Mauro Anelli's Blog: Viaggio nella Narrativa - Posts Tagged "racconti"

Cos'è la Narrativa

Cos'è la narrativa

Ciao a tutti! Buongiorno e ben trovati.

Inauguro oggi questo mio blog su Goodreads e una serie di interventi che riguardano il mondo del libro, e del libro di narrativa in particolare, dal punto di vista di un autore, editore e lettore forte, che negli anni, a forza di metterci e sbatterci contro la faccia, ha imparato a conoscerne un po’ alla volta bellezze e storture.

Sarà una carrellata intensa, e a tratti – ho il dovere di dirvelo – anche molto spiazzante, dove troverete discussi in modo esplicito e senza censure argomenti del tutto fuori dal coro del mercato italiano dell’editoria di narrativa, perché di mercato purtroppo ormai da anni si tratta, che a volte vi sorprenderanno, magari vi infastidiranno o mineranno direttamente alcune vostre consolidate certezze. Ma per chi davvero ama i libri e ne vuole godere in piena consapevolezza ne varrà la pena.

In particolare, se avrete la pazienza di seguirmi, prometto che darò dei criteri universali per potersi orientare nelle scelte e distinguere i libri di narrativa validi da quelli mediocri, cosa che ormai neppure i lettori forti sanno più fare; e a coloro che tra voi sono anche autori, suggerimenti, accorgimenti, strumenti e trucchi per scrivere buoni libri.

Siete pronti? Siete già caldi? Bene! Allora allacciate le cinture e andiamo a incominciare!

Che cos’è un libro di narrativa?
È il pensiero scritto di un essere umano che racconta ad altri esseri umani.

Potrà suonare a tutta prima banale, ma è proprio così. E se ci riflettete per un attimo insieme a me, vedrete che, al contrario, si tratta di un vero e proprio miracolo, di qualcosa di strabiliante e meraviglioso.

Cosa racconta questo essere umano agli altri esseri umani attraverso il suo pensiero?
Racconta una storia – una successione di eventi, situazioni ed emozioni, che gravitano attorno a uno o a più personaggi – del tutto inventata, di fantasia.

Ecco qui la parola magica: fantasia. Cioè creatività, immaginazione e astrazione. La capacità di travalicare la realtà, di capirla e spesso includerla, ma di andare col pensiero anche oltre i suoi limiti quotidiani, a briglia sciolta.

La narrativa, nella sua forma più pura, ideale e incontaminata, è proprio questo: è un cavallo libero e selvaggio che galoppa nelle praterie della fantasia. Galoppa e al tempo stesso comunica, racconta con la parola. Una caratteristica propria e peculiare degli esseri umani fin dal loro primo apparire.

Chiedo scusa ai non credenti se a questo punto mi permetto una citazione dalla Bibbia, che se è il libro più diffuso al mondo (no, non è la serie di Harry Potter della Rowling!) un motivo ci sarà, e non solo religioso. Ricordate l’inizio del Vangelo secondo Giovanni? “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.” Il Verbo, cioè la parola: il logos, come lo chiamavano gli antichi.

La narrativa è forse la forma d’arte che più ci avvicina al Creatore, dove il pensiero e la parola possono scatenarsi in piena libertà, inventando dal nulla mondi, personaggi e situazioni, e facendoli vivere nell’immaginazione del lettore.

Pensate quale potere, quale potenza creativa potrebbe dispiegare un autore che, come Dio nei giorni della Creazione, fosse del tutto libero e gratuito nel suo operare, senza condizionamenti né secondi fini, per il puro piacere di inventare, di animare, di amare! Eppure pochissimi autori se ne rendono conto, e ancora meno lo sanno fare.

E allo stesso modo, pensate quale piacere potrebbe trarre un lettore davvero libero, che si approcciasse a un libro di narrativa senza influenze né condizionamenti esterni. Ma, come vedremo, siamo immersi nelle influenze e nei condizionamenti, e pochissimi lettori, oggi, sanno essere davvero liberi.

Perché il bello della narrativa è proprio questo: nella sua forma più pura, ideale e incontaminata, non c’è solo la libertà dell’autore nel creare, nell’inventare una storia; ma anche la libertà del lettore nel leggerla e nell’interpretarla.

Un autore di narrativa veramente bravo non descrive, evoca. Con le parole suggerisce fatti, situazioni, emozioni e personaggi, che a loro volta possono essere oggetto di immaginazione da parte del lettore mentre legge. Lascia al lettore ampi margini di discrezionalità.

Non è così per altre forme d’arte, anche se prossime alla narrativa, come ad esempio il teatro e il cinema. Perché lì l’immagine, con la sua immediatezza, inevitabilmente circostanzia, dettaglia e limita l’immaginazione dello spettatore. Che, appunto, non a caso si chiama così: perché più che partecipare assiste.

In narrativa, invece, si compie il miracolo, la fusione di due pensieri attraverso la parola e l’immaginazione. E notate come questa fusione sia sempre intima e personale, perfino nelle sperimentazioni di lettura più collettive.

Se andate al cinema, a teatro, a un concerto, o assistete a casa vostra a uno spettacolo televisivo, siete sempre parte di un’esperienza collettiva. Ma in narrativa no: la lettura di un libro di narrativa è sempre un’esperienza intima e personale.

E potranno costringervi a vedere un’immagine, sparandovela a tradimento in faccia nel mezzo di un programma alla tivù, al cinema o su un sito on line. Ma non riusciranno a costringervi a leggere e a capire in un certo modo un libro di narrativa, a meno che voi non siate veramente liberi…

Per oggi mi fermo qui. Mi auguro di avere suscitato con questo primo intervento interesse e interrogativi sul mondo del libro di narrativa. La prossima volta, sabato 21 settembre, parlerò di cosa limita, ormai da decenni, la nostra libertà di autori, lettori ed editori, in un articolo intitolato, non a caso, Narrativa a libertà limitata.

Grazie per avermi letto e a presto. Un abbraccio e un saluto a tutti!

Mauro Anelli.

Pillola del giorno, a proposito della fantasia scatenata a briglia sciolta nella narrativa:

“Ballava il Diavolo, e ballavano le donne del Diavolo, le cento streghe; ballavano i gatti e ballavano i pesci; e anche il poeta ballava, in quella notte di magia. La sua testa di luna in fondo al lago non gli pesava più di tanto, e i piedi rincorrevano agili le mazurke dettate dal gallo”.
(Federico Cadenazzi, Il Tango dello Scarafaggio, Nuova Narrativa Italiana)

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Narrativa a libertà limitata

Narrativa a libertà limitata

Ciao a tutti! Rieccoci a parlare di libri di narrativa.

Nel mio intervento precedente di una settimana fa (se ve lo siete perso, cliccate qui), ho definito cosa sia la narrativa nella sua forma più pura, ideale e incontaminata: il pensiero scritto di un essere umano che racconta una storia ad altri esseri umani, in piena libertà e fantasia.

Oggi mi soffermo invece su ciò che limita la nostra libertà di lettori, autori ed editori di narrativa di accedere a questa sua forma più pura: il mercato attuale dell’editoria e la cosiddetta “filiera del libro”.

C’è una triade ben chiara, il triangolo virtuoso lettori-autori-editori, che tutti noi dovremmo avere sempre presente come traguardo ideale, come obiettivo a cui tendere, quando si parla di narrativa: il rapporto di rispetto e di reciproca collaborazione tra chi i libri li legge, li scrive e li fa.

Ma da decenni, ormai, sono arrivati altri. E questi altri hanno poco o nulla a che fare con la narrativa.

C’erano una volta i librai di fiducia, coloro che leggevano davvero i libri e sapevano indirizzare i clienti nel rispetto dei loro gusti verso questa o quella novità. Oggi sono quasi tutti spariti, loro con le loro librerie familiari, rimpiazzati da semplici commessi e librerie di catena, quando non da megastore on line, con grande soddisfazione degli strateghi dei marketing dei grandi gruppi editoriali.

In compenso, chi si è davvero affermato in editoria negli ultimi decenni, al posto del triangolo virtuoso di cui sopra, sono i distributori e i promotori, coloro che movimentano e pubblicizzano i libri. Costoro, che in termini economici, insieme alle librerie che riforniscono, possono arrivare a pesare anche il 65% del prezzo di copertina di un libro, sono i veri attori forti della filiera, in grado di influenzare, col loro strapotere, scelte e linee editoriali, a favore delle grandi case editrici, che non hanno mai problemi di visibilità nelle librerie, e a discapito di quelle piccole, che ne soffrono da sempre.

Lo so, molti di voi che mi leggete ora insorgeranno. E si diranno: “Sì, e allora? Cosa vuole da me questo qua? Con chi crede di parlare? Io sono del tutto libero: mi leggo i libri che scelgo, per pura soddisfazione e diletto, e non me ne frega niente del resto! Dove sta il problema?”.

Il problema sta nel fatto che, un po’ alla volta, e sempre di più negli ultimi decenni, si è fatto dei libri di narrativa una merce e un mercato qualsiasi, dove contano solo le vendite e le mode, a discapito della fantasia, della qualità e dell’originalità delle proposte.

Vi ricordate la saga di Twilight? Di colpo tutti quanti a parlare di vampiri! Per non parlare di Cinquanta sfumature di grigio, della trilogia di Millennium, del commissario Montalbano, dei tanti romanzetti pseudo-adolescenziali e pseudo-sentimentali destinati ad adulti che si rifiutano di crescere, e degli autori commerciali che ogni anno devono (e sottolineo devono) sfornare per forza un libro per contratto.

Perché è così che funziona. In Italia (ma anche altrove), nel Terzo Millennio, è molto più facile veder censurato un buon libro (o perché non lo si scopre, o perché non lo si pubblica, o perché non lo si promuove) di uno mediocre di un autore commerciale, che viene invece pubblicato e promosso, vende e a volte diventa addirittura un best seller.

È questo che influenza e limita ogni giorno la nostra libertà nella narrativa, cioè la possibilità di accedere alla sua forma più pura, ideale e incontaminata: come autori, sacrificare fantasia e originalità per compiacere gli editori, i lettori e il mercato nella speranza di chissà quale successo; come lettori, adeguarsi senza senso critico alle mode e alla mediocrità delle proposte; come editori, pubblicare allo scopo principale di vendere.

Cercherò di spiegare nei prossimi interventi come possiamo provare a difenderci da tutto questo, per riprenderci la nostra libertà e dignità di lettori, autori ed editori critici e indipendenti; per cercare di tornare al triangolo virtuoso, per il quale si scrivono, si pubblicano e si leggono i buoni libri, e si scartano quelli mediocri. Ma per oggi mi fermo qui e consegno queste considerazioni alla vostra riflessione.

Grazie per avermi letto e appuntamento a lunedì prossimo, 30 settembre, con un articolo dal titolo suggestivo: La tirannia della carta.

Un abbraccio e un saluto a tutti!

Mauro Anelli.

Pillola del giorno, a proposito di senso critico:

“Siamo tutti costantemente inferiori alle nostre migliori aspirazioni!”.
(Mauro Anelli, L’Ultimo Reality, Nuova Narrativa Italiana)

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La tirannia della carta

La tirannia della carta

Ciao a tutti! Ben ritrovati. Interessante il titolo del post di oggi, vero?

Premetto che quanto sto per scrivere trascende dai miei gusti personali, perché, se fosse per me, romantico come sono, passerei gran parte della vita nelle librerie e nelle biblioteche, anche solo per bearmi dell’irresistibile profumo della carta (e della cultura). Ma di mestiere faccio l’editore di narrativa e devo cercare di essere obiettivo.

Ci sono lettori, anche di quelli forti – ve lo posso assicurare – che non leggerebbero un romanzo in e-book (in formato elettronico) neppure se puntassero loro una pistola alla testa, o se fosse il più grande e godibile capolavoro della letteratura di ogni tempo. Ma non sanno, purtroppo, cosa si perdono.

Un libro di narrativa, come ho ricordato negli interventi precedenti, è il pensiero scritto di un essere umano che racconta una storia ad altri esseri umani. Che sia scritto su carta o su altri supporti impatta solo sul piano estetico, economico e funzionale, ma non sulla sua natura. Perché sono i contenuti che fanno un libro di narrativa: il pensiero e la storia che vi stanno dentro.

Eppure, nel tempo, complice il mercato dell’editoria e le convenienze e connivenze a esso correlate, questo mito della carta ci è stato inculcato dentro fino a farne un totem, e a renderlo quasi imprescindibile e indistinguibile dal concetto stesso di libro.

“Quasi”, dico, perché ultimamente, anche se lentamente (e in Italia più lentamente che altrove), un po’ di lettori si sta finalmente rendendo conto che con gli ultimi dispositivi della tecnologia (e-reader, smartphone, tablet, ecc.) si può disporre di un’intera biblioteca di centinaia di titoli, sempre a portata di mano e per di più trasportabile, racchiusa in un peso e in un ingombro inferiore a quella di un singolo libro cartaceo tradizionale, oltre ai costi a titolo ridotti e alla possibilità di adattare i formati di lettura al proprio gusto. Mica male, no?

Eppure la tirannia della carta resiste! Perché? E chi ci guadagna e chi ci perde per via di questa tirannia? È molto semplice: ci perdono i lettori, tutti, e le piccole case editrici. E ci guadagnano i distributori, le librerie e i grandi gruppi editoriali, che in Italia, sulla carta, hanno costruito i loro monopoli e le loro fortune.

La carta è bella, ma si porta dietro un paradigma terribile: la stampa e la distribuzione, che arrivano a gonfiare il prezzo di un libro anche del 300% rispetto a quello che potrebbe avere lo stesso libro in formato elettronico. E capite che ci sono lettori ed editori che possono permettersi di spendere questi soldi e altri no: una vera discriminazione in termini di possibilità economiche.

Se a questo aggiungete che in Italia e non solo la piccola editoria è solitamente sinonimo di passione e cultura, mentre la maggior parte della produzione della grande editoria è a fini prettamente commerciali, capite che la perdita di noi lettori non è solo economica, ma anche nella qualità di ciò che compriamo e leggiamo. A questo tema dedicherò un intervento più mirato la prossima settimana.

Tornando alla carta, molti mi obietteranno – e con qualche ragione – che ormai il libro è un prodotto, che si vende e si compra come tanti altri, e al di là del contenuto è importante anche il contenitore, il suo supporto, perché un lettore, quando compra un libro e spende dei soldi, ha il diritto di avere anche un oggetto esteticamente e funzionalmente valido.

Certo che un lettore ha questo diritto! Ci mancherebbe che gli fosse venduto un libro con una copertina inguardabile, che gli si sfalda fra le mani, pieno zeppo di refusi o stampato così male da risultare illeggibile!

Ma è sorprendente e sconfortante constatare quanti lettori, anche tra quelli forti, ammettano oggi senza alcun imbarazzo e come la cosa più naturale del mondo che hanno spesso acquistato un libro di narrativa perché conquistati dalla bellezza della sua copertina, della carta, della rilegatura, e perfino del font dei caratteri con il quale è scritto. Cioè, in sostanza, in base al suo confezionamento come prodotto. A tal punto è arrivato oggi il potere di condizionamento di certi marketing, perfino sui lettori forti!

Ma, amici, un libro di narrativa non è mica un’automobile, che se gli togli la carrozzeria non la riconosci più e gli porti via l’anima. Basta pensare che la stessa opera – romanzo o raccolta di racconti che sia – si può spesso trovare in diverse edizioni, ciascuna con una differente copertina ed estetica.

Perciò, se compri un libro di narrativa per una copertina alla moda (oggi presso i guru del marketing va tanto il vintage, ad esempio, non importa se fuori luogo), per la sua rilegatura, per i font o per la carta, allora stai comprando l’estetica, non l’opera in sé. Oppure stai comprando per il gusto di possedere, regalare o esibire: tutte cose che con la narrativa e i suoi contenuti non c’entrano nulla.

Al contrario, come prodotto, un libro di narrativa è molto più simile a un alimento, a un cibo che ingeriamo. Pensate al vino o al latte, ad esempio: li potete trovare in bottiglie di vetro o in confezioni di carta più o meno accattivanti, ma sempre di confezioni si tratta. Perché quello che poi ingerite, che mettete dentro di voi, buono o cattivo che sia, è il contenuto, non il contenitore.

Per i libri di narrativa è lo stesso, è come per gli alimenti: ce ne sono di buoni e di cattivi, di quelli che ci fanno del bene e altri che ci fanno del male, anche se magari sul momento non ce ne accorgiamo. E la cosa peggiore è di sceglierli con scarsa consapevolezza, spesso in base al loro successo, alle mode o ad altri condizionamenti imposti dal mercato, senza capire che è il loro contenuto quello che alla fine ci mettiamo dentro.

Perché i libri – suonerà stucchevole e retorico, ma è la verità – sono cibo per la nostra anima.

Per oggi finisco qui, e consegno come sempre le mie riflessioni alla vostra valutazione, e alla disponibilità di chi, in piena libertà ma sempre con educazione e rispetto reciproco, vorrà interloquire su questo blog.

Domenica prossima, 6 ottobre, parlerò di Piccole, medie e grandi case editrici italiane, per introdurre un tema importante, che svilupperò successivamente: come fare a distinguere un libro di narrativa mediocre, anche se vi è personalmente piaciuto, da uno davvero valido.

Grazie per avermi letto e a presto. Un abbraccio e un saluto a tutti!

Mauro Anelli.

Pillola del giorno, a beneficio di coloro che si fermano all’estetica:

“La vita è bella, e può dare molto a chi sa rischiare, a chi è capace di mettersi in discussione e talora azzardare, a chi sa andare fino in fondo alla stradina di campagna per vedere cosa riserva il panorama”.
(Stefania Borgese, Fiore Alternativo, Nuova Narrativa Italiana)

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Piccole, medie e grandi case editrici italiane

Case editrici italiane

Ciao a tutti! Eccoci di nuovo a parlare di narrativa.

Oggi mi soffermerò in particolare sullo stato dell’editoria italiana, evidenziando cose che sono sotto gli occhi di tutti, ma che pochi vogliono vedere e di cui ancora meno amano discutere.

Cosa è successo all’editoria italiana negli ultimi dieci anni è presto detto: l’affermarsi del monopolio di pochi grandi gruppi editoriali, che sommati valgono oltre il 70 % del mercato, che controllano l’intera filiera del libro, e che dopo essersi “mangiati” le medie case editrici, oltre ad alcuni marchi storici non proprio medi, hanno cominciato a mangiarsi anche tra loro, come testimonia l'acquisizione di RCS Libri da parte di Mondadori.

Le piccole e medie case editrici restanti e ancora indipendenti, sparpagliate in una miriade d’iniziative diverse, combattono ogni giorno per la sopravvivenza a fronte di numeri e margini che dal 2008 a oggi si sono fatti sempre più risicati. Eppure, paradossalmente, sono proprio loro a garantire un minimo di varietà d’offerta, qualità e novità.

Intendiamoci su questo punto. I grandi gruppi editoriali italiani hanno fatto nel Novecento la storia letteraria del nostro paese, hanno contribuito ad affrancarlo dall’analfabetismo, e a far conoscere autori e opere validissimi, anche stranieri, che altrimenti in Italia sarebbero rimasti forse sconosciuti. E tutt’oggi continuano ancora a pubblicare molte opere valide.

Ma c’è poco da illudersi. Le cose, negli ultimi anni, sono molto cambiate. Gli editori di una volta, quelli che davvero ascoltavano i lettori e si confrontavano per mesi con gli autori, oggi non esistono più.

I grandi gruppi editoriali, oggi, vanno sul sicuro. Hanno bilanci pesanti da far quadrare, strutture articolate da mantenere, e per farlo invadono ogni mese le librerie con centinaia di titoli per lo più commerciali (tra cui molte ristampe), di autori e su argomenti e generi che tirano in quel momento. Ogni tanto ci scappa il best seller, di norma importato dall’estero come la maggior parte della produzione, specie se di narrativa, perché piuttosto che rischiare su qualche autore italiano, a parte i soliti noti, spesso personaggi televisivi, è meglio sobbarcarsi l’acquisto dei diritti e i costi di traduzione di libri che hanno già funzionato altrove. Tanto, poi, li pagano i lettori, sul prezzo di copertina.

Per non parlare degli esordienti italiani, sui quali da parte delle grandi case editrici vige da anni un vero e proprio ostracismo e la vulgata secondo la quale gli italiani non saprebbero scrivere. Lo scouting di autori italiani le grandi case editrici, salvo poche eccezioni, non lo fanno neppure più, e comunque non direttamente: si accontentano dei pochi esordienti che propongono loro le agenzie letterarie.

Ma davvero credete anche voi a questa bufala? Che gli autori eredi di Dante, Ariosto, Leopardi, Manzoni, D’Annunzio, Moravia, Buzzati, Eco e Pasolini sarebbero peggiori degli stranieri tradotti? Scrivendo nella loro lingua madre? In un paese di sessanta milioni di abitanti, che leggerà anche poco, ma dove uno su tre ha un manoscritto già pronto nel cassetto?

La verità è che scoprire nuovi autori e farli crescere, fare con loro tutti i giorni discussioni ed editing veri e congiunti delle loro opere (perché nessuna opera nasce perfetta, pronta per la pubblicazione) costa un mucchio di tempo e fatica. E chi fa l’editore mirando soprattutto all'aspetto economico oggi non può più permetterselo.

Tra i libri di una casa editrice medio-piccola (parlo di quelle serie, ovviamente), non troverete invece i soliti noti, l’autore di best seller o la moda del momento, perché a sfidare i grandi editori su questo campo una piccola casa editrice neppure ci prova. Cerca invece di scoprire nuovi talenti, libri originali e con idee nuove, per darsi una linea editoriale personale, distinguersi, farsi notare e conquistare un po’ alla volta nuovi lettori in base al merito e alla qualità delle proposte.

Ma le piccole case editrici, rispetto alle grandi, rischiano ogni giorno di sparire, perché la filiera italiana del libro è costruita a misura dei grandi gruppi editoriali, che possiedono o controllano librerie di catena e anche alcuni dei principali distributori.

Di conseguenza, soprattutto sulle edizioni cartacee, il divario è abissale. Le case editrici che sfornano pochi libri l’anno, spesso curatissimi e di notevole originalità e qualità narrativa, non vengono neppure considerate, perché i distributori lavorano in percentuale sul venduto, e movimentare e promuovere editori, autori e titoli sconosciuti o quasi non è economicamente conveniente.

Le poche piccole case editrici che riescono comunque a sbarcare nelle librerie col cartaceo campano alla giornata, sempre sotto la spada di Damocle dell’invenduto (le famigerate “rese”), e hanno visibilità risibili, perché oggi anche i librai indipendenti di una volta, a parte pochissime isole felici, non esistono più, e le librerie di catena mettono di copertina in bellavista sui desk o in vetrina ciò che gli conviene o viene imposto loro dai marketing delle case editrici maggiori; il resto, spesso di gran lunga più valido, è relegato di costa tra gli scaffali dove nessuno o quasi lo vede; tanto nel giro di tre mesi finirà al macero, perché non vende.

E sui libri elettronici, gli e-book, come siamo messi? Be’, amici, lo sapete bene anche voi. Non a caso ho letto proprio qui su Goodreads le lamentele di alcuni lettori su alcune opere in e-book, pubblicate anche da case editrici italiane importanti, zeppe di refusi: perché non spendono tempo a verificarle e a correggerle!

Uno dei principali motivi della scarsa diffusione degli e-book in Italia (appena il 6-7% del fatturato totale) rispetto ad altri paesi del mondo è lo scempio che degli e-book nel loro insieme è stato fatto negli ultimi anni da molte case editrici italiane.

Nell’epoca della crisi, con anni di contrazioni delle vendite sul cartaceo che solo di recente si sta riprendendo, in molti hanno visto nei libri elettronici la possibile panacea per sanare bilanci altrimenti deficitari, buttandocisi sopra all’insegna del massimo risultato col minimo sforzo, vale a dire traslando brutalmente all’e-book libri nati in formato cartaceo e facendoli pagare a prezzi esorbitanti.

Il risultato di queste sciagurate politiche, invece del decollo del mercato dell’e-book in Italia, è stato negli ultimi anni l’esatto opposto: una progressiva diminuzione delle vendite, a fronte del primo iniziale entusiasmo, perché i lettori non sono scemi, e quando comprano si aspettano un prodotto che valga il prezzo pagato, che sia in cartaceo o in e-book.

Noi di Nuova Narrativa Italiana, che per sopravvivere in questa giungla pubblichiamo per la maggior parte e-book e vendiamo solo dal nostro sito Internet per mantenerci indipendenti dai distributori, sappiamo bene che un e-book valido nasce prima di tutto in formato elettronico, con un’impostazione diversa dal formato cartaceo, per renderlo adeguatamente “fluido”, interattivo e fruibile sui dispositivi di destinazione. Così come sappiamo che il prezzo onesto di un e-book, in assenza della carta, della stampa e della distribuzione fisica del cartaceo, non dovrebbe mai superare il 50% del suo equivalente in cartaceo.

E il self-publishing?”, mi chiederà ora qualcuno: “Non potrebbe essere in futuro un’alternativa, una terza via economica e interessante tra l’offerta commerciale dei grandi gruppi editoriali e quella più di qualità della piccola e media editoria?”.

No, amici; davvero no! Il self-publishing, che tanto si è affermato negli ultimi anni in Italia, non a caso anche grazie al lancio di furbe piattaforme on line costruite ad hoc, è il sintomo della malattia, non è la sua cura. È il risultato della disperazione dei tantissimi autori italiani in pectore, in certi casi anche molto validi, snobbati per anni dalle principali case editrici italiane e illusi dalla disponibilità delle nuove tecnologie, che non ricevendo ormai più alcuna attenzione (se non dagli editori a pagamento), neppure più le lettere di rifiuto che si usavano un tempo, si giocano il tutto per tutto nel self-publishing. Ma pubblicare veramente, col supporto di un vero editore che ti scopre, ti guida e ti promuove, è tutta un’altra cosa.

E allora? Come ci possiamo difendere da lettori, autori ed editori di narrativa di fronte a tutto questo? In un solo, unico modo, amici: tornando a riconoscere e a frequentare la vera narrativa di qualità, quella che col mercato, con le mode, con le vendite e con i marketing ha poco o nulla a che fare!

Per oggi mi fermo qui. Ma la prossima settimana, ve lo prometto, affronterò il punto più cruciale e dirimente di tutta la questione: come riconoscere un libro di narrativa davvero di qualità da uno mediocre, al di là del gusto personale.

Grazie per avermi letto e a presto. Un abbraccio e un saluto a tutti!

Mauro Anelli.

Pillola del giorno, dedicata a chi piace l’editoria italiana così com’è:

“Siamo tutti complici dei misfatti che avvengono, anche se ne siamo stati solo spettatori”.
(Ermanno Guerrini, Rosso Storto, Nuova Narrativa Italiana)

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Come riconoscere un libro di narrativa di qualità da uno mediocre

Riconoscere la qualità di un libro di narrativa

Ciao a tutti! Eccoci oggi ad affrontare la principale di tutte le questioni moderne sull’editoria di narrativa in Italia e non solo, ciò che ormai neppure i lettori forti sanno più fare: riconoscere, al di là dei gusti personali, un libro di narrativa valido da uno mediocre.

Lo so, detta così sento già le vostre levate di scudi: “Figuriamoci! Ma con chi crede di parlare, questo qua? Leggo più di cento libri all’anno e non saprei distinguere le schifezze dalle opere valide? Ma fammi il piacere!”. Eccetera.

Purtroppo, invece, amici, per molti di noi lettori, anche forti, è proprio così. Ma è solo in parte un nostro limite.

La principale responsabilità della deriva degli ultimi decenni, fatta di mediocrità spacciate per capolavori e di orizzonti da bassoventre, ricade infatti su coloro che hanno ridotto un po’ alla volta il sacro tempio della letteratura, e della narrativa in particolare, a una sorta di mercato delle vacche, dove ormai non conta più la vera qualità del prodotto, ma solo che si venda e a qualsiasi costo. Ricade sui marketing delle case editrici.

A forza di strillare e promuovere ciò che per sua natura è più facilmente vendibile, hanno annichilito gli autori validi e innalzato i mediocri, livellando i gusti e le aspettative dei lettori verso il basso, al punto che oggi un lettore medio tende a far corrispondere ciò che lo soddisfa (e vedremo poi come lo soddisfa) con la qualità di un libro di narrativa, che è tutt’altra cosa.

Esiste invece un parametro unico e universale, sempre applicabile a un’opera di narrativa destinata alle persone adulte (non libri per bambini o ragazzi), sia essa un romanzo o una raccolta di racconti, per valutare, subito dopo averla letta, se si tratta di un’opera valida o di una mediocre.

Su questo punto intendiamoci bene. È ovvio che se un libro di narrativa è scritto male, o non racconta una storia, o non ha saputo interessarvi ed emozionarvi è un libro mediocre. E non avete bisogno di nessun speciale parametro per capirlo: è evidente da sé.

Il problema nasce invece per tutti quei libri scritti "bene" (cioè in modo professionale) e che hanno all’apparenza tutti i requisiti dei libri di narrativa di qualità: raccontano una storia e sono interessanti ed emozionanti.

In questi casi, subito dopo averne terminato la lettura, come facciamo a valutare se si tratta di opere valide o mediocri?

Il parametro per stabilirlo è questo:

UN’OPERA DI NARRATIVA MEDIOCRE PESCA SEMPRE A PIENE MANI DAL TORBIDO.

Al contrario, un’opera di narrativa valida, anche quando tratta del torbido, o di argomenti prossimi al torbido, parla sempre alla parte migliore di noi, vale a dire alla ragione e allo spirito, non alla pancia, e non affonda le mani nel torbido, perché non ha il torbido come suo fine ultimo.

Mi spiego meglio, così ci capiamo.

Che cos’è il “torbido”? È tutto quello che noi esseri umani ci portiamo dentro di peggiore, retaggio sia dell’evoluzione che delle pulsioni e deviazioni personali e sociali. È la parte oscura di noi, che abbiamo tutti, anche se in alcuni è molto limitata e in altri, invece, è addirittura patologica.

Perché un lettore compra e legge un libro di narrativa? A parte la curiosità su alcuni best seller o su particolari argomenti, la maggior parte dei lettori lo fa per “evadere”, per provare emozioni che nella vita di tutti i giorni non prova, non proverebbe mai, o prova in minima misura. Perché viviamo in un’epoca sempre più avara di emozioni.

E per scatenare le emozioni in un lettore è molto più facile pescare a piene mani dal torbido, che parlare alla sua parte più vigile, migliore e intelligente.

Per questo sono così tanti i brutti libri: perché ci sono editori e autori di pochi scrupoli, che per impressionare e vendere pescano di continuo a piene mani dal torbido.

E gli aspetti e i meccanismi del torbido sono i più vari. Qui di seguito riassumo i principali, per non annoiarvi troppo.

1) Buco della serratura: È il voyeurismo del pornografico, del morboso, del macabro, del violento. Lo conosciamo tutti. Per alcuni si limita a una fisiologica curiosità; per altri è una vera malattia.

2) Pornografia dei sentimenti: Situazioni, descrizioni e lessico svenevoli, retorici e strappalacrime per toccare le persone più sensibili con atmosfere struggenti, o attraverso vicende sentimentali o familiari esagerate, con sbandieramento dei sentimenti più intimi.

3) Caccia alle streghe: Sfruttare il naturale bisogno di sicurezza e giustizia delle persone per suscitare e legittimare sentimenti di risentimento, odio e vendetta contro “cattivi” e diversi.

4) Istinto di sopravvivenza: Impressionare il lettore ponendo i soggetti più deboli, come le donne e i bambini, in situazioni estreme di grave pericolo.

5) Sindrome di Peter Pan: Speculare sul fanciullo che c’è in noi riducendo la realtà a fumetto, semplificandola nelle situazioni e nei personaggi, che diventano supereroi del bene e del male, ai quali tutto è possibile.

6) Fenomeni da baraccone: Variante del buco della serratura, che sfrutta morbosamente la diversità (ad esempio albinismo, autismo, ecc.), il mai visto e lo straordinario (abilità strabilianti e mostruosità varie).

7) Effetto sorpresa: Colpi di scena mirabolanti e ingiustificati nei gialli; spaventi gratuiti negli horror/thriller; e, più in generale, nascondere qualcosa al lettore per tirarlo fuori all’improvviso.

8) Giocare al gatto col topo: Sfruttare la naturale curiosità del lettore, tenendolo a lungo sulla corda con contenuti inutili, o incalzandolo con interminabili sequenze di situazioni e indizi, la più parte pretestuosi, che rimandano ad altri situazioni e indizi, in un gioco di continui rilanci, come al poker.

9) Cliché: Infarcire una o più storie di stereotipi, di situazioni molto simili e facilmente riconoscibili, per compiacere i lettori meno critici, più conformisti e seriali.

Tutto questo è il torbido, è pescare dal torbido. È sfruttare le debolezze dell’animo umano per indurre forti e facili emozioni, allo scopo principale di attirare l’attenzione e di vendere, senza altri contenuti. È la caratteristica dei libri mediocri.

La lettura della stragrande maggioranza di questi libri è simile a un giro di giostra al luna park. Provate emozioni immediate e intense perché vengono messi in gioco istinti e paure primordiali. Ma quando scendete dall’ottovolante, che cosa vi resta? Solo il ricordo dell’intensità di queste emozioni e la soddisfazione di esservi messi alla prova. Nient’altro. A parte il rischio di infondervi dentro una sorta di etica alla rovescia, dove l’aberrazione, siccome dà emozioni forti, risulta più interessante della normalità.

Al contrario, i libri più validi, quelli che valgono e restano nel tempo, parlano alla parte migliore di noi, quella meno viscerale e meno impulsiva, non sfruttano le nostre debolezze per emozionarci, e trattano dei migliori aspetti e delle migliori speranze delle persone, sia a livello individuale che nelle relazioni con gli altri, anche quando raccontano il male. E non per questo risultano meno interessanti ed emozionanti. Anzi!

Nei buoni libri, anche quando parlano del male, c’è sempre un limite di rispetto che l’autore sa porsi; sa portare il lettore sull’orlo del baratro del torbido, e glielo fa magari anche intravedere, ma non ce lo butta dentro. Perché non è il torbido la ragione d’essere di quei libri, ma ben altro, di molto più nobile, che l’autore sta esprimendo.

Prendiamo un romanzo come Cuore di tenebra di Conrad, per esempio. Chi può dire che non sia un capolavoro? Parla del male che c’è in noi e nel potere, e ha ispirato un film bello e terribile come Apocalipse Now di Coppola. (Vi ricordate Marlon Brando nel ruolo del colonnello Kurtz? “L’orrore… l’orrore!”). Entrambe le opere, pur mostrando la parte oscura degli uomini, sono valide, perché pescano poco o nulla dal torbido; non usano il torbido fine a se stesso, ma per dire qualcos’altro.

Allo stesso modo Il grande Gatsby di Fitzgerald. Anche qui, devo commentare? È il capolavoro di uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. Non parla solo del bene, del sogno d’amore di un uomo, anzi: c’è dentro parecchio male. Ma il bene non è descritto in modo retorico o svenevole; e il male non in modo morboso e fine a se stesso. Perché Fitzgerald non pesca a piene mani dal torbido.

Prendiamo invece un libro come Uomini che odiano le donne di Larsson. Dopo quello che vi ho detto sul torbido, devo commentarlo? Sarà anche (e purtroppo non a caso) un best seller, ma è un libro mediocre, tra i peggiori degli ultimi anni. Riguardate la lista che vi ho fatto e vedrete che pesca a piene mani dal torbido, e c’è poco o nulla d’altro.

E badate bene: non è una questione di genere. Un libro ad esempio dello stesso genere è Il silenzio degli innocenti di Harris, a tutta prima davvero “borderline”, come si direbbe oggi, molto difficile da giudicare, perché è pieno di violenza. Ma a differenza del romanzo di Larsson è un ottimo libro, perché rappresenta mirabilmente la fascinazione del male sul bene (e viceversa), raccontando una sfida (quella tra Clarice e Lecter) che si rivolge prima di tutto alla parte vigile del lettore (la sua intelligenza).

Così come è un ottimo romanzo Io non ho paura di Ammaniti, che invece di usare i bambini per indurre al pietismo, come fanno altri autori, li sa mostrare più forti degli adulti, anche se sempre bersaglio della corruzione dell’innocenza da parte degli stessi adulti (Come Dio comanda, anche se l’altra opera è assai migliore).

Il problema è quando invece si racconta strumentalmente il male in modo morboso solo per emozionare facilmente, o si usano stucchevolmente il bene e tutti gli altri meccanismi del torbido che ho indicato, dicendo poco o nulla di più: allora il risultato sono libri mediocri come ad esempio Angeli e Demoni e 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire, oltre alle varie saghe che tra porno, polizieschi vari e vampiri infestano da anni l’editoria, ma anche il cinema e la televisione. Senza dimenticare i libri di autori italiani pseudo-adolescenziali e pseudo-sentimentali, che in questi anni hanno tenuto banco con best seller basati quasi unicamente sulla Sindrome di Peter Pan, destinati ad adulti che si rifiutano di crescere. Sindrome a cui non sono immuni neppure i libri della serie di Montalbano del compianto Camilleri, che sapeva fare molto meglio di così.

Qualcuno, a questo punto, potrebbe obiettarmi che il parametro che ho indicato non è oggettivo ma soggettivo, perché influenzato dalla sensibilità personale del lettore. Amici, non è il parametro a essere influenzato: è il lettore! Perché se il torbido in un libro c’è, e a piene mani, qualcuno ce lo ha messo, e apposta. Dopo ci sono lettori più o meno sensibili al torbido, ma il torbido non è lì per caso. E ben difficilmente troverete in apertura di questi libri una nota dell’autore o dell’editore che vi avvisi, perlomeno, che si tratta di libri sconsigliati alle persone più sensibili: perché il torbido è lì proprio per colpire queste persone.

Concludendo, il parametro è questo. Quando avete appena finito di leggere un libro di narrativa, ma anche mentre lo state leggendo, fatevi questa domanda: “Quest’opera pesca a piene mani dal torbido? Non fa che sfruttare le mie reazioni viscerali, le mie umane debolezze, per emozionarmi?”.

Se pesca a piene mani dal torbido, anche se è scritta bene, anche se vi ha interessato ed emozionato, anche se vi è piaciuta, avete letto un’opera mediocre, confezionata ad arte principalmente per impressionare e vendere facilmente.

Personalmente, da editore di Nuova Narrativa Italiana, io i libri e gli autori che pescano a piene mano dal torbido non li pubblico proprio. E da lettore forte, quando malauguratamente m’imbatto in un libro di questo tipo, e purtroppo ormai sono la maggior parte, mi segno il nome dell’autore e dell’editore e non gli compro più niente. Perché scrivono e pubblicano non per dire qualcosa, ma principalmente per vendere, ed è matematico che la volta successiva mi fregheranno ancora allo stesso modo.

Ma non si tratta purtroppo solo di questo. I brutti libri, oltre a contribuire direttamente a una cultura degenere, sottraggono spazio, tempo e investimenti a libri ben più meritevoli, che non vengono né ricercati, né pubblicati, né promossi, e sono sempre meno scritti. I brutti libri invadono le librerie in centinaia di migliaia di copie, e dall'alto delle classifiche di vendita dettano le mode del momento, al punto che anche chi non vorrebbe leggerli è costretto a farlo, per non essere tagliato fuori dal sentire comune.

Se invece il libro che avete letto non pesca a piene mani dal torbido, ma ha saputo raccontarvi una storia, emozionarvi e interessarvi parlando soprattutto alla vostra ragione e alla vostra anima, allora avete letto un buon libro, e nei casi più fortunati (ma sono davvero rarissimi) un capolavoro.

Dopodiché, intendiamoci: ciascuno fa quello che crede. E se uno vuole continuare a leggere senza capire la qualità di ciò che sta davvero leggendo e cosa c’è dietro o non gliene frega niente, è assolutamente legittimato a farlo. C’è gente che nel torbido ci sguazza, perfino! Con grande gioia e profitto degli autori e degli editori di pochi scrupoli.

Bene. Per oggi mi fermo qui. Mi auguro che nonostante la lunghezza dell’intervento abbiate avuto la pazienza di leggermi fino in fondo, perché è davvero molto importante ritornare tutti a riconoscere le opere di narrativa di vera qualità, nonostante le sirene del mercato.

La prossima settimana, lunedì 21 ottobre, per metterla in positivo, parlerò dei ruoli del triangolo virtuoso lettori-autori-editori, e in particolare di cosa ciascuno dovrebbe idealmente fare, per se stesso e per gli altri, per migliorare questo nostro mondo della narrativa.

Grazie per avermi letto e a presto. Un abbraccio e un saluto a tutti!

Mauro Anelli.

Pillola del giorno, dedicata a chi si lamenta sempre dei brutti libri, ma non fa mai niente per evitarli:

“In questi anni ti sei solo pianto addosso prendendotela con gli altri. Rimboccati le maniche e datti da fare! La tua vita è nelle tue mani; tu ne sei l’unico responsabile e la stai sciupando”.
(Vincenzo Datteo, La Rapina del Secolo, Nuova Narrativa Italiana)

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Il triangolo virtuoso lettori-autori-editori

Il triangolo virtuoso lettori-autori-editori

Buongiorno a tutti! Rieccoci.

Nell’intervento di oggi, torno a parlare delle figure che compongono il triangolo virtuoso della narrativa, vale a dire lettori, autori ed editori, coloro che i libri li leggono, li scrivono e li fanno.

Ho già scritto in un intervento precedente (se ve lo siete perso, cliccate qui) che negli ultimi decenni in Italia il mercato del libro si è evoluto in direzione opposta a quella del triangolo virtuoso, con un'importanza crescente della promozione e della distribuzione che sono arrivate a pesare sul cartaceo fino al 65% del prezzo di copertina di un libro. Tolti i costi di produzione, che nell’insieme sommano un altro 20%, del prezzo pagato di un libro dai lettori solo le briciole restano in mano ad autori ed editori. O meglio: agli autori normali, non di particolare successo, e agli editori medio-piccoli. Perché gli autori affermati e i grandi editori (che in certi casi controllano i distributori e possiedono proprie librerie di catena) non hanno di questi problemi. I margini, per loro, sono ben più alti.

Il risultato di questa situazione è una progressiva asfissia della piccola editoria indipendente di cultura, quella non omologata, che combatte ogni giorno per sopravvivere e che si sforza di continuo di scoprire nuovi autori originali e opere di qualità, rispetto all’offerta prevalente, che ha un carattere prettamente commerciale.

Ma non solo questo, purtroppo. La dittatura delle mode e del mercato, la rincorsa della vendita e del successo a ogni costo a discapito della qualità, ha innescato negli anni un circolo vizioso all’interno dello stesso triangolo, ormai non più virtuoso, per cui gli stessi lettori, autori ed editori, attraverso alcuni loro comportamenti, continuano progressivamente a cedere pezzi della propria libertà nella narrativa. Gli autori sacrificano fantasia e originalità per compiacere gli editori, i lettori e il mercato nella speranza di chissà quali successi. I lettori si adeguano senza spirito critico alle mode e alla mediocrità delle proposte. Gli editori pubblicano principalmente allo scopo di vendere,

Come si fa a invertire questa deriva? Che cosa dovrebbero fare gli attori del triangolo virtuoso per riprendersi il centro della scena? Come dovrebbero essere un lettore, un autore e un editore davvero liberi?

Partiamo dagli autori, che i libri li scrivono.

Quando ci arriva in redazione un manoscritto di un autore davvero libero, per noi di Nuova Narrativa Italiana è una festa, un evento speciale. Perché un autore libero scrive senza secondi fini, in totale gratuità. Non si cura delle mode, di compiacere i lettori, delle comparsate televisive, di far parlare di sé. Scrive per il solo gusto di inventare, di esprimersi, di comunicare ed emozionare. E quando leggi un libro di un autore davvero libero, te ne accorgi subito, perché la differenza in termini di originalità e fantasia è abissale rispetto alla solita fuffa commerciale omologata.

Un autore davvero libero non scimmiotta nessuno, perché non ne ha bisogno: gli basta essere se stesso. Non infarcisce le sue opere dei meccanismi del torbido (se vi siete persi l'articolo sul “torbido”, cliccate qui), perché non scrive per vendere. È aperto alle critiche e al dialogo con il suo editore, perché sa che qualsiasi opera è sempre migliorabile. È forte e umile al tempo stesso: non si monta la testa per un successo e non è geloso delle sue opere. Perché è libero anche da se stesso, dal proprio ego.

Ma gli autori davvero liberi, oggi, sono una vera rarità. Perché la maggior parte degli autori di narrativa scrive storie già viste e allineate al gusto comune, piene di banalità, stereotipi, mediocrità, provincialismi e trucchi atti a emozionare facilmente, al solo scopo di compiacere, di farsi conoscere e di vendere. E, curiosamente, più la loro opera è mediocre, più ne sono fieri e gelosi, recalcitranti alle modifiche e refrattari a critiche e consigli, prigionieri del proprio ego.

E gli editori? Come dovrebbe essere un editore libero? Un editore davvero libero dovrebbe essere uno specchio per i suoi autori e un filtro per i suoi lettori.

Uno specchio per mostrare agli autori la loro vera faccia e la reale natura delle loro opere, entrando a fondo nei testi, evidenziandone pregi e difetti, e avendo il coraggio di proporre modifiche anche importanti. Un editore deve essere la coscienza critica che troppo spesso manca agli autori.

Un filtro per cestinare le opere mediocri e pubblicare solo quelle davvero meritevoli, rifiutandosi di compiacere a tutti i costi i lettori, di rincorrere le mode del momento, perché non è vero che i lettori hanno sempre ragione. Un po’ alla volta, un editore davvero libero, dovrebbe sforzarsi di innalzare la qualità delle proprie pubblicazioni, insieme al gusto e alle aspettative dei propri lettori.

Un editore davvero libero non mira ai best seller, a fare “botti” di vendite spacciando per capolavori opere mediocri: mira, se proprio, ai long seller, a pubblicare quei libri davvero validi che per la loro oggettiva qualità vendono un po’ alla volta e con continuità nel tempo.

Ma gli editori davvero liberi, oggi, sono pochi. E sono al contrario tanti gli editori che in questi anni, pur di sopravvivere e guadagnare, sono scesi ai più biechi compromessi con i dettami del mercato e con la propria coscienza, al punto da operare al contrario: incoraggiare e pubblicare (spesso a pagamento) opere mediocri, senza revisione né editing, così come arrivano da parte degli autori, infarcite di tutto il torbido che serve a vendere e a compiacere i gusti più primitivi di lettori ormai assuefatti al peggio.

Già, i lettori. Che dire allora dei lettori? Come dovrebbe essere un lettore davvero libero?

Prima di tutto, una doverosa premessa. In un paese di individualisti, opportunisti e falsi moralisti come è purtroppo l’Italia, interessato solo ai motori, ai cellulari e al pallone, ai lettori si dovrebbe dare una medaglia, improvvisati o forti che siano e qualsiasi cosa leggano, solo per il fatto che leggono.

Sono i lettori che tengono ancora accesa la fiammella della narrativa in Italia, non certo gli autori e gli editori nostrani, che in questi decenni ne hanno combinate di ogni, con le fanfare dei loro marketing, spacciando per capolavori opere e orizzonti da bassoventre.

Ma certo anche i lettori hanno la loro parte di responsabilità, in particolare nel fidarsi troppo della propaganda e poco della propria testa, dell’apparenza in luogo della sostanza, e nel confondere la qualità col gusto personale.

Un lettore davvero libero dovrebbe invece di continuo sperimentare e confrontare, leggere diversi generi e autori, ignorare le classifiche di vendita dei libri e i soliti nomi, per divertirsi di persona a scovare di costa, negli scaffali delle librerie, quegli autori, quegli editori e quelle storie davvero originali e meritevoli di attenzione. Un lettore davvero libero dovrebbe avere una coscienza critica in continuo movimento ed esercizio.

Bene, amici; per oggi mi fermo qui. La prossima settimana, domenica 27 ottobre, a beneficio dei lettori che vogliono essere davvero liberi, darò una sorta di decalogo, delle linee guida per scegliere con oculatezza e soddisfazione i libri di narrativa che meritano davvero la nostra lettura, evitando di sprecare tempo e denaro in brutti libri.

Ma per ora vi ringrazio di avermi letto. Un abbraccio e un saluto a tutti!

Mauro Anelli.

Pillola del giorno, dedicata agli editori senza scrupoli, che fanno a gara nel pubblicare il peggio:

“C’eravamo imbattuti in qualcuno peggiore di noi, che si meritava pertanto il nostro rispetto”.
(Mauro Anelli, Gli efferati, Nuova Narrativa Italiana)

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Come scegliere un libro di narrativa

Come scegliere un libro di narrativa

Ciao a tutti! Rieccoci a parlare insieme di narrativa.

Come ho promesso la settimana scorsa, cercherò in questo intervento di dare una sorta di decalogo, delle linee guida destinate ai lettori, e in particolare ai lettori forti, per la scelta dei libri di narrativa tra le migliaia di proposte che ogni mese invadono le librerie e i megastore on line.

Premetto che si tratta di consigli generali, maturati attraverso la mia esperienza di lettore forte e di editore, che vanno però personalizzati da ciascuno in funzione dei propri gusti. Perché, specie se si dispone di un budget limitato da destinare alla lettura, avere un minimo di criterio nelle scelte ci aiuta a leggere libri davvero validi e a evitare di sprecare tempo e soldi in brutti libri.

Vediamo perciò quali sono gli errori più comuni da evitare e le prassi migliori da seguire per scegliere con oculatezza e soddisfazione i libri che meritano davvero la nostra lettura.

1) Non acquistare mai un libro di narrativa basandosi solo sul suo confezionamento, vale a dire in base al supporto (cartaceo o elettronico), al titolo, alla copertina, alla rilegatura, ecc.. Ne ho già parlato in un intervento precedente (se ve lo siete perso, cliccate qui), ma lo ribadisco. L’essenza di un’opera di narrativa è il pensiero e il contenuto che vi stanno dentro e che dentro vi metterete leggendola. Al contrario, il confezionamento dei libri è insieme alla pubblicità il mezzo attraverso il quale i marketing delle case editrici tendono a piazzare opere molto spesso mediocri. Più una copertina vi intriga e più un titolo vi suona accattivante, più è probabile che nascondano una fregatura.

2) Non acquistare mai un best seller, e, se proprio, leggerlo almeno un anno dopo la sua uscita. I best seller, come dice il termine stesso, sono libri prettamente commerciali, quasi sempre scritti e pubblicati solo per vendere, che nella stragrande maggioranza dei casi devono il loro successo non alla qualità della narrativa, ma allo sfruttamento di nostre umane debolezze, ai meccanismi del “torbido” di cui ho parlato in un mio intervento precedente (se ve lo siete perso, cliccate qui). Se vi volete bene, statene alla larga. Ma mi rendo conto che non è facile: tutti intorno a voi ne parlano, come fate a non leggerli? La cosa migliore è prenotarli in una biblioteca, così non buttate i vostri soldi, non contribuite alla diffusione di brutti libri, e li leggete con maggiore obiettività e senso critico quando l’onda emozionale e pubblicitaria si è finalmente placata.

3) Non fissarsi su un solo genere e sulle opere di uno stesso autore, ma, al contrario, cercare di spaziare su più generi e autori senza preconcetti, di ampliare orizzonti e senso critico, perché la narrativa è prima di tutto invenzione e fantasia. Lo dico soprattutto a beneficio di quei lettori, e sono tanti, che si fanno quasi un vanto del leggere tutte le opere di un particolare autore, e così, se gli va bene, leggono un capolavoro e venti o più opere mediocri. E ci sono autori ed editori che su questo hanno costruito intere fortune.

4) Leggere, di un autore, solo i capolavori di quell’autore. Questa sembrerebbe una banalità, ma non lo è, e la spiego meglio con un esempio tratto dalle arti visive. Quali sono i capolavori di Renoir? Lo sanno tutti: il Ballo al Moulin de la Galette e La colazione dei canottieri. Perché sono dei capolavori? Perché, se fossero battuti all’asta, raggiungerebbero cifre iperboliche rispetto ad altri quadri dello stesso artista? La risposta è questa: perché in questi due quadri sono riassunte e sviluppate al meglio tutte le tematiche più importanti e caratteristiche di Renoir, sono come dei manifesti della sua arte. Tornando alla narrativa, funziona allo stesso modo. C’è chi sostiene che un autore, in realtà, scriva sempre lo stesso libro, perché i temi che un autore tende a trattare, che gli sono cari, sono quasi sempre gli stessi. È vero, ma non è lo stesso il risultato. I capolavori di un autore di narrativa, le sue opere migliori, sono quelli in cui un autore ha espresso al meglio i temi di cui tratta, e sono questi i libri da leggere. Certo, per i classici sapere quali sono di un autore i capolavori è più facile, perché la selezione l’ha già fatta per noi il tempo. Ma per i contemporanei non è poi così difficile: di solito bastano un paio d’anni se non addirittura pochi mesi, e dei libri che non meritano non se ne sente più parlare, o se ne parla infinitamente di meno che ai tempi della loro prima uscita. A poco a poco vengono dimenticati.

5) Allenare il senso critico e non confondere la qualità narrativa con ciò che ci piace. Ciò che ci piace, purtroppo, sempre più spesso, è frutto di condizionamenti esterni, del senso comune e delle mode. Ma al di là di questo è importante allenarsi a valutare la qualità oggettiva di ciò che si è letto, per evitare di incorrere in fregature in serie, cioè di leggere continuamente brutti libri senza neppure accorgersene. Il metodo per fare questo l’ho già descritto in uno dei miei post precedenti, quello sul “torbido” infilato apposta nei libri da certi autori e certi editori per aumentare le vendite. Se ve lo siete perso, cliccate qui.

6) Non assumere il marchio di un grande editore come garanzia di qualità a priori. Questo, in Italia, ha fatto la fortuna dei grandi marchi editoriali, mortificando le piccole case editrici. Ma il mestiere di editore, come si faceva una volta, che privilegiava la passione e la qualità, oggi quasi non esiste più, specie per chi deve far quadrare grossi bilanci: per i grandi gruppi editoriali oggi contano soprattutto i dati di vendita. Perciò, non comprate a priori un libro perché è pubblicato da un grande editore; e comunque, se lo fate, tenete sempre alta la vostra coscienza critica, e se vi frega vendendovi delle mediocrità, sperimentate altro.

7) Mettere alla prova le piccole case editrici che non pubblicano a pagamento. Sono le poche case editrici che pubblicano ancora per passione e pochi libri all’anno, spesso curati in modo maniacale. Faticate a trovarle il libreria, perché per i distributori sono solo una seccatura, e a volte pubblicano solo e-book. Ma sono le sole che continuano a prediligere la qualità, che fanno di continuo scouting sugli autori, che propongono esordienti veraci e originali, non omologati alle mode e al mercato. Date loro una possibilità; se poi vi fregano, le dimenticate. Ma difficilmente vi fregheranno.

8) Non acquistare libri di narrativa pubblicati in self-publishing. Si tratta, per lo più, delle opere prime di autori disperati o smodatamente ambiziosi, che non hanno trovato un editore disposto a pubblicarli. Queste opere non passano prima quasi mai attraverso il filtro di un editing professionale, e contengono ingenuità, mediocrità e situazioni autoreferenziali tipiche di autori che non hanno avuto la possibilità di confrontarsi con una controparte obiettiva e competente. Sono quasi sempre soldi e tempo buttati.

9) Informarsi sui libri da più fonti, ma diffidare delle recensioni compiacenti. Nell’era di Internet, non è poi così difficile documentarsi. Ma, al solito, là dove trionfano le vendite e i toni trionfalistici, dai quali non sono immuni anche i social, è bene fare attenzione. Ci sono falsi lettori e critici ricompensati in vario modo per le loro recensioni. Ma non c’è niente di meglio che affidarsi alla nostra testa in piena autonomia per scegliere un libro: magari sbaglieremo, all’inizio; ma, almeno, non come sbagliano tutti.

10) Piantiamola con l’esterofilia! Gli autori italiani scrivono bene quanto quelli stranieri, e hanno il vantaggio di esprimersi direttamente nella nostra lingua. Certo, scoprirli costa tempo e fatica, per questo li trovate poco nelle librerie, a parte i soliti noti, spesso personaggi televisivi, perché i grandi gruppi editoriali tendono ad andare sul sicuro, pubblicando stranieri già di successo altrove: tanto le traduzioni le paghiamo noi lettori sul prezzo di copertina. Il pregiudizio sugli autori italiani deve finire.

Bene, per ora mi fermo qui, e mi auguro, con questo primo ciclo di articoli sul mio blog, di essere stato di aiuto ai tanti lettori che non ne possono ormai più della solita minestra riscaldata, ma vorrebbero finalmente leggere storie originali, emozionanti e diverse, in grado di farli nuovamente sognare, lontane dai soliti cliché. E d'aiuto anche agli autori e agli editori italiani perché tornino a scrivere e a pubblicare queste storie, privilegiando di più i contenuti delle vendite.

Grazie come sempre per avermi letto e a presto. Un abbraccio e un saluto a tutti!

Mauro Anelli.

Pillola del giorno, sugli autori validi e di qualità, che i lettori pigri faticano a scoprire:

“Pensò alla possibilità di un mondo nascosto parallelo, alla presenza di cose ed entità che non ci è dato vedere e percepire, accessibili solo ad altri sensi o a particolari condizioni”.
(Enrico Rolli, Musica sull’acqua, Nuova Narrativa Italiana)

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Viaggio nella Narrativa

Mauro Anelli

Il blog di un autore, editore e lettore forte, libero e indipendente, dove troverete trattati senza remore né censure argomenti del tutto fuori dal coro del mercato italiano della narrativa, quali:

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