Incipit Quotes
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“It was a time I slept in many rooms, called myself by many names. I wandered through the quarters of the city like alluvium wanders the river banks. I knew every kind of joy, ascents of every hue. Mine was the twilight and the morning. Mine was a world of rooftops and love songs.”
― Rooftop Soliloquy
― Rooftop Soliloquy
“Wanderess, Wanderess,
emporte-nous dans un récit
de séduction et de ruse.
Héroïque sera la Wanderess,
le Monde sera sa Muse !”
― The Wanderess
emporte-nous dans un récit
de séduction et de ruse.
Héroïque sera la Wanderess,
le Monde sera sa Muse !”
― The Wanderess
“Au XVIIIe siècle vécut en France un homme qui compta parmi les personnages les plus géniaux et les plus abominables de cette époque qui pourtant ne manqua pas de génies abominables.”
― Perfume: The Story of a Murderer
― Perfume: The Story of a Murderer
“The Love of Europa: She called herself Europa. She was wild in her wandering, a drop of free water. She believed only in her life and in her dreams. She called herself Europa, and her god was Beauty.”
― The Love of Europa: Limited Time Edition
― The Love of Europa: Limited Time Edition
“Perdonerete, ma è piuttosto difficile parlare del proprio amico e di otto tentacoli che vi aggrediscono e si infilano sotto gli abiti, insinuandosi in posti che un gentiluomo non dovrebbe nominare.”
― Di tentacoli e braccia di ferro
― Di tentacoli e braccia di ferro
“Except for the Marabar Caves—and they are twenty miles off—the city of Chandrapore presents nothing extraordinary. Edged rather than washed by the river Ganges, it trails for a couple of miles along the bank, scarcely distinguishable from the rubbish it deposits so freely. There are no bathing-steps on the river front, as the Ganges happens not to be holy here; indeed there is no river front, and bazaars shut out the wide and shifting panorama of the stream. The streets are mean, the temples ineffective, and though a few fine houses exist they are hidden
away in gardens or down alleys whose filth deters all but the invited guest. Chandrapore was never large or beautiful, but two hundred years ago it lay on the road between Upper India, then imperial, and the sea, and the fine houses date from that period. The zest for decoration stopped in the eighteenth century, nor was it ever democratic. There is no painting and scarcely any carving in the bazaars. The very wood seems made of mud, the inhabitants of mud moving. So abased, so monotonous is everything that meets the eye, that when the Ganges comes down it might be expected to wash the excrescence back into the soil. Houses do fall, people are drowned and left rotting, but the general outline of the town persists, swelling here, shrinking there, like some low but indestructible form of life.”
― A Passage to India
away in gardens or down alleys whose filth deters all but the invited guest. Chandrapore was never large or beautiful, but two hundred years ago it lay on the road between Upper India, then imperial, and the sea, and the fine houses date from that period. The zest for decoration stopped in the eighteenth century, nor was it ever democratic. There is no painting and scarcely any carving in the bazaars. The very wood seems made of mud, the inhabitants of mud moving. So abased, so monotonous is everything that meets the eye, that when the Ganges comes down it might be expected to wash the excrescence back into the soil. Houses do fall, people are drowned and left rotting, but the general outline of the town persists, swelling here, shrinking there, like some low but indestructible form of life.”
― A Passage to India
“La guerra tutti l'abbiamo provata, e anche la Liberazione che si portò dietro altri lutti e altre miserie.”
― Materada
― Materada
“L'amore è la forza più grande. Quando amiamo qualcuno, saremmo pronti a qualunque cosa per proteggerlo. Anche a rischiare la nostra vita. Ma è quando non abbiamo più nessuno da amare che diventiamo invulnerabili. Perché non abbiamo nulla da perdere.”
― Come lampo
― Come lampo
“Comment s’étaient-ils rencontrés? Par hasard, comme tout le monde. Comment s’appelaient-ils? Que vous importe? D’où venaient-ils? Du lieu le plus prochain. Où allaient-ils? Est-ce que l’on sait où l’on va? Que disaient-ils? Le maître ne disait rien; et Jacques disait que son capitaine disait que tout ce qui nous arrive de bien et de mal ici-bas était écrit là-haut.”
―
―
“C'è invece una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c'è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch'io possa dire «Ecco cos'ero prima di nascere». Non so se vengo dalla collina o dalla valle, dai boschi o da una casa di balconi. La ragazza che mi ha lasciato sugli scalini del duomo di Alba, magari non veniva neanche dalla campagna, magari era la figlia dei padroni di un palazzo, oppure mi ci hanno portato in un cavagno da vendemmia due povere donne da Monticello, da Neive o perché no da Cravanzana. Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione.”
― The Moon and the Bonfire
― The Moon and the Bonfire
“— C’era una volta....
— Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori.
— No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura.”
― Pinocchio
— Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori.
— No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura.”
― Pinocchio
“Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina di settembre dalla città per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione.
Si fece svegliare ch'era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa di tenente. Come ebbe finito, al lume di una lampada a petrolio si guardò nello specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa c'era un grande silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo. Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita. Pensava alle giornate squallide all'Accademia militare, si ricordò delle amare sere di studio quando sentiva fuori nelle vie passare la gente libera e presumibilmente felice; delle sveglie invernali nei cameroni gelati, dove ristagnava l'incubo delle punizioni. Ricordò la pena di contare i giorni ad uno ad uno, che sembrava non finissero mai.
Adesso era finalmente ufficiale, non aveva più da consumarsi sui libri né da tremare alla voce del sergente, eppure tutto questo era passato. Tutti quei giorni, che gli erano sembrati odiosi, si erano oramai consumati per sempre, formando mesi ed anni che non si sarebbero ripetuti mai. Sì, adesso egli era ufficiale, avrebbe avuto soldi, le belle donne lo avrebbero forse guardato, ma in fondo - si accorse Giovanni Drogo - il tempo migliore, la prima giovinezza, era probabilmente finito. Così Drogo fissava lo specchio, vedeva uno stentato sorriso sul proprio volto, che invano aveva cercato di amare. Che cosa senza senso: perché non riusciva a sorridere con la doverosa spensieratezza mentre salutava la madre? Perché non badava neppure alle sue ultime raccomandazioni e arrivava soltanto a percepire il suono di quella voce, così familiare ed umano? Perché girava per la camera con inconcludente nervosismo, senza riuscire a trovare l'orologio, il frustino, il berretto, che pure si trovavano al loro giusto posto? Non partiva certo per la guerra! Decine di tenenti come lui, i suoi vecchi compagni, lasciavano a quella stessa ora la casa paterna fra allegre risate, come se andassero a una festa. Perché non gli uscivano dalla bocca, per la madre, che frasi generiche vuote di senso invece che affettuose e tranquillanti parole? L'amarezza di lasciare per la prima volta la vecchia casa, dove era nato alle speranze, i timori che porta con sé ogni mutamento, la commozione di salutare la mamma, gli riempivano sì l'animo, ma su tutto ciò gravava un insistente pensiero, che non gli riusciva di identificare, come un vago presentimento di cose fatali, quasi egli stesse per cominciare un viaggio senza ritorno.”
― The Tartar Steppe
Si fece svegliare ch'era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa di tenente. Come ebbe finito, al lume di una lampada a petrolio si guardò nello specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa c'era un grande silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo. Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita. Pensava alle giornate squallide all'Accademia militare, si ricordò delle amare sere di studio quando sentiva fuori nelle vie passare la gente libera e presumibilmente felice; delle sveglie invernali nei cameroni gelati, dove ristagnava l'incubo delle punizioni. Ricordò la pena di contare i giorni ad uno ad uno, che sembrava non finissero mai.
Adesso era finalmente ufficiale, non aveva più da consumarsi sui libri né da tremare alla voce del sergente, eppure tutto questo era passato. Tutti quei giorni, che gli erano sembrati odiosi, si erano oramai consumati per sempre, formando mesi ed anni che non si sarebbero ripetuti mai. Sì, adesso egli era ufficiale, avrebbe avuto soldi, le belle donne lo avrebbero forse guardato, ma in fondo - si accorse Giovanni Drogo - il tempo migliore, la prima giovinezza, era probabilmente finito. Così Drogo fissava lo specchio, vedeva uno stentato sorriso sul proprio volto, che invano aveva cercato di amare. Che cosa senza senso: perché non riusciva a sorridere con la doverosa spensieratezza mentre salutava la madre? Perché non badava neppure alle sue ultime raccomandazioni e arrivava soltanto a percepire il suono di quella voce, così familiare ed umano? Perché girava per la camera con inconcludente nervosismo, senza riuscire a trovare l'orologio, il frustino, il berretto, che pure si trovavano al loro giusto posto? Non partiva certo per la guerra! Decine di tenenti come lui, i suoi vecchi compagni, lasciavano a quella stessa ora la casa paterna fra allegre risate, come se andassero a una festa. Perché non gli uscivano dalla bocca, per la madre, che frasi generiche vuote di senso invece che affettuose e tranquillanti parole? L'amarezza di lasciare per la prima volta la vecchia casa, dove era nato alle speranze, i timori che porta con sé ogni mutamento, la commozione di salutare la mamma, gli riempivano sì l'animo, ma su tutto ciò gravava un insistente pensiero, che non gli riusciva di identificare, come un vago presentimento di cose fatali, quasi egli stesse per cominciare un viaggio senza ritorno.”
― The Tartar Steppe
“C'era nella regione di Uz un uomo chiamato Giobbe. Quest'uomo era integro e retto, timorato di Dio e alieno dal male. Gli erano nati sette figli e tre figlie. Possedeva settemila pecore, tremila cammelli, cinquecento coppie di buoi, cinquecento asine e una numerosissima servitù. Quest'uomo era il più ricco fra tutti gli orientali.”
― Libro di Giobbe
― Libro di Giobbe
“Il Diavolo raggiunse l’infinito. Lo chiamava così, perché lo associava alla spinta creatrice primordiale, cui assistette quando il suo giovane cuore aveva ancora la massa del sole, e quel cuore pulsava ogni due secondi emettendo la luce più intensa che si avesse l’umiltà di mirare. Il Diavolo fissò l’infinito. Al suo cospetto, breve appariva il tempo da cui vagava tra i meandri oscuri dell’inferno, trascurabili i sensi di colpa e le perplessità che lo avevano attanagliato per tutta la vita, limitato il sapere che lo colmava. Il Diavolo divenne l’infinito. Non era il cosmo a delinearsi, bensì un uomo, o qualcosa più di un uomo, ma meno di un dio.”
― Stupide stelle
― Stupide stelle
“Per molto tempo, non so nemmeno per quanto, io ho vissuto in luoghi astratti. Stavo qui, nella mia casa o sul posto di lavoro, eppure non c'ero, disse, ero altrove. Io mi svegliavo - perché senza dubbio la mattina mi svegliavo - e avevo la sensazione di non esserci, come se il sonno mi avesse rubato o continuasse ad esistere durante la veglia. facevo ogni cosa come se al posto mio ci fosse qualcun altro. Lei deve credermi: era come se non sapessi chi ero.”
― Il giardino delle mosche
― Il giardino delle mosche
“Erano i primi di novembre e all'alba l'oscurità della notte durava ancora nella via, ma il vento, con meraviglia del negoziante, imperversava già. Gli sbatté con violenza il grembiule in faccia mentre si chinava a raccogliere le due cassette di latte dal bordo del marciapiede. Ansimando, Morris Bober trascinò fino alla porta i pesanti recipienti.”
― The Assistant
― The Assistant
“Già suo padre, prima di lui, era stato un guaritore di vasi. E così anche lui guariva vasi, e a dire il vero qualsiasi manufatto di ceramica risalente ai Vecchi Tempi, prima della guerra, quando ancora non tutti gli oggetti erano fatti di plastica. Un vaso di ceramica era una cosa meravigliosa, e ogni vaso che guariva diventava un oggetto che amava, e che non dimenticava mai; la forma, la consistenza della ceramica e lo smalto, restava tutto con lui, per sempre.
Quasi nessuno, tuttavia, aveva bisogno del suo lavoro, dei suoi servizi. Ormai rimanevano pochissimi manufatti di ceramica, e chi li possedeva faceva molta attenzione a che non si rompessero.
Sono Joe Fernwright, si disse. Sono il miglior guaritore di vasi al mondo. Io, Joe Fernwright, sono diverso da tutti gli altri uomini.”
― Galactic Pot-Healer
Quasi nessuno, tuttavia, aveva bisogno del suo lavoro, dei suoi servizi. Ormai rimanevano pochissimi manufatti di ceramica, e chi li possedeva faceva molta attenzione a che non si rompessero.
Sono Joe Fernwright, si disse. Sono il miglior guaritore di vasi al mondo. Io, Joe Fernwright, sono diverso da tutti gli altri uomini.”
― Galactic Pot-Healer
“Soon after three o'clock on the afternoon of April 22nd 1973, a 35-year-old architect named Robert Maitland was driving down the high-speed exit lane of the Westway interchange in central London. Six hundred yards from the junction with the newly built spur of the M4 motorway, when the Jaguar had already passed the 70 m.p.h. speed limit, a blow-out collapsed the front nearside tyre. The exploding air reflected from the concrete parapet seemed to detonate inside Robert Maitland's skull. During the few seconds before his crash he clutched at the whiplashing spokes of the steering wheel, dazed by the impact of the chromium window pillar against his head. The car veered from side to side across the empty traffic lanes, jerking his hands like a puppet's. The shredding tyre laid a black diagonal stroke across the white marker lines that followed the long curve of the motorway embankment. Out of control, the car burst through the palisade of pinewood trestles that formed a temporary barrier along the edge of the road. Leaving the hard shoulder, the car plunged down the grass slope of the embankment. Thirty yards ahead, it came to a halt against the rusting chassis of an overturned taxi. Barely injured by this violent tangent that had grazed his life, Robert Maitland lay across his steering wheel, his jacket and trousers studded with windshield fragments like a suit of lights.”
― Concrete Island
― Concrete Island
“Alla fine maggio 1916, la mia brigata – reggimenti 399° e 400° – stava ancora sul Carso. Sin dall’inizio della guerra, essa aveva combattuto solo su quel fronte. Per noi, era ormai diventato insopportabile. Ogni palmo di terra ci ricordava un combattimento o la tomba di un compagno caduto. Non avevamo fatto altro che conquistare trincee, trincee e trincee. Dopo quella dei «gatti rossi», era venuta quella dei «gatti neri», poi quella dei «gatti verdi». Ma la situazione era sempre la stessa. Presa una trincea, bisognava conquistarne un’altra. Trieste era sempre là, di fronte al golfo, alla stessa distanza, stanca. La nostra artiglieria non vi aveva voluto tirare un sol colpo. Il duca d’Aosta, nostro comandante d’armata, la citava ogni volta, negli ordini del giorno e nei discorsi, per animare i combattenti.”
― Un Anno sull'Altipiano
― Un Anno sull'Altipiano
“Una sera di settembre l’Agnese tornando a casa dal lavatoio col mucchio di panni bagnati sulla carriola, incontrò un soldato nella cavedagna. Era un soldato giovane, piccolo e stracciato. Aveva le scarpe rotte, e si vedevano le dita dei piedi, sporche, color di fango. Guardandolo, l’Agnese si sentí stanca. Si fermò, abbassò le stanghe. La carriola era pesante.
Ma il soldato aveva gli occhi chiari e lieti, e le fece il saluto militare. Disse: – La guerra è finita. Io vado a casa. Sono tanti giorni che cammino –. L’Agnese si slegò il fazzoletto sotto il mento, ne rovesciò le punte sulla testa, si sventolò con la mano: – Fa ancora molto caldo –. Aggiunse, come se si ricordasse: – La guerra è finita. Lo so. Si sono tutti ubriacati l’altra sera, quando la radio ha dato la notizia –. Guardò il viso del soldato e sorrise, un sorriso rozzo e inatteso sulla sua faccia bruciata dall’aria. – Io credo che i guai peggiori siano ancora da passare, – disse improvvisamente, con la rassegnata incredulità dei poveri; e il soldato si fregò le mani: era un ragazzo molto allegro.”
― L'Agnese va a morire
Ma il soldato aveva gli occhi chiari e lieti, e le fece il saluto militare. Disse: – La guerra è finita. Io vado a casa. Sono tanti giorni che cammino –. L’Agnese si slegò il fazzoletto sotto il mento, ne rovesciò le punte sulla testa, si sventolò con la mano: – Fa ancora molto caldo –. Aggiunse, come se si ricordasse: – La guerra è finita. Lo so. Si sono tutti ubriacati l’altra sera, quando la radio ha dato la notizia –. Guardò il viso del soldato e sorrise, un sorriso rozzo e inatteso sulla sua faccia bruciata dall’aria. – Io credo che i guai peggiori siano ancora da passare, – disse improvvisamente, con la rassegnata incredulità dei poveri; e il soldato si fregò le mani: era un ragazzo molto allegro.”
― L'Agnese va a morire
“Suonava la messa dell’alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa, perchè era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a mezza gamba. Tutt’a un tratto, nel silenzio, s’udì un rovinìo, la campanella squillante di Sant’Agata che chiamava aiuto, usci e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia, gridando:
— Terremoto! San Gregorio Magno!
Era ancora buio. Lontano, nell’ampia distesa nera dell’Àlia, ammiccava soltanto un lume di carbonai, e più a sinistra la stella del mattino, sopra un nuvolone basso che tagliava l’alba nel lungo altipiano del Paradiso. Per tutta la campagna diffondevasi un uggiolare lugubre di cani. E subito, dal quartiere basso, giunse il suono grave del campanone di San Giovanni che dava l’allarme anch’esso; poi la campana fessa di San Vito; l’altra della chiesa madre, più lontano; quella di Sant’Agata che parve addirittura cascar sul capo agli abitanti della piazzetta. Una dopo l’altra s’erano svegliate pure le campanelle dei monasteri, il Collegio, Santa Maria, San Sebastiano, Santa Teresa: uno scampanìo generale che correva sui tetti spaventato, nelle tenebre.
— No! no! È il fuoco!... Fuoco in casa Trao!... San Giovanni Battista!”
― Mastro-don Gesualdo: Edizione critica
— Terremoto! San Gregorio Magno!
Era ancora buio. Lontano, nell’ampia distesa nera dell’Àlia, ammiccava soltanto un lume di carbonai, e più a sinistra la stella del mattino, sopra un nuvolone basso che tagliava l’alba nel lungo altipiano del Paradiso. Per tutta la campagna diffondevasi un uggiolare lugubre di cani. E subito, dal quartiere basso, giunse il suono grave del campanone di San Giovanni che dava l’allarme anch’esso; poi la campana fessa di San Vito; l’altra della chiesa madre, più lontano; quella di Sant’Agata che parve addirittura cascar sul capo agli abitanti della piazzetta. Una dopo l’altra s’erano svegliate pure le campanelle dei monasteri, il Collegio, Santa Maria, San Sebastiano, Santa Teresa: uno scampanìo generale che correva sui tetti spaventato, nelle tenebre.
— No! no! È il fuoco!... Fuoco in casa Trao!... San Giovanni Battista!”
― Mastro-don Gesualdo: Edizione critica
“Dei siciliani scapoli che si stabilirono a Roma intorno al 1930, otto per lo meno, se la memoria non m'inganna, affittarono ciascuno una casa ammobiliata, in quartieri poco rumorosi e frequentati, e quasi tutti andarono a finire presso insigni monumenti, dei quali però non seppero mai la storia né osservarono la bellezza, e talvolta addirittura non li videro. Che cosa non saltò il loro occhio ansioso di scorgere la donna desiderata in mezzo alla folla che scendeva dal tram? Cupole, portali, fontane… opere che, prima di essere attuate e compiute, tennero aggrottate per anni la fronte di Michelangelo o del Borromini, non riuscirono a farsi minimamente notare dall'occhio mobile e nero dell'ospite meridionale! Antiche campane, dalla voce grave e delicata, che si erano meritate i versi di Shelley e di Goethe, si guadagnarono un «Chi camurria, 'sta campana! Che seccatura, questa campana!» per aver fatto tremare all'alba, coi loro rintocchi, la parete su cui il giovanotto poggiava la fronte da poco addormentata
e ancora rosseggiante del disegno di una bocca.”
― Il bell'Antonio
e ancora rosseggiante del disegno di una bocca.”
― Il bell'Antonio
“Non so sciare, non so giocare a tennis, nuoto così così, ma ho il "senso della frase". Il senso della frase è Privilegio poiché, se lo possiedi, permette a una tua bugia di essere, se non creduta, almeno apprezzata. Nel caso poi, una volta tanto, tu ti decida a dire la verità, quella vera, quella che puzza perché non si lava con gli eufemismi, quella brutta perché non si ritocca né si abbellisce con la chirurgia estetica del ricordo, nel caso tu dica la verità, la verità pelosa, la verità arrapata, se possiedi il senso della frase la verità avrà l'aspetto un po' puttanesco eppure di classe di una bella menzogna.
Il senso della frase è il sesso della frase, il suono della frase, il significato della frase. Il senso della frase battezza la frase, la estremizza e anche se la degrada col turpiloquio, la promuove comunque rendendola, alla fin fine, definitiva. Il senso della frase è il punto di arrivo del concetto espresso quando la frase è ancora nell'utero. È il punto di non ritorno. Un "punto e basta". Un punto esclamativo ma, soprattutto, 666 punti esclamativi.
Diabolico senso della frase, io ti possiedo e ti amo. Fiato alle trombe di Eustachio, rimbombino le tube di Fallopio. Così è e così è stato.
Non so se si nasca con il senso della frase. Di sicuro ci si muore.”
― Il senso della frase
Il senso della frase è il sesso della frase, il suono della frase, il significato della frase. Il senso della frase battezza la frase, la estremizza e anche se la degrada col turpiloquio, la promuove comunque rendendola, alla fin fine, definitiva. Il senso della frase è il punto di arrivo del concetto espresso quando la frase è ancora nell'utero. È il punto di non ritorno. Un "punto e basta". Un punto esclamativo ma, soprattutto, 666 punti esclamativi.
Diabolico senso della frase, io ti possiedo e ti amo. Fiato alle trombe di Eustachio, rimbombino le tube di Fallopio. Così è e così è stato.
Non so se si nasca con il senso della frase. Di sicuro ci si muore.”
― Il senso della frase
“Un falco vola nel cielo bianco dell’estate. Sospeso, con le ali spalancate, immobile. D’un tratto precipita verso terra, a una velocità che l’occhio umano fatica a seguire. Vipere aggrovigliate fuggono dal loro nido. Il rapace le artiglia e torna in cielo, batte le ali e scompare. Tre bambini corrono sul sentiero che dal paese conduce alla spiaggia. Hanno appena distrutto il nido delle vipere rapite. È il loro passatempo preferito. Sfasciare il nido dei serpenti velenosi, col rischio di essere morsi, li eccita. È come sfidare la morte. Ma la morte, per i bambini, è soltanto una parola.”
― Chi ha polvere spara
― Chi ha polvere spara
“Il mio non è un caso isolato: ho paura di morire e sono stanca di stare al mondo. Non ho lavorato, non ho studiato. Ho pianto, ho gridato. Lacrime e grida m’hanno portato via molto tempo. Come mi tortura tutto quel tempo perduto, se ci ripenso. Ma come si fa a pensarci su a lungo? Su una foglia appassita d’insalata dove non restano che rimpianti da rimasticare, posso al massimo trovar ragioni di compiacimento. Il passato non nutre. Me ne andrò come sono arrivata. Intatta, carica dei difetti che mi hanno tormentata. Avrei voluto nascer statua, e sono solo una lumaca nel guscio. Virtù, coraggio, qualità positive, capacità di meditazione, cultura. Contro tutte queste parole sono andata a sbattere a braccia conserte – e mi ci sono spezzata.”
― La Bâtarde
― La Bâtarde
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