sulle dinamiche social, in particolare su come le notizie si diffondono su reddit, come nascono le teorie del complotto e come l’esercito di anonimi superesperti riesce a costruire teorie credibili ed efficaci. Il tutto mentre il protagonista è un twitcher pericolosamente vicino agli ambienti redpillati, e la sua passeggera una makeup influencer che si è ritirata a vita privata dopo uno scandalo. Durante il viaggio che presenta a volte situzioni grottesche (dalla caccia al coniglio, a una visita a Roswell, a un incidente con camion di cheddar e sriracha), i protagonisti e gli altri sulle loro tracce hanno modo di esporre da più prospettive le loro visioni sulla società moderna, e sul perché ci sentiamo tutti così soli e ansiosi. Il tutto con un finale sorprendentemente wholesome. Questo è il modo di raccontare il presente, invece di nasconderlo sotto il tappeto delle drammoni di corna borghesi. Voto: 8/10

Se vi state meravigliando per la copertina, fate bene. La bella e la bestia - Dietro la storia si presenta come un prequel/origin story della fiaba, anche se l’autore Rosario Esposito la presenta spesso come “retelling” (non lo è). Ora giustamente vi chiederete perché mai dovrei leggere una cosa del genere, ma se avete seguito alcuni dei miei debunking più recenti sul canale youtube potreste capire. Questo romanzo dovrebbe raccontare le origini della maledizioen della bestia disneyiana, ma in realtà non lo fa, perché il collegamento avviene solo nell’ultimo capitolo in maniera frettolosa a e incoerente, e per il resto è la storia di un triangolo amoroso tra princpessa, principe e guardiano in regni imprecisati di un’epoca indefinita, con scene inconsequenziali e personaggi implausibili. La scrittura è di un livello imbarazzante, ma con punte di involontaria comicità che valgono il prezzo del biglietto. Non assegno un voto perché siamo sul non classificabile, ma direi che rientriamo nel so bad it’s so good. Detto questo, non prendetelo come un invito a leggerlo, perché no.

Infine per ripristinare la mia fiducia nel fantasy italiano mi sono letto il romanzo diS.C. Alder, che sì, è un autore italiano sotto pseudonimo. Avventure dei cinque regni è un libro per ragazzi, più middle grade che young adult, con una quest epic fantasy classica che vede per protagonisti quattro ragazzini, assortiti come si conviene in un party del genere: l’eroe improbabile, il paladino integerrimo, la maga imbranata, il bardo furbacchione. Non c’è niente in questo libro che non abbiate già visto decine di volte, ma tutto si svolge in modo estremamente pulito e onesto, per cui la lettura è confortevole e appagante. Quello che forse questo libro ha in più rispetto a molti altri affini è una certa ironia che pervade tutta la narrazione, concentrata in particolare intorno al pesonaggio del bardo. Forse avrei evitato prologo/epilogo con le divinità che si raccontano la storia, che mi sembra non aggiungano molto alla vicenda, ma è abbastanza indolore. Il finale lascia la porta aperta per dei seguiti, di cui però finora non ho trovato tracce. Forse dopo il primo libro la Grande Casa Editrice non ha ritenuto opportuno continuare la serie? Se è così, i feel you, fratello S.C. Voto: 7/10

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on August 11, 2025 04:08

July 15, 2025

Rapporto letture - Giugno 2025

La cosa bella di giugno è che segna la fine del mio impegno di lettura per il premio letterario di cui vi parlerò quando ne potrò parlare, e quindi mi sblocca molto spazio di lettura per altre cose che scelgo in autonomia. Il che non vuol dire che leggerò di più, figuriamoci.

Se seguite Reading Wildlife sapete già che l’ultimo episodio del podcast prima della pausa estiva lo abbiamo dedicato a balene e altri odontoceti, che è stata una mia iniziativa principalmente per incastrare la lettura di alcuni libri, tra i quali quello che più mi incuriosiva è Whalefall. La storia di Daniel Kraus segue Jay, un giovanotto con approssimativa esperienza di sub che si immerge per cercare le spoglie mortali del padre, sub leggendario suicida nel mare con cui ha sempre avuto un rapporto complicato. Com’è come non è, sto cristo finisce inghiottito da un capodoglio, e lì inizia la sua lotta per la sopravvivenza in una rappreseentazione letterale del “ventre della balena”. Ma non si tratta solo di un survival horror, perché Jay non deve soltanto uscire dalla bestia ma anche risolvere i suoi traumi, il che diventa complicato quando inizia a sentire la voce della balena, sorprendentemente simile a quella di suo padre. Avevo buone aspettative su questo libro, ma le ha anche superate, con una storia avvincente (segnata dal conto alla rovescia della pressione delle bombole) e personale, un conflitto potente e un protagonista fallibile, un messaggio profondo sul ciclo della vita e della morte. Curiosamente, presente anche molte affinità con il mio racconto Il canto della gigattera uscito più o meno l’anno scorso nell’antologia Hallucigenia, se possiamo considerare “affinità” un figlio che si fa ingoiare da una balena in cerca del padre disperso contro una famiglia di madri e sorelle e dall’interno della balena sente la voce del padre. Giudicate voi. Voto: 8/10

Avevo buone aspettative anche per Undrowned, un saggio pubblicato di Timeo di “lezioni di femminismo nero dai mammiferi marini” di Alexis Pauline Gumbs. Stavolta però sono rimasto fregato. Mi aspettavo nozioni naturalistiche interpretate in chiave femminista e intersezionale, che mi sarebbe andato molto bene, ma ho trovato un testo intriso di una retorica stucchevole, una roba da new age della middle class americana, quello che ti aspetteresti sentire da un maestro di yoga in Sex and the City. Una connessione con la natura forzata e performativa, una posa che si conclude nella parte finale del libro con gli esercizi di respirazione e autoaffermazione. Onestamente non l’ho finito. Sicuramente avevo capito male io. Indubbiamente mi ha irritato.

Se volete altri discorsi su balene e odontoceti, recuperate l’episodio:

Reading Wildlife Reading Wildlife #87 - Balene e leviatani nel mare e nello spazioNell’ultimo episodio prima della pausa estiva ci avviciniamo al mare con la solita dose di spensieratezza tra daddy issues, citazioni bibliche e balene solitarie… Listen now18 days ago · Angela Bernardoni

Ritengo Laura Marinelli una delle autrici più follemente geniali che si aggirano nel sottobosco del weird italiano, ho letto diversi suoi racconti, ho lavorato su altri e l’ho anche reclutata per il numero 3 di Specularia Dicarta. La sua scrittura è sempre evocativa e tagliente, ma a volte le idee le sfuggono un po’ di mano, e ha bisogno di essere un po “contenuta”. Il suo romanzo Organica mi ha dato un po’ quest’impressione: si tratta di una distopia affascinante, scritta con abilità e capace di suscitare reazioni davvero viscerali. L’atmosfera e la graficità però prevalgono sulla storia e l’integrità del mondo, che sottoposto a un minimo di analisi non sembra poter reggere. La distopia in cui le persone vendono i propri fluidi corporei per potersi permettere l’ultraconsumismo è uncanny e sulla carta funziona, ma quando poi viene mostrata perde di credibilità. Chiaramente l’intento non era quello di una distopia hard sci-fi in cui ogni elemento fosse perfettamente plausibile, e il messaggio allegorico è ben visibile, ma sono proprio le abbondanti spiegazioni sul funzioamento di questo mondo che spostano l’attenzione su un sistema che alla prova dei fatti non potrebbe reggere, perché non sembra portare vantaggio a nessuno. Rimane comunque un buon libro, ma che forse avrebbe funzionato meglio come una serie di racconti scollegati ambientati in questo mondo, senza il tentativo di una storia orizzontale che lascia troppo spazio per riflettere sulle incoerenze. Voto: 7/10

Iscrivendoti acconsenti alla donazione dei tuoi fluidi corporei ad Unknown to Millions

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on July 15, 2025 04:09

July 3, 2025

Tecnologie del futuro

Contro ogni pronostico, mi trovate su Urania.

In che senso?

Cioè che nell’antologia Tecnologie del futuro in uscita a luglio (e che sarà disponibile fino a settembre) ci sarà anche un mio racconto.

Ma come proprio tu, che vai in giro a dire peste e corna di Urania? Ti sei venduto così?

Ah, amico mio, magari fosse una questione di soldi. Magari.

In realtà il discorso è più complesso. Nel 2019 avevo partecipato al progetto di Marco Passarello per una raccolta di racconti basati su ricerche scientifiche in corso, che contenesse sia un breve abstact della ricerca che un racconto ispirato a questa. Era uscito quindi Fanta-scienza, pubblicato da Delos, che conteneva il mio racconto Nimby. In seguito è uscita una seconda raccolta di questo tipo, e la terza è quella attuale, che Passarello è riuscito a piazzare sulla collana da edicola Mondadori, coinvolgendo alcune delle autrici precedenti e anche nomi estranei al panorama della fantascienza italiana.

Il mio racconto Origami è uno dei più difficili che abbia mai scritto, un po’ per i paletti imposti dalla ricerca, un po’ perché ero in mezzo a un trasloco, un po’ perché volevo fare qualcosa di diverso da quello che ci può aspettare in una raccolta del genere. L’intenzione era quella di un racconto che fosse a suo modo anche “leggero”. Mi saprete dire se funziona.

Potete trovare Tecnologie del futuro nelle edicole, presumibilmente. Facile che non ce l’abbiano. Provate a chiedere. Probabilmente non capiranno. Sempre che ci siano edicole intorno casa vostra. Altrimenti c’è l’ebook, se proprio ci tenete. Io non giudico.

Iscriviti per dirmi se l’hai trovato in edicola

2 likes ·   •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on July 03, 2025 02:30

June 18, 2025

Rapporto letture - Maggio 2025

Siamo ancora a regime ridotto di letture, ma nonostante questo me la cavo ancora bene perché a maggio sono comunque riuscito ad aggiungere quattro titoli al carniere.

Iniziamo con una storia per ragazzi, in questo caso penso che sia meglio parlare di middle grade che di young adult, perché Michelle Cuevas ha scritto un libro dal linguaggio semplice e dal taglio avventuroso, che ha però dei risvolti profondi. The care and feeding of a pet black hole, di cui non citerò il titolo italiano tradotto, è la storai di una bambina che ha perso il padre astronomo e che nel tentativo di mettersi in contatto con lui si trova ad adottare un piccolo buco nero. Inizialmente cerca di tenerlo nascosto, cosa non facile visto che ingoia qualunque cosa intorno a sé, ma gradualmente capisce che può utilizzarlo anche per liberarsi delle cose che le danno fastidio, che odia, o che le fanno male. Come i ricordi e le promesse del padre. Seguirà avventura all’interno del buco nero per recuperare tutto quanto è stato dimenticato. Allegoria limpida, livello umorismo un po’ infantile, ma è pur sempre un libro per ottenni, regaz. Qualche lacrimuccia però la spreme. Voto: 7.5/10

Io non soche mi è preso che in questo periodo mi sono letto una sequela di raccolte di racocnti sul weird andante con mutazioni, gestazioni, ibridazioni e roba schifosa che se non la leggevo stavo meglio (vedi: Otis e Tidbek). Nel senso, non è che abbia una resistenza allo schifo bassa, però ci sono alcune tematiche particolari che mi suscitano un certo vacuore e tutto il processo che va dal concepimento alla nascita rientra tra questi e non ne voglio sentir parlare, a maggior ragione se quelle cose che incubate nei vostri uteri non sono propriamente umane (che già farebbe schifo) ma mostri, animali, bestie. Fortunatamente non Tutte le favolose bestie sono gravide e ci sono anche storie diverse, tutto comunque con una qualche attinenza con animali o creature di qualche tipo. Cartellino giallo per Priya Sharma che però dice qualche cazzatella quando parla di api e di come funzionano gli alveari. Voto: 7/10

Ho letto un fumetto. Ogni tanto succede, tipo una volta ogni tre anni. Per la verità questo mi è stato regalato, perché qualcuno ha pensato che leggere Cancheràs, che racconta della morte di cancro del padre dell’autrice, fosse per me una buona idea. A proposito di buchi neri, no? A quanto pare a maggio volevo proprio soffrire, tra padri e madri. Grazie Barbara Monti e Luca Ralli per il magone.

Se ti iscrivi ti arriva una notifica ogni volta che un libro mi fa piangere

E finiziamo la measta con Andymon, che ho letto a ridosso del Salone del Libro perché Angela e Karlheinz Steinmuller erano in italia in quel periodo e avrei dovuto presentarli. Si tratta di un cult della fantascienza tedesca premuro di Berlino, la storia di un’astronave in viaggio il pianeta Andymon per una missione di colonizzazione. O almeno così si deduce, perché in realtà all’equipaggio nessuno ha spiegato cosa devono fare. Anche perché sono bambini, che nascono in lotti di otto e vengono cresciuti ed educati dai robot e sistemi automatici della nave. Seguiamo il racconto di uno della prima generazione, che riferisce tutta la sua vita, dall’infanzia nel parco naturale della nave fino alla graduale scoperta dell’ambiente in cui vivono e della destinazione del viaggio. Poi si passa alla terraformazione e alla colonizzazione del pianeta, gestendo non soltanto il mondo ostile ma anche il rapporto con gli altri membri, con scontri ideologici e generazionali. Un libro davvero ricco e attualissimo nonostante i quarant’anni (dove è andato a ripescarlo Del Vecchio non si sa), che posa su solide basi scientifiche ma non si addentra troppo nel tecnico e rimane quindi accessibile. Un esempio di hard scifi profonda e universale, che non soffre di obsolescenza. Voto: 8/10

 •  0 comments  •  flag
Share on Twitter
Published on June 18, 2025 01:01

Unknown to Millions

Andrea Viscusi
Il blog di Andrea Viscusi since 2010

Libri, fantascienza, serie tv, Futurama, Doctor Who
Follow Andrea Viscusi's blog with rss.